Frane e inondazioni colpiscono l’intero territorio nazionale da più di 50 anni, con oltre 1.630 vittime. Eppure migliaia di abitazioni continuano a essere costruite in zone minacciate dal dissesto idrogeologico. Anche in Romagna
Due morti, una persona dispersa, decine di centri abitati allagati, fiumi straripati, argini franati, trasporti bloccati, scuole chiuse, campagne inondate, paesi evacuati. Da Bologna a Ravenna, dopo le piogge eccezionali delle ultime 48 ore, continua l’allarme per le alluvioni che da martedì notte hanno colpito l’intera Emilia-Romagna, provocando anche frane e smottamenti. «Abbiamo assistito a un’ondata di maltempo che non ha precedenti», ha spiegato il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, annunciando di aver chiesto al governo, che ha già mobilitato la protezione civile, di dichiarare lo stato d’emergenza.
La tragica alluvione di queste ore, dopo quattro mesi di siccità, riconferma la gravità dei pericoli di dissesto idro-geologico, che minacciano gran parte del territorio nazionale e sono amplificati dai disastrosi effetti del cambiamento climatico. Solo negli ultimi 15 anni, si contano a «migliaia» le zone d’Italia che sono state investite dalle frane e alluvioni più disastrose, quelle «improvvise, rapidissime e a elevata distruttività», come le classificano gli esperti dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra).
Le aree colpite dai disastri più gravi, in questi 15 anni, si estendono per tutta Italia: Sarno e Quindici (1998), Nord del Piemonte e Valle d’Aosta (2000), Val Canale in Friuli (2003), Messina (2009), Borca di Cadore (2009), Val di Vara, Cinque Terre e Lunigiana (2011), Alta Val d’Isarco (2012), San Vito di Cadore (2015), Madonna del Monte (2019), Chiesa in Valmalenco (2020), Senigallia (2014 e 2022), Ischia (2022) e ora l’Emilia-Romagna.
Il dissesto idrogeologico, in Italia, è un’emergenza cronica, permanente. L’Italia è per natura un Paese ad altissimo rischio di alluvioni, frane (con più di un quarto del totale degli smottamenti censiti in Europa), terremoti, erosioni costiere, eruzioni vulcaniche. Ma da più di mezzo secolo il nostro territorio è anche il più devastato dalla speculazione edilizia e dalla cementificazione. Dal 1971 al 2021, frane e alluvioni hanno provocato 1.630 morti accertati, 48 dispersi, 1.871 feriti, oltre 320 mila senzatetto. Eppure nel nostro Paese si continua a cementificare, ogni anno, più di 60 chilometri quadrati di campagne, prati, boschi, sponde dei fiumi e coste dei mari. Una crosta artificiale di asfalto e calcestruzzo, impermeabile, che cancella le difese naturali e favorisce il dissesto.
«Si continua a costruire in tutte le regioni perfino su terreni censiti ufficialmente come pericolosi», denuncia il professor Paolo Pileri, che insegna pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. «L’Ispra pubblica sul sito Ecoatlante le mappe dettagliate di tutte le aree di rischio, con i diversi gradi di pericolosità per frane, alluvioni, terremoti e altro. Ma troppi enti locali ignorano questi dati e autorizzano nuove opere che aggravano il dissesto. Poi, dopo i disastri, si contano le vittime. Di questi problemi dovremmo ragionare prima, non piangere dopo».
In tutta Italia, oltre 2 milioni e 400 mila persone vivono in case costruite in aree ad alto rischio di inondazioni. Sommando gli edifici collocati in zone «a media pericolosità idraulica», la popolazione minacciata sale a 6,8 milioni. Le mappe elaborate dai tecnici dell’Ispra mostrano che in Emilia Romagna si concentra il maggior numero di fabbricati costruiti in aree a rischio significativo (medio o alto) di alluvioni: oltre 578 mila. Seguono la Toscana, con 197 mila, la Calabria, con 92 mila, e la Campania, con oltre 62 mila abitazioni minacciate da possibili inondazioni. Da notare che alcune regioni come la Sicilia, forniscono dati parziali e non segnalano le aree di rischio.
A livello nazionale, le frane più gravi, con le classificazioni di rischio più alte, minacciano 565 mila abitazioni, con più di 1 milione e 300 mila residenti, e 84 mila aziende, con oltre 220 mila dipendenti.
Ampie fasce d’Italia sono minacciate da millenni anche dai terremoti, che negli ultimi decenni hanno causato migliaia di vittime dal Friuli all’Irpinia, dall’Umbria all’Abruzzo. Ciò nonostante, secondo gli ultimi dati raccolti dall’Ispra, nel 2021 sono stati costruite nuove case, fabbriche, strade e parcheggi su ben 24 milioni di metri quadrati di terreni «a rischio sismico elevato» o «molto elevato», soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia.
L’Espresso ha chiesto la collaborazione dell’Ispra per verificare la situazione edilizia in dieci luoghi simbolo già colpiti da pesanti calamità, anche più volte, negli ultimi vent’anni, dal Nord al Sud Italia: Alessandria, Genova, Oltrepò Pavese, Senigallia, Roma, Area Vesuviana, Sarno, Ischia, Fiumara Calabra, Messina. Le carte dei tecnici documentano che, in tutti e dieci i luoghi simbolo, le varie amministrazioni locali hanno continuato a concedere varianti e permessi edilizi anche dopo i peggiori disastri, su terreni già classificati a livello nazionale come molto pericolosi.
A Genova la crosta grigio-nera ricopre già un quarto di tutto il territorio: 5.695 ettari di cemento, un’enormità. In una città dove fiumi e torrenti sono stati ostruiti, intubati e ricoperti d’asfalto, per cui straripano ad ogni nubifragio, oggi si contano più di sei milioni di metri quadrati di «case allagabili», come le definiscono i tecnici, e altri 387 ettari di fabbricati per cui le inondazioni sono ritenute «molto probabili». Spaventosi anche i dati sulle frane: c’è un «rischio elevato» per oltre quattro milioni di metri quadrati di superfici edificate, «molto elevato» per altri 388 mila.
Se al centro-nord di solito si cementifica con tutti i permessi, al Sud non sempre. A Ischia, dove l’alluvione del novembre scorso ha ucciso 12 persone, Legambiente ha contato oltre 27 mila richieste di condono di abusi edilizi, pendenti da decenni. Le mappe dell’Ispra evidenziano che frane e alluvioni minacciano gran parte dell’isola. Ma l’assalto del cemento è proseguito, dal 2006 al 2021, al ritmo di 10 mila metri quadrati di nuove costruzioni all’anno.
Questo articolo è stato pubblicato su L’Espresso il 3 maggio 2023