È finito sui giornali per una scelta inedita, che a qualcuno è sembrata anche un oltraggio all’autorità scolastica: non sostenere l’esame orale della maturità.
Si chiama Gianmaria Favaretto, ha 19 anni e frequentava il liceo scientifico Fermi di Padova. E ha fatto parlare di sè per un rifiuto che comunque non ha compromesso la promozione. Grazie ai crediti maturati negli anni scolastici e ai risultati delle prove scritte dell’esame di maturità, infatti, aveva già raccolto 65 punti necessari a diplomarsi.
Il clamore per la notizia, però, ha offuscato due dettagli non secondari. Dopo un confronto con i docenti, infatti, il giovane ha acconsentito a rispondere a qualche domanda. Ma soprattutto a essere interessanti sono le motivazioni del rifiuto: una critica al sistema di valutazione.
La sfida di Gianmaria: dietro il no all’esame orale alla maturità una critica al sistema di valutazione
«Grazie ai 31 crediti maturati negli anni e agli altrettanti guadagnati con le due prove scritte, avevo raggiunto la sufficienza. E così, la mattina stessa dell’orale, ho preso definitivamente una decisione che, in realtà, avevo maturato nel corso dell’intero ultimo anno di scuola», ha spiegato Favaretto, secondo quanTo riportato in un articolo di la Repubblica che parla della vicenda.
Non solo. Lo studente ha reputato l’esame orale «un’inutile formalità, per assegnare un punteggio a una persona, come se quel numero bastasse a qualificarne il valore. Non penso che sia il voto della maturità a qualificare le singole persone. Tutti dicono che è soltanto un numero, ma la concezione esterna è differente, e a me non piace».
Più o meno consapevolmente la posizione dello studente rievoca tutto un filone di pensiero che riguarda il sistema di valutazione delle competenze scolastiche. Un filone noto fin dai tempi di Don Milani e che critica i sistemi che traducono in numeri o in lettere le capacità di studentesse e studenti, anche per il fatto che le valutazioni di questo tipo non tengono conto di elementi di contesto, come il punto di partenza dell’allievo o dell’allieva e l’ambiente culturale e famigliare di provenienza.
Ai nostri microfoni l’insegnante e scrittore Christian Raimo commenta la notizia. «A me quello dello studente sembra un gesto di autonomia, che non è un caso personale ma a suo modo un caso politico – osserva Raimo – E mi ha colpito molto la reazione di alcuni adulti, che sembra un riflesso pavloviano che conferma quello che lo studente voleva mostrare, cioè che non si può imporre il senso di un processo educativo se quel senso condiviso».
L’originalità del gesto sta nelle modalità scelte per la protesta politica. Raimo cita Bartleby e il «preferirei di no», equiparando la vicenda al fenomeno delle grandi dimissioni dai luoghi di lavoro, che manifestano un’opposizione al sistema vigente non attraverso l’azione, ma attraverso la sottrazione.
Nel merito del sistema di valutazione, il docente sottolinea che «tutti dicono che il voto non conta, poi però conta per i professori, conta per le famiglie, conta per il registro elettronico, conta per capire chi sei. Quindi perché io dovrei prescindere da questa infinita retorica del voto e non provare a metterla in discussione?».
Da docente, Raimo osserva anche che negli ultimi anni attorno alla scuola c’è una riflessione interessante e scientificamente qualificata sulla valutazione e la differenza tra una sommativa e una formativa. «Quel ragazzo forse non ha consapevolezza di un discorso che mette in discussione il concetto di voto numerico – conclude Raime – sicuramente però sente che un sistema che fa della valutazione semplicemente una classificazione è insufficiente, non ha un senso».