Matera 2019: i sassi non sono "grotte", ma un centro storico frutto di sapiente urbanistica

3 Agosto 2019 /

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di Michele Fumagallo
Sembra curioso, e per la verità mi vergogno un po’ a parlarne, ma ancora in tanti, in svariate pubblicazioni e articoli superficiali, continuano a perpetuare la leggenda dei Sassi di Matera come luogo di “grotte”, quasi che la sapienza umana del costruire e di quella che in seguito verrà chiamata urbanistica, fosse del tutto secondaria in quel contesto. Naturalmente non è così. I Sassi sono due quartieri (Sasso Caveoso e Sasso Barisano) che formano insieme un mirabile centro storico frutto del lavoro e della cultura umana. Del resto la pietra di tufo con cui sono state costruite le case è stata dapprima presa nelle grotte in loco e poi nelle cave che circondano la città e che dovrebbero essere il punto di partenza di qualsiasi insegnamento profondo sulla storia di Matera e dei suoi quartieri più antichi (mai dimenticare la sapienza e il lavoro degli uomini!).
Mi vengono in mente a questo proposito, un po’ confusamente, tante dichiarazioni o scritti interessanti di studiosi sulla questione. Per esempio quello di uno scrittore del tutto estraneo al territorio materano come il ferrarese Giorgio Bassani che, presidente dell’associazione ambientalista “Italia Nostra”, fece, in un convegno a Matera nel dicembre del 1967, questa affermazione: “Nel 1948, completamente schiavo, come ero a quel tempo, della magica suggestione del Cristo, vidi anche io, nei Sassi, la favolosa sede metastorica della civiltà contadina. Oggi, poche ore fa, i Sassi li ho visti in una luce sostanzialmente diversa. Mi sono trovato di fronte, non senza sorpresa, a un insieme urbanistico estremamente elaborato, ricco degli apporti più vari.
C’è il fondo contadino e rupestre, d’accordo: il più antico, quello originario. Ma a esso si sono poi sovrapposti, nel corso dei secoli, inserendosi perfettamente nel contesto generale, gli elementi architettonici delle civiltà successive, da quella gotico-normanna, ‘cortese’ per eccellenza e colta, alla rinascimentale, alla barocca di derivazione spagnola: sotto il profilo linguistico non meno aristocratiche e ‘illustri’. Basta leggere con un minimo di attenzione il famoso ‘orrido’ di Matera, insomma, per rendersi conto della sua singolare, assoluta bellezza, e per convincersi che esso rappresenta qualche cosa di oggettivamente prezioso: un unicum, dinanzi a cui la cultura italiana, e non soltanto italiana, non può rimanere insensibile”. Quindi un mirabile centro storico costruito nei secoli dalle generazioni.
Nonostante siano passati ormai tantissimi anni in cui si è davvero dibattuto a un livello alto, si continua invece a parlare di “cavità”, “grotte” (tutte cose che esistono, sia chiaro, e sono importanti), quasi che il lavoro umano di scavo della pietra e di costruzione urbanistica “ad arte” fosse superfluo. Per non parlare poi di tante persone (ne ho conosciute anch’io negli anni) che, venute per la prima volta e influenzate dal nome dei quartieri, scoprono con sorpresa, e qualcuno con delusione, che non si tratta di grandiose rocce ma di costruzione di case.
Oggi, in un periodo storico condizionato da informazioni superficiali e spesso fuorvianti, è urgente riappropriarsi davvero della storia della Matera antica. E quindi ritornare anche alle cave che circondano la città e che sono state il punto di partenza di tante costruzioni nei Sassi almeno a partire da un certo periodo. Un luogo emblematico anche per capire lo sfruttamento e i sacrifici di tanti lavoratori in passato. Ecco, un parco ragionato e completo delle cave (c’è, dentro un contenitore più vasto, ma funziona male) sarebbe un lascito utile di Matera 2019. Che scava (è la parola!) nella storia più viva e dolorosa degli uomini. E ne mette in luce la fantasia e l’intelligenza nei manufatti che poi hanno dato vita a quel centro storico a cui siamo in tanti così affezionati.
Un modo non solo per capire la storia ricca e complessa di un territorio ma per ricercare nel passato più profondo le ragioni del futuro per Matera, ma anche per tutti noi.
Foto di Mario Carbone

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