Donne, cinema, guerra e pace

di Silvia Napoli /
17 Giugno 2022 /

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Volete, o miei cari dieci al massimo lettori, un assaggio di come in qualche misterioso modo sincronico si muovano le cose della cultura a Bologna, davvero ricche di molteplici e pluridirezionati stimoli in questo momento? Ebbene, entriamo allora nel sancta sanctorum dello staff di Biografilm, in quel di Lame, cercando di seguire le frenetiche attività e suggestioni che ci propone un efficiente ufficio stampa orientato coerentemente su temi e modalità di comunicazione dei medesimi. Cosi eccomi a voi, nel vivo di un briefing ad uso supposti addetti ai lavori, concertato con autori significativi del festival, del momento, delle giornate iniziali, in cui si evidenzieranno piste di ricerca e di espressività adatte ai tempi interessanti in cui ci muoviamo.

Vi avevo già annunciato già, come uno degli appuntamenti più interessanti di questa composita rassegna, la famosa maratona Ancarani, ovvero la dedica di multiple e si suppone, complete proiezioni, alla ricerca da parte di uno dei talenti più ibridi che un certo concetto di video arte e videodocumentazione annoverino in Italia, ovvero Yuri Ancarani, classe 1972, da quel di Ravenna.

Ancarani, naturalmente, un pochino in linea con le premesse, è a mio parere, un soggetto molto schietto, che si diverte a non mandartele a dire e che naturalmente deve essere complice in qualche modo della natura dissacrante dell’amico e sodale Cattelan, nel senso di Maurizio, la star dell’arte internazionale comunemente intesa. Non è difficile esercitare questa natura diretta con la sottoscritta, che viene subito chiamata in causa al tavolo a dire la sua, stante il ritardo nella presenza. Gli spunti di discussione tuttavia non mancano certo, visto che nonostante la giovane, per i canoni italiani, età anagrafica, il nostro può vantare una produzione audiovisiva estesa, originale, multiforme.

Quello che si evince dalle prove di Ancarani è che nonostante tutto, il fatto che eserciti docenza sia a Brera dove si è via via completato nell’apprendimento, sia a Ravenna natia, si esprima nel grande rispetto per una visione tutto sommato classica della forma, un approccio conoscitivo che parta da questa, per approdare poi a sentire in qualche modo “veggente”, tematiche antropologiche e sociali di peso. Come del resto l’attitudine documentaria poi comanda. L’orchestrazione musicale dei tempi e degli spazi è altro dato evidente sin dal bellissimo corto ambientato non per caso alle cave di Carrara, in cui i candidi impressionanti blocchi di marmo, capolavori essi stessi prima del genio scultoreo umano vengono fatti brillare, abbattuti, in qualche modo come addomesticati da una sorta di capomastro-direttore d’orchestra che sceglie il momento perfetto. Un qualche elemento di liquidità pur trattando elementi massicci per definizione, di circolarità mantrica propria di una certa elettronica molto amata, mi sembrano suoi tratti distintivi, forse, azzardo, più difficilmente accostabili al nervoso, competitivo mondo del calcio cui ha dedicato il lavoro San Siro. Alla fine Ancarani, bonariamente incalzato dalla scrivente, confessa di non avere interesse particolare o simpatia per i campi da calcio. Anche in questo caso, però, mi dice, io ho scelto di ritrarre ciò che nessuno mostra, la tensione e la fragilità di un mondo maschile giovane messo cosi sotto pressione, perché il Calcio si chiama gioco ma sono tanti soldi che corrono e ciò che di solito non si filma, l’arrivo delle squadre al campo predestinato, rende plasticamente questo smarrimento davanti al rischio del fallimento. Poi, quello che c’è dietro a tutto ciò è il mio intento di smascherare i limiti di una nostrana cultura tutt’oggi intrisa di maschilismo sin dal suo livello più simbolico. Se vogliamo, probabilmente anche nel mio lungo Atlantide, per inciso selezionato nel 2021 per tutti i più prestigiosi festival, concepito con lunga gestazione in tempi pandemici, già presentato qualche mese fa in affollata serata di anteprima daI wonder, ciò che emerge è un momento di prova, di passaggio, in un contesto di prolungata adolescenza tribale, potremmo dire. Difficile da descriversi, se non come un romanzo di formazione a rovescio che implode su se stesso tornando alle liquidità appunto uterine, o un Gioventù bruciata in barca anziché in moto, questo lavoro affascina lo spettatore, seduce con una rappresentazione davvero peculiare della laguna veneziana, rimane miracolosamente sospeso tra realtà e immaginazione. Difatti, chiosa scherzoso il generoso Ancarani, produttori e distributori, non sanno mai dove collocarlo, lo testimoniano le diverse sezioni in cui viene inserito, a seconda delle sensibilità dei selezionatori o dei loro equilibri complessivi, cosi io visto che anche la parte di ricerca sonora è notevole, lo definisco una lunga clip, perché altrimenti i prodotti ibridi in Italia non hanno grande fortuna e non vengono compresi. Mi guadagno un po’ di fiducia dal nostro autore quando affermo e confermo a voi lettori trattarsi di un bel film che potete pensare come un reportage lisergico su una condizione di dialettica sospesa tra elementi umani e sociali di contesto ed elementi naturali. Giustamente viene osservato durante l’incontro che in qualche modo avvertiamo una influenza pasoliniana, nell’idea di giovanissimi attori non professionisti che mettono in scena se stessi e il loro mondo. E naturalmente, scusate se è poco. In queste situazioni festivaliere si volteggia da un tavolo all’altro e si cambia la temperatura del raccontare e le soggettività in campo. Cosi ci si dirige al tavolo di un altro film arty, visto che si tratta di un docu ambientato nel mitico studio dell’architetto urbanista Renzo Piano, in questo momento una delle poche indiscusse eccellenze italiane nel mondo. Inside Renzo Piano, Building workshop, viene qui presentato in anteprima mondiale da un team registico autoriale a forte prevalenza femminile, a parte il coregista Davide Fois, specializzatosi nella ricerca su progetti audiovisivi di environment ed architettura avanzata. Si comprende dalla passione con cui il team milanese racconta di questo lavoro, quanto il documentare pazientemente il procedere di ben 5 diversi grandi progetti di edilizia pubblica, anche in questo caso tra un’onda pandemica e l’altra, abbia costituito in se una vera esperienza di vita e apprendimento e che l’ambizione dichiarata sarebbe di renderla al meglio, tale anche per lo spettatore. In qualche modo il lavoro di squadra intuiamo si replichi e riverberi tra i documentaristi stessi e il grande celebrato studio, dove devono raccordarsi e coordinarsi le culture e sensibilità di tecnici e artisti, mediamente piuttosto giovani dalle più variegate provenienze internazionali. Sino a 400 professionalità che concorrono in modo rilassato e informale a sviluppare grandi opere di pubblica utilità in giro per il pianeta, sotto l’egida della condivisione di rischi e responsabilità, un grande lavoro di concertazione sia a livello interno che nei confronti dell’esterno e su tutto il conclamato carisma di una personalità fuori dal comune, quale quella di un maestro riconosciuto che cerca di dribblare la mitologia nei suoi confronti.

