di Paul Ginsborg
Il 2019 è stato un anno straordinario in termini di mobilitazione di massa, sia nazionale che transnazionale. Numericamente parlando – e i numeri hanno la loro importanza, eccome – nessun anno può eguagliare il 2019: né il 1968, né il 1848, né alcun altro anno della storia mondiale recente.
Molte di queste mobilitazioni sono state di natura sovranista e razzista; altre, come i gilets jaunes, possono vantare una varietà di motivazioni e ispirazione. Ma la maggioranza di coloro che sono scesi nelle strade e in piazza nel 2019 si è dichiarata democratica e progressista. Ha anche abbracciato, in misura differente, la consapevolezza che la salvezza del Pianeta in termini ecologici necessita di un cambiamento drammatico nelle nostre abitudini di consumo e nell’economia capitalistica nel suo insieme.
Diversamente dal 1968, il 2019 non ha avuto una guerra del Vietnam in relazione alla quale organizzarsi. Hong Kong, con i suoi milioni di cittadini in marcia nelle strade per mesi di fila nel nome dell’asserzione di diritti umani, politici e territoriali, è fra queste mobilitazioni la lotta democratica più straordinaria; ma è un caso troppo particolare per fare da epicentro per una protesta globale.
In tutti questi eventi, l’Italia non ha ricoperto alcun posto degno di nota. Un tempo, nei primi anni 70, studenti con gli occhi pieni di meraviglia (me compreso) venivano dal Nord d’Europa in pellegrinaggio nella terra di Gramsci e Berlinguer, nonché nella “Bologna rossa” di Renato Zangheri.
Ora la situazione è invertita. Persino i sonnolenti britannici si sono svegliati, mentre l’Italia restava imperterrita nel suo torpore. Sia il movimento pro Remain, sia Extinction Rebellion hanno dato vita a manifestazioni di dimensioni inaudite per la politica britannica. Al contrario, gli italiani sono apparsi incapaci di una qualsiasi azione di ampia portata. Proprio alla chiusura dell’anno 2019, l’Italia si muove e nel profondo del mare si distinguono banchi interi di piccoli pesci italiani. È imperativo capirne il motivo.
Tra i molti, metterei l’accento sul totale fallimento della classe politica in tutte le sue denominazioni, e difatti dello Stato stesso, nel rispondere alle esigenze dei suoi cittadini, in particolar modo quelli dei giovani. La condizione precaria delle scuole e università italiane ne è testimone drammatico.
Il caso italiano è sbocciato tardi, ma racchiude tutti i problemi drammaticamente irrisolti della politica democratica. Quando nel 2002 il movimento dei “Girotondi” cercò di collaborare con i partiti di sinistra, muovendo al contempo critiche nei loro confronti, venne accolto dall’entusiasmo di migliaia di cittadini, ma anche con profondo sospetto da parte di chi sosteneva una visione esclusivamente partitica della politica. L’inizio delle Sardine è stato allegro e di buon auspicio. Nei loro dieci punti pubblicati il 21 novembre, mostrano una nuova attenzione alle passioni e a come queste possano essere distolte dalla cultura dell’odio e della discriminazione, diffusa da Salvini: “La testa viene prima della pancia, o meglio le emozioni vanno allineate al pensiero critico”. E ancora: “Siamo vulnerabili e accettiamo la commozione nello spettro delle emozioni possibili, nonché necessarie. Siamo empatici”. Su questo tema, i miei lettori potrebbero trovare interessante il piccolo volume pubblicato da Einaudi, Passioni e politica (2016) di Paul Ginsborg e Sergio Labate.
In particolar modo, le Sardine devono essere consapevoli che le insidie per il loro movimento saranno tanto interne quanto esterne. Le passioni negative – rivalità, narcisismo, gelosia, rabbia – trovano terreno fertile nelle serre delle assemblee della società civile. Queste ultime sono spesso preda di figure carismatiche o di fazioni ansiose di preservare il loro potere. Uno dei compiti più difficili per movimenti sociali come questo è di mantenere il proprio impeto e in questo potrebbe essere importante garantire l’individuazione di obiettivi chiari e definiti già in fase iniziale. Il compito è immane, ma contro ogni aspettativa ci troviamo a vivere in tempi eccezionali. Benvenute alle Sardine!
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 27 novembre 2019