Un’inchiesta dal basso prova a fare luce sui costi sociali e le nuove diseguaglianze di Bologna

di Alice Facchini /
17 Aprile 2024 /

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Dalla precarietà lavorativa alla difficoltà di accesso ai servizi pubblici come sanità, trasporti, istruzione, fino all’impennata del prezzo degli affitti. L’indagine che punta a indagare le trasformazioni è promossa dalla Cgil di Bologna e Imola, dall’Istituto Ires in cooperazione con Arci, Link, Unione degli universitari e Piazza Grande. I primi risultati arriveranno a giugno.

Città che producono, che cambiano, che espellono. Città sempre più diseguali, che hanno dei costi -economici, sociali, ambientali- che raramente le statistiche tradizionali riescono a immortalare. Per questo a Bologna è stata lanciata l’inchiesta sociale sui costi della città, realizzata dalla Cgil di Bologna e Imola e dall’Istituto per le ricerche economiche e sociali dell’Emilia-Romagna (Ires) assieme a Arci, Link, Unione degli universitari (Udu) e Piazza Grande. L’obiettivo è ambizioso: realizzare “un’inchiesta sociale dal basso”, con un punto di vista alternativo e indipendente sulle trasformazioni della città. Dalla precarietà nel lavoro alla difficoltà di accesso ai servizi pubblici come sanità, trasporti, istruzione, fino all’impennata del prezzo degli affitti e dell’inflazione. Da metà febbraio, i cittadini possono partecipare attraverso un questionario anonimo, compilabile sia online sia in formato cartaceo: i primi risultati arriveranno a giugno.

“Abbiamo lanciato l’inchiesta per rispondere a un’esigenza: oggi i dati ufficiali non riescono più a fare una fotografia dello stato delle disuguaglianze”, spiega Gianluca De Angelis, ricercatore di Ires che si sta occupando della ricerca. “Come si misura il livello di benessere oggi? La risposta non è scontata. La nostra ipotesi è che la differenza tra chi può vivere una vita dignitosa e chi no non passi più per il lavoro: lavorare potrebbe non bastare, ad esempio, se non hai una casa di proprietà, o accesso ad altre forme di rendita”. Questo vale per Bologna, ma anche per molte altre città: “Il capitalismo oggi è sempre di più un capitalismo di rendita, non di produzione”, afferma De Angelis. Il dato di partenza è che oggi Bologna è una città che espelle: il Comune sta perdendo abitanti, mentre li guadagna la prima cintura periferica e l’estrema periferia della città metropolitana, come l’Appennino. La punta dell’iceberg sono gli infermieri che si dimettono perché il costo della vita è troppo alto in città, o gli insegnanti che non prendono il posto a Bologna perché il mercato dell’abitare è saturo e soggetto a forti speculazioni. “Come Cgil non possiamo stare fermi, se facciamo da spettatori a queste trasformazioni sociali rischiamo che nel giro di qualche anno la città cambi volto”, ha dichiarato Michele Bulgarelli, segretario della Camera del Lavoro di Bologna.

Un focus specifico dell’inchiesta è sui servizi pubblici, che sembra stiano perdendo il peso che giocavano nella riduzione della diseguaglianza. Non parliamo solo della presenza o dell’assenza dei servizi, ma anche della loro accessibilità e della diversa capacità di scelta delle persone: “Prendiamo ad esempio la scuola -continua De Angelis-. Non solo esistono zone in cui non ce ne sono e altre in cui ce ne sono molte, ma esiste anche il fenomeno del cosiddetto white flight, che consiste nell’atteggiamento delle famiglie più abbienti di evitare alcune scuole in determinate zone o contesti culturali. In questo modo, la scuola perde la funzione di riduzione della diseguaglianza e anzi le acuisce”.

Per avere prospettive alternative e dare voce a chi nei dati ufficiali non compare, il questionario sta venendo distribuito anche al di fuori dei circuiti classici, nei mercati di paese, nelle mense popolari, nei cohousing abitativi. Oltre che online, è possibile compilarlo in forma cartacea, per riuscire a coinvolgere un target che fatica a utilizzare i mezzi digitali, in primis gli anziani. Attualmente sono già stati compilati oltre 2.500 questionari: il 58% del campione è composto da lavoratori, il 34% da pensionati. E il 30% dei rispondenti non è iscritto al sindacato. Il dato sugli studenti, invece, per il momento è molto basso: “Facciamo più fatica a parlare con i giovani -racconta il ricercatore di Ires-. All’inchiesta stanno collaborando anche associazioni studentesche come l’Unione degli universitari e la Rete degli studenti medi, eppure scontiamo di un bias di partenza: i più giovani riconoscono meno il ruolo del sindacato. E poi c’è la questione della competizione per l’attenzione, che è sempre più feroce”.

L’obiettivo primario dell’inchiesta non è quello di raggiungere un numero di risposte che sia rappresentativo statisticamente, bensì di focalizzarsi sulle correlazioni, per capire se ci sono relazioni tra variabili diverse. “Ancora prima di leggere i risultati -spiega De Angelis- immaginiamo già di trovare alcune correlazioni: ad esempio, chi ha condizioni economiche migliori presumibilmente avrà una seconda casa da affittare. Oppure, chi vive lontano dal centro avrà un accesso più limitato ai trasporti pubblici e ai servizi sanitari. Quello che risulterà interessante sarà dare la misura di queste correlazioni, o magari osservarne di meno scontate. Si tratta di cose che puoi fare solo attraverso un’inchiesta sociale di questo tipo”.

L’inchiesta sociale, infatti, non è una semplice indagine sociologica: si tratta di una metodologia che si è diffusa negli anni Settanta, un periodo storico in cui si consolidava l’idea che i diritti dei lavoratori non si affermassero solo sul luogo di lavoro, ma anche fuori. “Quello che succedeva dentro le fabbriche era fortemente interconnesso a quello che accadeva sul territorio -conclude De Angelis-. E infatti il sindacato, attraverso la contrattazione sociale territoriale, negoziava i servizi pubblici con gli enti locali: oggi questa pratica esiste ancora, ma è meno diffusa. Questa inchiesta sociale ha proprio l’obiettivo di recuperare questa visione di insieme, e ricominciare a considerare il tema del lavoro come strettamente interconnesso ad altri diritti: i trasporti, la sanità, l’abitare”.

Questo articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 16 Aprile 2024. Immagine di copertina, Bogdan Dada/Unsplash

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