di Riccardo Lenzi
La vigilia di Natale del 1979 le truppe sovietiche avevano invaso l’Afghanistan, un’occupazione che sarebbe durata fino all’inizio del 1989. La resistenza afghana sarà sostenuta dagli Usa e arruolerà anche volontari islamici provenienti da vari paesi arabi. Dal maggio ’79 il primo ministro del Regno Unito è Margaret Thatcher, alla quale verrà dato il soprannome di Iron Lady (Lady di Ferro). Presidente degli Stati Uniti è il democratico Jimmy Carter, che l’anno successivo sarà sostituito dal repubblicano Ronald Reagan, un attore di Hollywood prestato alla politica. Thatcher e Reagan imporranno all’occidente le politiche economiche neoliberiste che, negli anni a venire, prenderanno piede in tutto il mondo.
In Italia presidente del Consiglio è il democristiano Francesco Cossiga che due anni prima, durante la disastrosa gestione del sequestro di Aldo Moro, era ministro dell’Interno (nel 1985 sarà eletto Presidente della Repubblica, anche con i voti del Pci). A capo dei servizi segreti italiani ci sono due iscritti alla loggia massonica P2: il generale Giulio Grassini, capo del Sisde (servizio segreto civile), e il generale Giuseppe Santovito, capo del SISMI (servizio segreto militare). Anche il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giovanni Torrisi, era iscritto alla P2.
Nelle classifiche delle canzoni più ascoltate in Italia, al numero 1 c’è Video killed the radio stars dei Buggles, gruppo che verrà presto dimenticato. Al cinema escono Shining di Stanley Kubrick, Toro scatenato di Martin Scorsese, The Blues Brothers di John Landis, La città delle donne di Federico Fellini e Il tempo di mele del regista francese Claude Pinoteau (esordio della giovanissima attrice Sophie Marceau). Tra i registi italiani si afferma Carlo Verdone con il film a episodi Bianco, rosso e verdone.
In Italia il 1980 inizia malissimo: il giorno della Befana, a Palermo, un commando uccide il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, che aveva avviato un’azione di moralizzazione della vita pubblica, bloccando alcuni appalti in odor di mafia; altra “colpa” imperdonabile del dirigente democristiano fu quella di riprendere il filo della politica di Aldo Moro, tentando di coinvolgere il Pci nel governo della cosa pubblica. L’omicidio, attribuito esclusivamente a Cosa Nostra, avviene sotto gli occhi della moglie di Mattarella, Irma Chiazzese, che riconoscerà in un identikit l’assassino del marito: Giuseppe Valerio Fioravanti, leader dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari, sigla dell’estrema destra romana). Fioravanti sarà però assolto su richiesta del pm Giuseppe Pignatone, l’attuale procuratore capo di Roma che conduce l’inchiesta Mafia Capitale.
Un mese dopo saranno le Brigate Rosse ad uccidere uno dei massimi esponenti delle istituzioni: il vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet viene freddato all’università La Sapienza, sotto gli occhi della sua assistente Rosy Bindi. Il 23 giugno, sempre a Roma, Gilberto Cavallini ammazza (sparandogli alle spalle, mentre aspettava l’autobus) il magistrato Mario Amato, che aveva 41 anni. Il sostituto procuratore stava indagando sull’omicidio del collega Vittorio Occorsio (10/7/1976) e sui collegamenti tra il terrorismo di estrema destra e la banda della Magliana.
Amato aveva intuito i legami tra il sottobosco economico-finanziario, il potere pubblico e la criminalità organizzata (un marciume che oggi è riemerso con lo scandalo di Mafia Capitale) e si era più volte rivolto al CSM, inutilmente: fu lasciato solo, senza scorta e senza un’auto blindata. Quella mattina la moto da cui scese Cavallini era guidata da un ragazzo di 17 anni, Luigi Ciavardini. Come mandanti dell’omicidio saranno condannati Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti, allora ventenni; quella sera i due giovani neofascisti festeggiarono con ostriche e champagne, poi scrissero questo messaggio di rivendicazione: “Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8:05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno”.
Quaranta giorni dopo l’omicidio Amato, alle 10.25 del 2 agosto 1980, nella sala d’attesa di seconda classe della stazione centrale di Bologna esplode un ordigno di circa 23 kg, composto da 5 chili di tritolo e T4 (una miscela chiamata Compound B e che viene usata in campo militare). I restanti diciotto chili erano di nitroglicerina. L’innesco è costituito da un timer artigianale di natura chimica, che non può essere innescato accidentalmente.
La bomba era custodita in una valigia posizionata su un tavolino portabagagli, a una cinquantina di centimetri da terra, in prossimità di un muro portante; circostanze che ne potenziano gli effetti devastanti. L’esplosione abbatte i muri portanti di quella sala, il tetto, la pensilina del primo binario, i locali del bar ristorante, gli uffici. L’onda d’urto, portando con sé i detriti dell’esplosione, investe il treno speciale fermo sul primo binario e, dalla parte della piazza, si abbatte sui taxi in attesa dei clienti. Le vittime saranno 85; più di 200 i feriti.