Se il costruire evoca sempre un discorso di pace, una piccola assemblea di autori giovanissimi per davvero, ci richiama al tema bellico oggi nuovamente prioritario sulla complicata scena comunicativa e informativa mondiale. Dalla Birmania con i loro Myanmar diaries, registi, in questo caso un ragazzo e una deliziosa ragazza che con le sue sembianze delicate rende in modo plastico l’onere storico della testimonianza, costretti per ragioni di sicurezza a celare e dunque non per vezzo, le loro identità sotto la dicitura Collettivo, vicini alla coppia formata da Chiara Avesani e Matteo Delbo,che ci portano il loro Erasmus in Gaza e all’altro combo formato da Enrico Parenti e Luca Gennari che ci mostrano un fronte caldo ucraino, dalla sponda filorussa del Donetsk, si costruisce innanzi a noi che ascoltiamo nel modo più partecipato possibile, un piccolo affresco dei mille modi in cui l’abusata parola resilienza si articola nel nostro travagliato pianeta.

A me diviene sempre più evidente come questo termine, ascoltando il dipanarsi di storie anche apparentemente piccole, che pero rappresentano il tutto, debba connotarsi in senso di slancio creativo e ricompositivo di tessuti lacerati e non esprima affatto l’idea di uno stare e persistere nonostante tutto per riprodurre un improbabile status quo ante. L’arte antica della sopravvivenza è arte tout court, sapienza formativa, nel caso palestinese, potenza controinformativa, approccio di transito solidale e di inedite mescolanze sul fronte orientale e la presenza femminile forte tra le autrici e nelle storie posso di che quest’anno si fa particolarmente sentire.

Tutto questo discorso, complice uno staff di Biografilm a tutti i livelli sensibile come non mai da tempo ai contesti di conflittualità internazionale, alle questioni inerenti i generi e al metissage di linguaggi, mi porta dritta dritta a raccontarvi, un altro aspetto che integra e corre parallelo al festival, con iniziative interne ad esso ma anche autonomamente gestite al di fuori e sto parlando naturalmente del Centro di documentazione delle Donne e della associazione Orlando che insieme al Comune di Bologna gestisce ricordiamolo, la prima Biblioteca e archivio internazionali delle Donne in Italia che insieme a tante altre iniziative laboratoriali e associative costituisce il fulcro di una attività ad ampio raggio che si estende dalle scuole all’università per sensibilizzare ed alfabetizzare, aggiungo io, sulle questioni discriminatorie.

