Condividiamo l’articolo pubblicato ieri, 19 ottobre, su Radio città Fujiko su rifiuti e mafie, con estratti all’intervista a Sofia Nardacchione di Libera Bologna. Vai alla pagina originale dell’articolo per ascoltare la versione integrale dell’intervista
Una nuova operazione antimafia che coinvolge l’Emilia Romagna, denominata “Mala pigna” testimonia per l’ennesima volta il radicamento e il business che la ‘ndrangheta svolge sul nostro territorio. Sono 29 le misure cautelari personali, diverse delle quali rivolte ad esponenti apicali della ‘ndrangheta, eseguite stamani dai carabinieri del Gruppo Forestali e del Comando provinciale di Reggio Calabria nell’ambito di una inchiesta della Dda reggina. Nell’operazione sono state anche sequestrate 5 aziende di trattamento rifiuti tra Calabria ed Emilia Romagna e gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti ed altri reati ambientali.
Secondo quanto emerge, la filiera dei rifiuti partiva da Gioia Tauro e arrivava fino al Nord Italia. A gestirla era la cosca Piromalli. Con l’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Bellini, sono finiti in carcere esponenti di vertice della famiglia mafiosa, ma anche imprenditori di riferimento della cosca Piromalli. L’epicentro del traffico di rifiuti sarebbe stato Gioia Tauro. Oltre all’associazione mafiosa, la Dda reggina ha contestato agli indagati pure il reato di disastro ambientale.
Traffico di rifiuti, l’Emilia Romagna nei business delle mafie
«Non è la prima volta che un’inchiesta sui rifiuti riguarda l’Emilia Romagna e i primi allarmi sono arrivati nel 1999, quando la Commissione parlamentare sulle ecomafie diceva già che l’Emilia-Romagna è un nodo di scambio di traffici illeciti di rifiuti proprio per il suo ruolo centrale nel territorio italiano», osserva ai nostri microfoni Sofia Nardacchione, giornalista e vice-referente di Libera Bologna. In particolare, sono numerosi i casi in cui l’Emilia-Romagna è stata un territorio di passaggio, di transito di traffici di rifiuti.
Esistono però anche dei casi che in cui lo smaltimento illecito di rifiuti ed altri ecoreati nascono e si sviluppano in Emilia-Romagna. Il caso più eclatante è forse quello che ha riguardato la ricostruzione post-terremoto e lo smaltimento dei detriti che si era aggiudicata la Bianchini Costruzioni srl, società legata alla ‘ndragheta come è poi emerso dall’inchiesta Aemilia.
«Il titolare dell’azienda fece un’operazione di smaltimento senza distinguere i rifiuti non pericolosi da quelli pericolosi, tra cui rifiuti contenenti amianto che vennero addirittura miscelati con terre da scavo prima di essere utilizzati nella ricostruzione», spiega Nardacchione, che sul tema ha scritto, insieme a Giulia Paltrinieri, un’inchiesta pubblicata su Q Code Magazine.
Tutto si è svolto nel modenese, in particolare a San Felice sul Panaro, dove è presente una montagna di rifiuti contenenti amianto che è poi stata posta sotto sequestro. Bianchini fu accusato di traffico illecito di rifiuti e gestione di rifiuti non autorizzata, ma scampò alla condanna. Cionostante, dall’inchiesta è emerso che c’è una contaminazione d’amianto in diverse zone della regione in seguito a queste pratiche e, dalle intercettazioni, si evince che lo smaltimento di rifiuti tossici non è avvenuto in modo legale, e ciò per un guadagno dal momento che il loro smaltimento è più oneroso.
Perché il settore dei rifiuti è appetibile per le mafie
«I rifiuti sono tanti e vengono prodotti costantemente», osserva la vice-referente di Libera Bologna nello spiegare perché il settore dei rifiuti è uno dei business prediletti dalle mafie.
Dall’ultimo rapporto sulle ecomafie Legambiente emerge che nell’ultimo anno sono finiti sotto sequestro 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti. Un dato altamente sottostimato perché calcolato solo tenendo presente 27 inchieste.
«Quello dello smaltimento dei rifiuti è un settore all’apparenza legale – sottolinea Nardacchione – per cui ci sono appalti pubblici e spesso un’interferenza di interessi privati».
Lo spazio per smaltire in modo illegale e commettere illeciti, dunque, è piuttosto ampio e i controlli sono pochi. «In questo modo si riescono ad unire reati di tipo ambientale e reati di tipo economico – aggiunge Nardacchione – A volte c’è un riciclaggio di denaro grazie alla costituzione di aziende e società che sono fatte solo per riciclare denaro e creare un vero e proprio business che mette insieme economia e ambiente e porta ad un guadagno enorme».
Per contro, le Amministrazioni pubbliche, almeno nei nostri territori, non sembrano percepire il rischio degli affari e dei traffici mafiosi nel settore dei rifiuti. «Bisognerebbe fare un discorso più ampio – osserva l’esponente di Libera – Qual è il controllo che viene fatto sulle partecipate, sugli organi amministrativi e direttivi? E quali sono i legami con coloro che possono anche dare gli strumenti per riuscire a controllare un settore così complicato?».