Gli spazi all’aperto delle scuole

di Silvia R. Lolli /
26 Novembre 2024 /

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Proseguo le riflessioni della Prof.ssa Bianca Maria Cattabriga (QUI) sugli spazi scolastici odierni a Bologna ed apro una finestra che riguarda soprattutto l’educazione fisica e sportiva, cioè una materia che ha sempre trovato poca attenzione nella Repubblica italiana. I suoi sono spazi che oggi più che mai faticano a diventare luoghi, soprattutto educativi. La sua cultura è in via di completa estinzione, a causa della revisione costituzionale (vedi art. 33) e non solo.

Ragionare sugli spazi scolastici guardando, come ha scritto Cattabriga, le culturali trasformazioni nella progettazione delle scuole bolognesi aggiunge a questa critica un’ulteriore conferma, suffragata inoltre da una pessima legge regionale che mi prende in giro per la denominazione “consumo di suolo zero”; fa il paio con la legge sullo sport di cui solo Bonaccini e i suoi accoliti associazionismi sportivi sentivano il bisogno. Rispetto alla precedente, già tutelante le persone che si avvicinavano alle tante attività sportive, l’ultima si è rivolta agli impianti sportivi per i grandi eventi che infatti si sono moltiplicati sul territorio regionale, vedi ultimo esempio il tour de France. Quanta sostenibilità apportano?

Per la scuola oggi non si progetta più pensando alla didattica dell’educazione scolastica, cioè ai necessari spazi flessibili, grandi, senza recinti; tanto meno si pensa all’educazione fisica e sportiva (così è intesa in tutti i paesi del mondo!) e ai suoi bisogni di spazi/luoghi anche all’aperto ampi ubicati all’interno dell’impianto scolastico, a palestre e “palestrine” da dedicare alle attività di movimento praticate secondo le età. Fra l’altro questi spazi dovrebbero avere luce ed aria sufficienti che forse oggi sono normati con i criteri attuali: altezze più basse, finestre e porte meno grandi… Tutto è finalizzato all’efficienza energetica, all’economicità e per i desideri delle tantissime società sportive e federazioni che sono alla continua ricerca di impianti sportivi per i loro bisogni spesso solo specifici.

L’educazione fisica sportiva scolastica ha bisogno di impianti, con spogliatoi e uffici annessi ampi, visto che le classi sono sempre più numerose e di palestre ed altri spazi appunto all’aperto per programmare attività consone all’età degli studenti.

Quindi all’educazione fisica occorrono spazi, anche poco strutturati, ma liberi e più naturali. Educazione motoria per la scuola primaria, scienze motorie per la secondaria di secondo grado, sono gli assurdi termini usati nella scuola italiana: le nuove parole sono sempre presenti, le pratiche invece, cioè l’epistemologia propria della materia, sono sempre assenti in Italia! E il sistema sportivo continua a crescere e a entrare negli spazi scolastici anche in orario curricolare. Poi continua a spiegare che gli insegnanti non sanno fare il loro lavoro…

Dunque, gli spazi, però non si possono denominare in forma sbagliata. Infatti, si confonde lo spazio aperto con spazio all’aperto. Anche la palestra coperta è uno spazio aperto, come gli spazi flessibili di cui ha scritto la collega Cattabriga e non possono essere confusi con lo spazio all’aperto.

Quest’ultimo dovrebbe essere consono, cioè adeguato ad un’attività che sia il più possibile sostenibile e anche per il libero movimento. Oggi però c’è un’avvertenza importante, un pericolo: svolgere educazione fisica e sportiva all’aperto nella nostra pianura padana non è salutare, visto il grado di inquinamento che abbiamo. Intanto il sistema sportivo insegna a correre sui viali di circonvallazione bolognesi…

Fare educazione fisica all’aperto in spazi angusti, polverosi, senza alberi è ancora più da vietare. Allora? Continuiamo a progettare nuove costruzioni (consumo di suolo zero?), nuove strade, rigassificatori, uso continuo e infinito di fonti fossili per il riscaldamento e la mobilità; poi le scuole, anche quelle più avveniristiche degli anni Ottanta del secolo scorso devono essere smantellate e sacrificate per aumentare cementificazioni di un territorio una volta fiorente ed agricolo, oggi sempre più povero.

La nostra politica si presenta come un Giano bifronte, anche quella che si dice progressista, ma verso dove? È contraddittoria, forse solo schizofrenica. Come la situazione Besta ci insegna, non è più la cultura del togliere spazi malsani, catapecchie per aprire spazi ad una piazza che fu chiamata Maggiore non a caso la cultura di Bologna attuale è un’altra. Opera all’incontrario: gli ampi spazi verdi sono da riempire con cemento e asfalto. La fascia verde lungo la vecchia tangenziale dov’è? I parchi attorno alle scuole, Besta, Dozza, Farini per esempio dove sono, che cosa ne è rimasto?

Oggi si toglie, ma è lo spazio libero (comune) e il verde che si annullano nell’urbanistica odierna. Poi si recinta; le enclosures inglesi stanno bene con l’iperliberismo del primato dell’individuo e il sentimento dell’insicurezza: tutti elementi di un’unica cultura. Intanto cresce il problema dell’obesità infantile e di altri disagi psico-fisici poi sociali legati alle tecnologie.