Bisogna comunque creare una premessa, ovviamente raccontando come l’acquisizione recente per proiezioni ed incontri dei suggestivi spazi del Chiostro interno al meraviglioso complesso di Santa Cristina sia parte di un disegno convergente da un lato da parte del festival e dall’altro di Orlando e del centro tutto per far si che parole e letteratura prendano vita e corpo tra storia, cronaca rappresentazione. Il Festival che nasce per antonomasia dedicato alle biografie, si fa forte della collaborazione con la libreria Trame, che meriterebbe un approfondimento di per sé, sulle sue costanti attività spalmate ben oltre i confini della libreria fisica, tanto da dotare di una playlist libraria la rassegna filmica. Cosi, approfitto di questo assist letterario e cinematografico per due chiacchiere con la nuova presidenza di Orlando rappresentata da Samanta Picciaiola, che mi conferma come ibridi tra cinema teatro e letteratura, o meglio felici cortocircuitazioni, riescano felicemente dalle loro parti come è stato nel caso della serata Patricia Highsmith, in cui a cotè del film biografico abbiamo potuto ascoltare incantevoli letture da parte di Marinella Manicardi. ibridazioni che sono anche costitutive di questo progetto, un pochino ciliegia sulla torta di questo fine settimana bolognese davvero hot dal punto di vista della ricchezza delle proposte e degli eventi presentati alla cittadinanza.

In un weekend, all’insegna delle idee e in cui i temi geopolitici presumibilmente guadagneranno una bella fetta di attenzioni, vogliamo soffermarci sulla seconda edizione di e.lette, un simpatico gioco di parole che è in realtà un gioco di sguardi al femminile sulle cose del mondo, sub specie di un progetto per il secondo anno consecutivo finanziato dall’Assessorato regionale alle Pari opportunità. Il progetto, mi spiega Picciaiola, ha necessariamente valenza territoriale e si comincerà venerdì 17, dalla Biblioteca di S Giorgio di Piano, peraltro attivissimo centro di promozione culturale, in una dialettica centro periferia, piccolo grande da sempre congeniale al lavoro dell’associazionismo femminile. Qui verrà presentato il libro Segreti di Famiglia d ella scrittrice croata Ivana Sojat alla presenza dell’autrice e del gruppo di lettura Falling book, mentre Picciaiola sarà moderatrice. Sabato, entrando nel vivo delle ferite dal martoriato versante orientale del nostro continente, la scrittrice Alessandra Sarchi che è un po’ l’anima di questo progetto curerà un incontro, affidato alle cure di Giuditta Deconcini per le traduzioni, con Maria Proshkovska e Sergey Kantsedal sull’ arte femminista in Ucraina durante la guerra 2014-2022, perché naturalmente il Donbass era già un nervo scoperto sotto l’ignavo sguardo di tutti da anni.

Durante questa significativa serata su un muro esterno all’edificio verrà presentato il video On the blade della stessa artista, prodotto grazie ad una particolare residenza Rose, curata da Mambo, che è in questo caso anche una vero e particolare riconoscimento dello status di rifugiata. Il video, peraltro site specific, riprende la creazione di una installazione ispirata ad antichi saperi e rituali delle donne ucraine il tutto ha un grande valore moltiplicatore nel momento in cui in città altre realtà culturali, sto pensando a Teatri di Vita, ospitano artiste dall’Ucraina, ricordando che i soggetti maschili non possono lasciare per nessun motivo il paese.

Un tema di rovesciamento di ruoli che in qualche modo la guerra amplifica, ma che non ha spesso connotazioni cosi emancipatorie, è al centro poi della mattinata di domenica al centro, in cui la nota giornalista esteri Alessandra Coppola a lungo inviata di Repubblica, presenterà il reportage fotografico di Pietro Masturzo realizzato in un remoto villaggio moldavo di confine in cui una comunità di uomini soli ospita donne e bambini ucraini fuggitivi, nelle case che stanno costruendo o restaurando nell’attesa delle loro mogli impiegate come colf e badanti all’estero. Una storia edificante sotto ogni aspetto, potremmo dire e che merita di essere raccontata perché davvero in controtendenza con tanta informazione spazzatura o quantomeno a senso unico.

E proprio da questo aspetto, che sta molto a cuore alla sottoscritta, comincio la mia breve conversazione con Samanta:

Perché può risultare cosi “giusto “, nei vostri spazi aprire un confronto o quantomeno un fronte di analisi dei recenti avvenimenti internazionali quando persino il pacifismo storico e più collaudato stenta a trovare le parole per raccontare?

