Con questo articolo Michele Fumagallo chiude la corrispondenza da Matera che ha accompagnato i lettori del Manifesto in rete per tutto il 2019. In tutto questo arco di tempo, Michele ha tenuto aperta una finestra su una città che si è conquistata la posizione di capitale europea della cultura. Ha evidenziato luci e ombre che hanno accompagnato l’evolversi di questa manifestazione, dandoci una visione più ampia storica, politica e sociale di questi luoghi.
Ma ha contribuito a rendere questo blog il luogo di convergenza di idee, informazioni, riflessioni che da Sud a Nord avrebbero dovuto esserne l’anima. Per questo da parte nostra un grande ringraziamento e tanta gratitudine, nella speranza che, dopo una meritata pausa, la comunicazione riprenda da altri orizzonti.
(La redazione)
di Michele Fumagallo
Se c’è una cosa che risalta agli occhi, dopo quest’anno di sbornia festivaliera dedicata alla città dei Sassi, è una vicinanza più forte all’Europa. La sottocultura sudista, cancro degli ultimi decenni nel Mezzogiorno, è stata in parte allontanata. Si avvicina, nella città dei Sassi ma non solo (parliamo di tutti i territori di base europei), una lotta più forte tra europeisti e antieuropeisti, una lotta per l’Europa politica che si affaccia prepotentemente alla ribalta come necessità imprescindibile, pena una decadenza di cui sarebbe proprio il Sud Italia, come parte debole, a pagare i prezzi più salati.
Ritorna praticamente al Sud, questo è davvero un lascito oggettivo (non soggettivo come avrebbe dovuto essere) di Matera, la lotta per l’Europa in termini più politico-ideali, e più lontani dai parametri economico-liberisti che ci hanno messo in un “cul de sac” da cui facciamo fatica a uscire. Naturalmente si parla di una lotta appena agli inizi quindi non facile, a differenza di quanto suggeriscono gli europeisti del Pd venuti a dar man forte alle ultime battute del finale di festa (David Sassoli presidente del Patrlamento Europeo, Dario Franceschini ministro per i beni culturali, Giuseppe Provenzano ministro per il sud e la coesione territoriale), a dire delle cose anche giuste ma troppo spostate sul versante ottimistico, un linguaggio che non chiama alla lotta e alla responsabilità ma a una delega comunque camuffata.
E la delega, questo dovrebbero saperlo i nostri interlocutori, è un male atavico nel Mezzogiorno. Certo, tutta la cultura politico-sociale degli anni del dopoguerra se n’è andata ed è quindi difficile ragionare in presenza di una “dittatura” dell’amministrativo. Ma la battaglia è proprio questa: che la politica ritorni alla grandezza dello scontro sociale.
Intanto, per restare al problema Europa, a Matera il Continente, assente nella pratica progettuale della costruzione delle nuove istituzioni europee, è stato invece presente sia nei suoi volontari che negli scambi tra centri culturali, università e quant’altro. E quindi, tornare indietro su questo, Salvini o non Salvini, sarà piuttosto difficile.
L’altra cosa che va rimarcata è la moltiplicazione dei visitatori, inimmaginabile soltanto pochi anni fa. Una cosa ovviamente positiva ma che ha anche sottolineato una mancanza di guida politica della città, un’incapacità di convogliare le masse verso un turismo consapevole e nuovo, che facesse comprendere che Matera non è un “presepe” o una “disneyland”, come ha denunciato qualcuno, ma una città certo dal mirabile centro storico ma anche delle “cavità”, dei “sotterranei”, del “rupestre”. La Matera autentica si ribella a una conoscenza di superficie, perché la sua storia e la sua bellezza stanno nelle profondità del “non visto”, insomma di un underground non solo in senso stretto ma filosofico.
In sintesi, si può dire che il difetto di “Matera 2019” è stato soprattutto quello del primato del festival, cioè del consumo, sulle strutture culturali. Un grave errore (che si cerca di riparare, in verità, ma con molto ritardo) non solo in sé perché mancano molte strutture culturali all’altezza soprattutto al Sud, ma perché è avvenuto in un tempo storico quando i consumi culturali fine a se stessi hanno da tempo stancato, lasciato un vuoto di prospettiva e di senso nel cittadino.
Un altro limite da segnalare nei vertici di Matera 2019 è stata la retorica sul “nuovo”, sul “moderno” sulle “nuove tecnologie” sul “mondo che va in quella direzione”. Una cosa a volte insopportabile, non solo perché i vaticini sul futuro lasciano spesso il tempo che trovano, anche quando apparentemente sono accompagnati da parziali protagonismi di alcuni cittadini, ma perché quando la “modernizzazione”, esigenza di tutti, viene staccata dalla lotta sociale e politica, meglio: dalla lotta tra i ricchi e i poveri, essa diventa “ideologia” (falsa coscienza), naturalmente “ideologia dominante”. Se si vuole, in termini più antropologici, diventa un oggetto “sacro”, un “totem” da cui aspettarsi chissà cosa, insomma diventa un’illusione e poi un’oppressione per le classi subalterne. Certo non per quelle dominanti che ci marciano più che bene sopra.
Tuttavia quest’anno ha dimostrato, con tutte le sue incongruenze, che i territori del Sud che si alzano in piedi, senza complessi di inferiorità quindi, diventano imbattibili e possono “esplodere” tranquillamente come qualsiasi altra area europea. Tutto sta a liberarsi da: sudismi, proteste (che sono spesso anticamera di rassegnazione soprattutto qui), deleghe su tutto, vecchiezze analitiche, e naturalmente gli antichi e sempiterni “nonsipuotismi”.
Adesso che quest’anno è terminato, c’è un grande lavoro da fare soprattutto per una sinistra radicale e profonda (da costruire, sia chiaro, niente “residui”!) che voglia esprimere il meglio della vecchia cultura europea dentro un futuro che si annuncia affascinante proprio perché è insieme un grande sogno e una grande incognita.
Matera può intraprendere a viso aperto questa strada e questa battaglia, se vuole. Troverà tanti territori amici nel Continente a cui potrà attingere esperienza ma anche dare consigli. E troverà sempre, se non perde la sua anima “arcaica” e “letteraria”, chi l’amerà di un affetto profondo. Come capitò, scusate l’aspetto autobiografico, ormai circa 50 anni fa, a un giovane in lotta che cercava autonomia e libertà e, sull’onda delle letture di Levi e di Scotellaro, si affacciò un giorno sui Sassi e voleva urlare per l’emozione.
P.S.: Questa è l’ultima puntata di “Qui Matera Qui Europa”, rubrica settimanale con cui ho cercato di accompagnare criticamente quest’anno di Matera capitale europea della cultura. 50 brevi (o, a volte, forse lunghe) incursioni in una città del Sud per capire cosa si muove in essa in rapporto alla costruzione europea. Forse un viaggio superficiale e, a volte, ripetitivo, forse utile per una discussione. Certo, ho notato, che nessun giornale, tranne quelli locali per ovvi motivi, ha offerto uno spazio settimanale alla peraltro osannata città dei Sassi. Lo ha fatto invece questo sito web di Bologna, con un merito (e magari un rischio) tutto sommato non da poco.
Foto di Fosco Maraini