Dov’è la vecchia Bologna? Da tempo non mi sento più di vivere in una città, ma in un luogo attraversato e consumato. Quindi la scuola locale ne risente e si vede bene.

Negli anni Ottanta anch’io, ma come supplente, ho insegnato in diverse scuole medie di I grado costruite pochi anni prima, poi il ruolo più che trentennale l’ho svolto alle superiori di secondo grado; quelle scuole avevano finalmente spazi palestra, divisibili e aperti verso un ampio parco che permetteva di lavorare con le attività fisiche sportive anche all’aperto. Negli ultimi anni lo spazio attorno a quelle scuole è stato per lo più recintato; quindi è diminuito. Come è diminuito il parco nel suo complesso perché ha lasciato il posto, vedi Dozza, ad altri plessi scolastici, materne, elementari…Risultato: ogni scuola è recintata, con un proprio piccolo spazio attorno alla struttura costruita. Ora al parco Dozza sono stati ripiantati piccoli virgulti, ma i tanti tigli di un certo diametro recentemente ci hanno lasciato le penne…silenzio assoluto da parte dei cittadini della Barca, a differenza di ciò che è successo alle Besta.

Solo menefreghismo o supina accettazione o per molti l’idea che una scuola, soprattutto se statale, deve avere comunque la precedenza su tutto? È questo un paradigma importante, ma deve oggi essere riletto contestualizzando meglio la situazione del territorio bolognese, ormai devastato. Da tempo studiosi, per esempio fin dalla medico/pedagogista Montessori ci spiegano che è il contesto ambientale che fa l’educazione scolastica.

All’estero hanno seguito i suoi studi e quelli più recenti di un febbraio pedagogico bolognese che portò agli impianti scolastici oggetto di demolizione oggi; quindi stiamo demolendo quella scuola che forse aveva nei confronti dell’educazione fisica e sportiva un po’ di aperture rispetto alla normalità della Repubblica italiana.

Per esempio, se nei giardini scolatici c’era qualche albero il dirigente non proibiva certo di svolgere l’ora di educazione fisica, magari con l’insegnante che poteva liberamente far arrampicare su un albero, come è sempre stato. Del resto, l’arrampicarsi in termini ginnastici si è definito un movimento naturale! Non c’era un tempo la paura di un infortunio, sia perché  gli allievi erano più capaci, sia perché la presenza dell’insegnante tutelava in termini di infortunio (che può sempre capitare nell’ora di educazione fisica) e in termini di vigilanza (vedi la legge sulla sicurezza).

Oggi anche a causa delle esagerate responsabilità in capo a dirigenti (c’è stata l’autonomia scolastica) e nell’insegnamento si ingessa qualsiasi forma di movimento nella scuola italiana. Assieme a questo contesto normativo, interpretato in modo nuovo anche per tutelarsi nei confronti di genitori sempre più alla ricerca del premio assicurativo, mentre sono inefficienti per lo sviluppo motorio ed autonomo del bambino, c’è la progettazione urbanistica che chiude gli spazi, così da costringere i bambini in gabbie che fra l’altro, quando le numerosità delle classi sono alte, aumentano il grado di rischio, vedi agibilità ed abitabilità degli spazi…ma di questo si parla a sufficienza?

In termini di sicurezza e riguardo alle palestre scolastiche così tanto richieste dalle società sportive, non mi risulta ci siano precise indicazioni rispetto al tema della pubblica sicurezza. Visto che la  responsabilità della scuola autonoma è tutta in capo al dirigente scolastico, dovrebbe esserlo anche per la palestra, perché per essa è il Comune che fa le convenzioni con i gestori degli impianti, siano società o gestori veri e propri?

Al di là delle lunghe catene per verificare le responsabilità sul modo di utilizzo della palestra scolastica (spesso dopo allenamenti e partite rimangono sui muri scritte indecenti e gli spogliatoi nuovi sono ben presto vandalizzati), mi chiedo: in queste convenzioni ci sono precise norme sull’adeguatezza dell’impianto ad ospitare persone che non sono allenatori e atleti?

Per esempio, rispetto alla cubatura e agli spazi/tribune, spesso assenti, si dovrebbero prevedere norme specifiche in termini di pubblica sicurezza; se succede qualcosa fra il pubblico presente chi è il responsabile? Poi vengono sempre rispettate il massimo delle presenze rispetto alle norme anti incendio o quelle stabilite dalla L. 81/08? Il dirigente scolastico è il responsabile nella scuola dell’autonomia, senza contare poi che le scelte degli utilizzatori e i rimborsi sulle spese per l’uso della palestra non sono, con queste convenzioni, di sua decisione.

Perché? Mi risulta che l’uso a persone esterne dell’aula magna delle scuole, oppure di qualche aula, è invece di diretta competenza del dirigente scolastico. La palestra si vuole un luogo scolastico altro, soprattutto al servizio del sistema sportivo e non di quello educativo e nonostante la pessima revisione dell’art. 33 cost.

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