Grazie alla tempestività ed alla coralità dei soccorsi, la città di Bologna riceverà una medaglia d’oro al valore civile: “L’intera popolazione, pur emotivamente coinvolta, dava eccezionale prova di democratica fermezza e di civile coraggio. In una gara spontanea di solidarietà collaborava attivamente con gli organi dello Stato, prodigandosi con esemplare slancio nelle operazioni di soccorso. Contribuiva così per la tempestività e l’efficienza a salvare dalla morte numerose vite umane, suscitando il plauso e l’incondizionata ammirazione della nazione tutta”.
Il 13 gennaio 1981 su un treno Taranto-Milano viene ritrovato un borsone contenente, tra l’altro armi, munizioni, esplosivo dello stesso tipo di quello utilizzato per la strage e due biglietti aerei emessi a nome di due cittadini stranieri: si scoprirà che si tratta di un’operazione di depistaggio orchestrata dai servizi segreti militari, che avevano inventato anche il nome di questa missione: “Terrore sui treni”. Il 17 marzo i magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone scoprono l’esistenza della loggia massonica P2, il cui capo è Licio Gelli. Il 22 maggio viene emesso un ordine di cattura per Licio Gelli (fuggito in Svizzera, verrà arrestato il 13 settembre ’82; il 10 agosto ’83 riuscirà ad evadere).
Il 1° giugno 1981 nasce l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage. Presidente dell’associazione è Torquato Secci, padre di Sergio Secci, una delle 85 vittime; scomparso nel 1996, oggi la sala d’attesa della stazione è intitolata a lui. Anche grazie all’impegno dell’Associazione, la strage di Bologna è una delle poche che ha dei responsabili condannati in via definitiva.
Il 23 settembre 1981 il Parlamento dà vita alla Commissione d’inchiesta sulla P2, che sarà presieduta dall’onorevole Tina Anselmi. Nel luglio del 1982 all’aeroporto di Fiumicino viene fermata Maria Grazia Gelli (figlia di Licio, morirà in un incidente stradale nel ’88): nel doppio fondo della sua valigia viene ritrovato il documento “Piano di rinascita democratica”.
Dopo un lungo iter processuale, il 23 novembre 1995 la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite Penali ha definitivamente condannato all’ergastolo come esecutori materiali della strage Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Inoltre sono stati condannati per il reato di calunnia aggravata – ovvero per aver depistato le indagini – Licio Gelli, il “faccendiere” Francesco Pazienza, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte, questi ultimi due ufficiali del servizio segreto militare (tra gli imputati c’era anche il generale Santovito, capo del SISMI, deceduto durante il processo). L’11 aprile 2007 la Cassazione condannerà in via definitiva a 30 anni di carcere Luigi Ciavardini, terzo esecutore materiale, che era stato processato a parte in quanto minorenne. Dal 2009 Ciavardini è in semilibertà. Il suo nome è ricomparso sui media un anno fa, perchè è spuntato nelle intercettazioni dell’inchiesta Mafia Capitale, dopo l’arresto di Massimo Carminati (anch’egli membro dei Nar, fu processato ed assolto per la strage alla stazione: era accusato di essere coinvolto nei depistaggi).
I Nar hanno ucciso in tutto 118 persone. Giusva Fioravanti, oltre all’ergastolo per la strage, ha collezionato altri 7 ergastoli per 8 omicidi. A questi si aggiungono 134 anni e 8 mesi di reclusione per altri reati. Fioravanti è rimasto in carcere 18 anni. Francesca Mambro di ergastoli ne ha presi 9, più 84 anni e 8 mesi di reclusione per altri reati. Gli anni che ha effettivamente scontato in carcere sono 16. Mambro e Fioravanti si sono sposati nel carcere di Rebibbia il 1° febbraio 1985. Attualmente sono entrambi liberi e vivono a Roma con la figlia nata nel 2001.
Con la strage di Bologna si chiudono drammaticamente gli anni Settanta. In attesa di conoscere i nomi dei mandanti di questa e delle altre stragi avvenute in Italia tra il 1969 e il 1993, recenti studi hanno dimostrato che, rispetto a quello che si era creduto in passato, la stagione della strategia della tensione iniziata con la strage di Piazza Fontana non terminò nel 1974, anzi: nella seconda metà degli anni Settanta venne rilanciata una strategia a 360 gradi, che ebbe il suo apice con l’omicidio di Aldo Moro e la strage alla stazione di Bologna e che proseguì, anche dopo la sconfitta del terrorismo politico, con le stragi “di mafia” del 1984 e degli anni Novanta.
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