Lettera aperta ai governanti della Regione Emilia Romagna: recuperate una cultura urbanistica

27 Maggio 2017 /

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di Ilaria Agostini, Paolo Baldeschi, Piergiorgio Bellagamba, Donato Belloni, Rossana Benevelli, Paolo Berdini, Enrico Bettini, Ivan Blecic, Stefano Boato, Giuseppe Boatti, Paola Bonora, Ilaria Boniburini, Luisa Calimani, Pier Luigi Cervellati, Giancarlo Consonni, Alessandro Dal Piaz, Luigi De Falco, Vezio De Lucia, Marina Foschi, Maria Cristina Gibelli, Sergio Lironi, Giovanni Losavio, Alberto Magnaghi, Lodovico Meneghetti, Guido Montanari, Loredana Mozzilli, Domenico Patassini, Ezio Righi, Piergiorgio Rocchi, Sandro Roggio, Edoardo Salzano, Enzo Scandurra, Giancarlo Storto, Giulio Tamburini, Sauro Turroni, Graziella Tonon
Per molti urbanisti italiani l’esperienza dell’Emilia-Romagna, anche prima dell’attuazione dell’ordinamento regionale, rappresentava un modello senza confronti nel nostro Paese. Ricordiamo la prestigiosa Consulta urbanistica regionale che contribuì in modo determinante alla formazione del decreto ministeriale sugli standard del 1968. In anni più recenti, in attuazione della cosiddetta legge Galasso, la Regione Emilia-Romagna (assessore Felicia Bottino) si è dotata di un esemplare piano paesistico che ha tutelato con rigore le risorse storiche e ambientali della regione.
Senza dimenticare i comuni di Bologna – in particolare al tempo degli assessori Giuseppe Campos Venuti e Pierluigi Cervellati – di Modena, Reggio Emilia e di altre realtà locali che sono stati a lungo un riferimento obbligatorio della cultura urbanistica non solo italiana. Ma a partire dagli anni Ottanta del Novecento, a poco a poco, il primato dell’Emilia-Romagna è andato in crisi, gli strumenti urbanistici dell’ultima generazione hanno ceduto alla filosofia della globalizzazione, del privatismo, della contrattazione. È stata anche cancellata la tutela integrale dei centri storici che da Bologna era stata esportata in tutto il mondo.

Ed eccoci all’ultimo progetto di legge regionale «sulla tutela e l’uso del territorio» che compie un irresponsabile salto di scala fino alla negazione della stessa disciplina urbanistica. Il progetto di legge approvato dalla Giunta regionale, prevede una strumentazione urbanistica comunale articolata in: piano urbanistico generale (PUG) e accordi operativi. Il PUG dovrebbe stabilire «la disciplina di competenza comunale sull’uso e la trasformazione del territorio» (art. 29, c. 1, lettera a), ma la novità dirompente è che «il PUG non può [corsivo nostro] stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato e di quelle di nuova urbanizzazione né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili con la sola eccezione degli interventi attuabili per intervento diretto» (art. 32, c. 4 e art. 37, c.1).
Quindi, secondo il progetto di legge, è bene ripeterlo, alla «disciplina di competenza comunale sull’uso e la trasformazione del territorio» è addirittura inibito di «stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato e di quello urbanizzabile né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili». Com’è possibile? A chi spetta allora, se non al piano urbanistico comunale, di definire la capacità edificatoria e i parametri urbanistici?
Spetta agli accordi operativi derivanti dalla negoziazione fra l’amministrazione comunale e gli operatori privati che hanno presentato al comune un’apposita proposta (art. 37, c. 3), da approvare in 60 giorni, tempo proibitivo per i comuni. E siffatti accordi «sostituiscono ogni piano urbanistico operativo e attuativo, comunque denominato» (art. 29, c. 1, lettera b). La conseguenza è un piano urbanistico comunale privo di contenuti dimensionali e localizzativi: non si sa quante saranno e dove saranno ubicate le nuove residenze, le attività produttive, le attrezzature e i servizi.
Altro contenuto inaccettabile della nuova legge urbanistica riguarda il contenimento del consumo del suolo. Ogni comune può prevedere un consumo di suolo pari al 3% del territorio urbanizzato. Quest’espansione è destinata a opere d’interesse pubblico e a insediamenti strategici «volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio» (art. 5, c. 2). Non sono consentite nuove edificazioni residenziali, a meno che non siano destinate ad attivare interventi di rigenerazione del territorio urbanizzato e per interventi di edilizia residenziale sociale (art. 5 c. 3).
Non sono invece computati ai fini del calcolo del 3%: i suoli per opere d’interesse pubblico per le quali non sussistano ragionevoli alternative; gli ampliamenti di attività produttive; i nuovi insediamenti produttivi d’interesse strategico regionale; nonché gli interventi previsti dai piani urbanistici previgenti autorizzati entro tre anni dall’approvazione della nuova legge (art. 6, c. 5). Si mettono così al sicuro i cosiddetti diritti acquisiti, ed è stato calcolato che, alla fine, tenendo conto anche delle discutibili modalità di individuazione della superficie urbanizzata, il consumo di suolo consentito sarà di gran lunga superiore, fino al doppio o al triplo, del previsto 3% della superficie urbanizzata. Come nei piani urbanistici degli anni della grande espansione.
Trascuriamo altri contenuti del progetto di legge – in particolare quelli relativi al possibile ridimensionamento degli standard e alle complicazioni che il nuovo labilissimo assetto della strumentazione comunale determinerà nei riguardi della pianificazione sovraordinata – tornando agli accordi operativi che, secondo la proposta di legge possono essere elaborati e presentati esclusivamente dalla proprietà fondiaria. Al comune rimangono l’assurda verifica di conformità a una pianificazione superflua, priva di disposizioni cogenti, e la negoziazione con i privati in materia di dotazioni, infrastrutture e servizi.
In assenza di proposte private il comune non può fare alcunché, meno che mai formare propri piani urbanistici. Diventa leggendaria l’autonoma capacità d’intervento, il talento e l’inventiva dei comuni e degli enti locali dell’Emilia-Romagna dei trascorsi decenni.
Questo testo è stato pubblicato sul sito del consigliere regionale dell’Altra Emilia Romagna Piergiovanni Alleva

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