Mi viene facile risponderti che noi come Centro, cosi come altre illustri biblioteche specializzate della rete per il Patto della Lettura in Bologna e più ancora come ASS Orlando, da sempre siamo inscritte in una rete molto più vasta e davvero globale, non globalizzata peraltro, negli assunti, costituita non soltanto da centri culturali, ma da realtà di associazionismo, volontariato e soprattutto attivismo. Dai tempi di rivoluzionarie risoluzioni Onu, come la 1325, per esempio, ahimè già datate, noi pretendiamo un peso politico della politica delle Donne a tutti i livelli e non solo locali, o su questioni considerate prettamente di rivendicazionismo femminile. si è dimostrato come l’accezione di Cura in senso ampio, come organizzazione del supporto e attitudine assertivo costruttivo, sia parte integrante che lo si voglia o meno, della Cultura delle Donne. Che ad esse appartiene la possibilità di essere inventive nelle pratiche di ricerca del consenso e della mediazione. Le Donne sono un ponte, una possibile via d’accesso alla Diplomazia.

Soprattutto perché la politica delle Donne non attribuisce valore ai singoli stati come portatori di logiche di chiusura e confine. Siamo no borders nelle nostre convinzioni e il pensiero femminista se ci pensi, è nomadico e rizomatico nelle sue radici. da tempi non sospetti abbiamo aderito a tutte le convenzioni e tavoli internazionali e quella che viene definita politica estera da sempre ci interessa. Ricorderai benissimo la nostra attenzione costante che non è mai venuta meno per tutti i territori caldi del pianeta:la Palestina, il Kosovo, ma anche recentissimamente la Siria, l’anno scorso l’Afghanistan. Facciamo parte di una catena associativa che cerca di seguire le donne dentro e fuori dai paesi segnati dall’oppressione talebana, ma anche seguire le vicende censorie e tragiche che vengono da posti apparentemente accomodati nei consessi internazionali come la Turchia. Abbiamo l’autorevolezza della credibilità a portare avanti questi discorsi, perché noi facciamo anche cose pratiche. Ci siamo subito preoccupate di organizzare una carovana internazionale per portare beni e strumenti di necessità medico ginecologica assistenziale per donne e trans nei territori devastati dalle guerre.

Come si esplica per voi la continuità, la fluidità tra discorso politico e discorso culturale che quasi sempre viaggiano su binari divergenti?

Politica e Cultura in effetti per noi sono alimento l’una dell’altra e questo grazie a due pratiche fondamentali: La rete come modello, cosa che fa si per esempio che noi si sia da sempre in contatto con la comunità ucraina cittadina ed anche quella russa e la pratica pedagogica. Non ci interessa semplicemente far vedere che qui si possano esprimere liberamente i pacifisti o che non si esplichino esecrabili forme di censura persino letteraria come purtroppo in modalità oscurantista sta avvenendo un po’ ovunque. Non ci interessa fare le anime belle democratiche, manche se questo è già un grande valore aggiunto in un momento cosi regressivo, ma ci interessa costruire racconti e immaginari autentici e diversi perché rappresentativi di soggettività e identità che possano finalmente prendere parola oltre il fragore delle armi. Ci siamo date il compito di strappare le Donne dei territori di guerra ad una narrazione che le vuole vittime passive. Esattamente come da tempo lavoriamo sui pesi mal distribuiti e le contraddizioni intrinseche al sistema per classe, censo provenienza rispetto al lavoro di cura, complesso di questioni che semplifichiamo col discorso badanti, oggi arrivato ad una maturazione anche negli sportelli dei dipartimenti di cure primarie ausl un po grazie anche a tante parole spese in merito con strumenti culturali.

La pandemia ci ha creato non poche difficoltà respirando noi assolutamente di scambi, ma comunque siamo persino riuscite a lavorare con giovani donne scrittrici italiane acquisite sugli scambi tra lingua madre e italiano.

Questi sono progetti da portare nelle scuole e nei quartieri per i giovanissimi, perché entrare e uscire da lingue diverse e diverse forme espressive nella forma laboratorio, non solo crea inediti punti di vista ma ci consente di fare esercizio empatico mettendoci continuamente nei panni altrui.

Concludo pertanto questo scambio, non solo invitando chi legge a seguire maggiormente le attività di Orlando, ma portando o meglio lanciando l’auspicio tutto politico perché Bologna possa essere la sede di una nuova convenzione internazionale delle Donne sui temi di pace, accesso alle cure e giustizia climatica e anche il centro di una politica diffusa capillarmente per le nuovissime generazioni.

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