Brasile, il quadro preoccupante prima del ballottaggio

di Maurizio Matteuzzi /
18 Ottobre 2022 /

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Anche quando nel 2016 irruppe chiassosamente sulla scena politica USA si disse che Donald Trump era un’anomalia quasi irripetibile del sistema politico. Poi successe quel che è successo, fino all’assalto al Congresso di Washington del gennaio 2021.

Con Jair Bolsonaro, in Brasile, dopo il “golpe blando” del 2016 con cui Dilma Rousseff fu estromessa dalla presidenza e poi con la vittoria alle elezioni dell’ottobre 2018, lo spartito è stato grosso modo lo stesso.

Altro che anomalia irripetibile.

Bolsonaro, come Trump, ha dietro di sé metà paese.

I sondaggi per le elezioni del 2 ottobre scorso, unanimemente, davano il redivivo Lula da Silva, candidato della coalizione di sinistra-centrosinistra (con spruzzi di destra che a molti non sono piaciuti, come la scelta per la vicepresidenza di Geraldo Alckmin, uomo dell’Opus Dei, che votò per l’impeachment di Dilma), in netto vantaggio su Bolsonaro e vicino alla vittoria già nel primo turno (50% dei voti più uno). Ma erano sbagliati. Lula ha vinto ma col 48.4% dovrà andare al ballottaggio, Bolsonaro ha perso ma col 43.2%, 6-7 punti in più di quanto gli veniva attribuito.

Un quadro preoccupante in attesa del ballottaggio: i risultati del 2 ottobre mostrano un Bolsonaro e i partiti di destra-estrema destra (le mefitiche e potentissime sette pentecostali in testa) che hanno fatto man bassa nel voto per il rinnovo dei 513 deputati della Camera, di 27 degli 81 senatori, dei governatori e delle cariche politiche dei 27 stati federali.

Un quadro che renderà difficilissimo governare se Lula sarà presidente. E che potrebbe diventare catastrofico nel caso perda il ballottaggio del 30 ottobre.

Le recenti elezioni in Cile, Colombia, Bolivia, Perú, perfino Honduras hanno sollevato quella “onda progressista” in America latina che ricorda il primo decennio del secolo e di cui il Brasile del presidente Lula era l’indiscusso leader.

Ma la madre di tutte le elezioni è inevitabilmente quella del 30 ottobre. Sia per l’onda progressista sia per l’onda reazionaria.

I primi sondaggi danno Lula vittorioso: 54%, 51%, 55%. Ma i sondaggi hanno già sbagliato ed evidentemente non sono riusciti (non riescono?) a intercettare un voto bolsonarista nascosto.

Lula si mostra sicuro dell’“ineluttabile trionfo” e cerca alleati a destra e a manca per “il voto utile”. Bolsonaro gioca sempre la carta trumpiana delle elezioni truccate e ha detto che se il 30 ottobre non vince con il 60% dei voti è per via di una “cospirazione”. Non rinuncia alle minacce golpiste e forse questa volta (guarda un po’ come gira il mondo) a stopparlo sarà Joe Biden, che teme un asse Trump-Bolsonaro.

Tuttavia, da qui al 30 c’è da aspettarsi di tutto. Una campagna selvaggia sul web e forse cruenta anche nelle strade che non sono più della sinistra e del PT ma della destra più sfrenata e delle milizie paramilitari (la vendita di armi con Bolsonaro è quadruplicata).

Ovviamente questo è il tempo di promesse. Quelle di Lula sono conosciute: lui è l’uomo che nei suoi due mandati (2003-2011) inventò Fome Zero e Bolsa Familia e che alzò il salario minimo per strappare dalla povertà più di 30 milioni di brasiliani.

Anche le promesse di Bolsonaro sono note: sintetizzate nella santissima trinità “Dio, Patria e Famiglia” si appoggiano su un’altra trinità, meno santa ma molto efficace: la “bancada” (gruppo parlamentare ma non solo) “BBB”: “Buey” (bue, gli agrari e l’Amazzonia), “Bala” (pallottole, le milizie e le varie polizie assassine), “Biblia” (la Bibbia, le sette pentecostali).

Durante la gestione negazionista e criminale della pandemia (quasi 700 mila morti) ha avviato il programma “Auxilio Brasil”, 400 reais al mese; da agosto, nel tentativo di strappare elettori a Lula, l’ha portato a 600 (115 euro).  C’è da aspettarsi di tutto. È andato perfino dai massoni a chiedere aiuto pur facendo molto arrabbiare i suoi amici pentecostali.

Sarà dura, durissima per Lula anche se vincerà. Ma intanto deve vincere. Si spera anche nella cabala: dall’85, (parziale) fine della dittatura militare, in tutte le elezioni il candidato vittorioso al primo turno ha sempre vinto anche il ballottaggio. Basterà?

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