La Sinistra nel mondo: il Labour post-Corbyn

27 Marzo 2020 /

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di Eduardo Danzet
Il 2019 si è chiuso con luci e ombre per la Sinistra, dal punto di vista politico.
Tornata al governo in paesi come la Spagna e la Croazia, si è parzialmente eclissata negli Usa con Bernie Sanders, per poi subire una sconfitta con Corbyn, in terra d’Albione. Jeremy Corbyn è l’ennesima vittima della maledizione dei leader della Sinistra, belli e dannati, affascinanti ma perdenti.
Questo è il ritratto di certa stampa liberal nostrana, provinciale e tendente a compiacere i moderati, quando una più attenta analisi del voto dello UK ci mostra aspetti ben più importanti.
Le elezioni politiche britanniche sono state in realtà un secondo referendum sul Brexit, non un voto ai partiti. Se si analizzano i flussi elettorali pro e no euro, i remainers vincono in termini di voti assoluti sui brexiters; tuttavia il voto per restare nell’UE viene disperso tra il Labour e i Liberaldemocratici.
Corbyn avrebbe vinto se avesse rappresentato i voti del Remain, con una nuova proposta politica europeista, oppure se fosse stato capace di capitalizzare il voto del Brexit, al posto di Boris Johnson . La sua proposta di un’uscita soft veniva piuttosto vista dagli elettori come un tentativo di sanare la spaccatura creatasi nel partito, sul tema dei rapporti con l’Unione Europea: si schierano per il Brexit gli over 50, la residuale working class britannica e la sinistra interna, da cui il leader proviene; mentre gli studenti, gli ex-blairiani e i precari del terziario e della City sono per il Remain.
Pur con una sconfitta senza appello e con le sue immediate dimissioni, dal movimento di Corbyn, Momentum, giunge la candidatura di due donne per la segreteria nazionale: Rebecca Long-Bailey e Angela Reyner.
Si tratta di due deputate socialiste, giovani, provenienti dal sindacato e dall’area industriale dell’Inghilterra del nord, dove ha vinto il Brexit. Esse hanno avuto sin da subito il consenso di “Unite the union”, il più importante sindacato inglese, che conta un milione e duecentomila iscritti. Basti ricordare che è stata proprio l’investitura di questa sigla sindacale a risultare decisiva per la vittoria di Corbyn, del quale le due candidate rappresentano la continuità.
Nel frattempo anche la stampa mainstream, che ha condotto una campagna mediatica per distruggere l’immagine del leader del Labour, si è convinta della bontà delle sue idee: sono molti i quotidiani che sostengono la proposta di un’uscita soft, affinché il Regno Unito resti nel mercato unico europeo.
Inoltre, in un articolo di Tom Kibasi, il Guardian analizza il voto del “Red wall”: l’Inghilterra settentrionale, storico avamposto operaio del voto laburista, aveva già dato il consenso ai conservatori ai tempi del referendum anti-UE; le elezioni politiche sono state soltanto la conferma del successo della campagna nazionalista di Johnson, non il risultato di un’ipotetica inadeguatezza di Corbyn. Ora, oltre all’arduo compito di riscrivere la proposta di soft Brexit, il suo futuro il successore dovrà ricompattare il partito.
Il Labour infatti attraversa divisioni generazionali e sociali, su cui pesa anche la diversa posizione nei confronti dell’UE: l’Old Labour, di base operaia ed erede del vecchio partito novecentesco; il New Labour, del ceto medio, promotore del pensiero di Tony Blair; infine il 20s Labour (dagli anni 20 del nuovo millennio), rappresentante della generazione dei millenials e del terziario.
Purtroppo queste 3 correnti sono caratterizzate da una rivalità reciproca e sanguinosa, che Corbyn non ha saputo sanare, nell’alleanza tra Old e 20s contro il New. Secondo gran parte dei commentatori inglesi, questa tregua era destinata a fallire: poiché la rivoluzione industriale 4.0 sta portando alla sua scomparsa, la classe operaia britannica vede nella globalizzazione non una sfida ma una minaccia, votando per il ritorno ai vecchi confini.
Invece, nella base sociale omogenea e nel comune spirito europeista, il 20s e il New Labour possono trovare una coesistenza relativamente stabile e dare dei contenuti più chiari al soft brexit.
Infine, pur aggiornando il partito per le sfide del mercato globale, la radicalità dei millenials può anche ricostruire la cultura politica laburista dalle macerie del Red Wall (motivo per cui Long-Bailey e Reyner sembrano favorite per la leadership).
Il Labour del dopo Corbyn è un cantiere aperto dove la sua ala sinistra, se vuole mantenere la leadership, deve cercare il miglior compromesso possibile con la corrente di centro, gli ex-blairiani.

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