di Silvia Manderino
PREMESSA
La Costituzione italiana ha previsto lo “stato di guerra” (art. 78) ma non ha previsto lo “stato di emergenza”: non si tratta di un vuoto costituzionale.
La ragione della sua esclusione, molto discussa e poi prevalsa in sede di Costituente, è stata quella di mantenere il principio di equilibrio tra i poteri ed evitare che in situazioni eccezionali previste dalla Costituzione si verificassero inevitabili abusi di potere e attribuzioni ad un solo organo costituzionale della decisione sulle procedure di urgenza.
Per queste ragioni venne deciso che andavano regolamentati (non l’emergenza ma) i poteri esercitabili dal Governo, sotto il controllo parlamentare, nei soli casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.) e in seguito alla deliberazione (parlamentare) dello stato di guerra (art. 78 Cost.). Lo “stato di emergenza” è previsto invece da una legge ordinaria – il D.Lgs. 2.1.2018 n. 1 detto “codice della protezione civile”, artt. 7, 1° comma lett. c) e 24, 1° comma – ma si tratta di stato di emergenza dovuto a terremoti, alluvioni ed altri eventi naturali, non ad ipotesi di pandemia virale quale quella in corso. Naturalmente, l’assenza di una disciplina (costituzionale) non significa libertà normativa (soprattutto da parte del Governo, vista l’emergenza in atto), poiché in ogni caso la legislazione di emergenza deve rispettare la Costituzione italiana e i principi dell’UE (principio contenuto nell’art. 25 del D. Lgs. 1/2018).
LA NORMATIVA INTERVENUTA A SEGUITO DELL’EMERGENZA CORONAVIRUS
L’emergenza Covid-19 – chiamato Coronavirus – prende avvio dalla delibera del C.d.M. 31.1.2020 che ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale per la durata di sei mesi: suo fondamento è l’art. 24 del D.Lgs. 1/2018 (codice della Protezione Civile).
A seguito della delibera 31.1.2020 sono state emanate prima di tutto ordinanze del Ministero della Sanità (21.2.2020, 23.2.2020) – e ciò nel quadro della L. 833/1978 istitutiva del SSN che all’art. 32 prevede questo specifico potere in materia di igiene e sanità pubblica – con cui sono state poste limitazioni di circolazione nei primi comuni-focolaio (Codogno, Vò Euganeo), la sospensione delle attività scolastiche e la chiusura delle scuole, alcune misure di quarantena.
E’ stato quindi emanato dal governo il D.L. 23.2.2020 n. 6 (poi convertito in L. 5.3.2020 n. 13) che, su iniziativa del Ministro della Salute, prevede che il Presidente del Consiglio possa adottare tramite proprio decreto (DPCM) tutte le misure di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica.
Sono stati perciò emessi diversi D.P.C.M. (dal 23.2. al 22.3. sono stati 8).
Dopo alcuni D.L. che hanno disciplinato misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e le imprese (D.L. 2.3.2020 n. 9), misure sull’attività giudiziaria (D.L. 8.3.2020 n. 11), potenziamento del SSN (D.L. 9.3.2020 n. 14), altre misure di potenziamento del SSN e di sostegno economico (D.L. 17.3.2020 n. 18), il governo ha emanato un nuovo D.L. (25.3.2020 N. 19).
L’attenzione si pone sui DPCM e sulla loro natura.
Si tratta di regolamenti attuativi del D.L. 6/2020, atti amministrativi, come tali privi di forza di legge e dunque appartenenti alle fonti normative secondarie. Loro fonte è l’art. 17 della legge 23.8.1988 n. 400, in forza del quale, tra l’altro, il potere regolamentare dell’esecutivo e/o di singoli ministri non può essere esercitato in difetto di una specifica attribuzione da parte di una legge ordinaria: dunque, i DPCM non possono derogare alla Costituzione e alle leggi ordinarie sovraordinate.
La domanda è: può un DPCM intervenire per limitare libertà costituzionali che solo la legge, e nei casi stabiliti dalla Costituzione, può limitare?
Ci si riferisce in particolare ed esemplificativamente alla libertà personale (art. 13); alla libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16); alla libertà di riunione (art. 17); alla libertà di culto religioso (art. 19), al diritto-dovere all’istruzione (art. 34).
Prendiamo in considerazione l’art. 16 della Costituzione (giacché i limiti alle libertà che garantisce, di circolazione e di soggiorno, determinano anche limiti alla libertà personale) che è l’oggetto del D.L. 6/2020. La norma costituzionale stabilisce che libertà di circolazione e di soggiorno possono subire limitazioni stabilite dalla legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Le limitazioni possono essere poste da una legge, per i motivi circoscritti alla sanità o alla sicurezza e devono riguardare categorie generali di cittadini (questo è il significato della dizione “che la legge stabilisce in via generale”).
E’ dunque espressamente introdotta una riserva di legge, in ragione della quale solo una legge ordinaria può disciplinare forme di restrizione della libertà. Si tratta, nella specie, di riserva di legge relativa (Corte cost. n.68/1964).
La questione si pone perché i DPCM emanati a seguito del D.L. 6/2020 introducono varie misure restrittive sulla scorta di quanto il D.L. stabilisce a mero titolo esemplificativo e non sotto forma di normativa di carattere generale, effettuando così un “rinvio in bianco” all’attività regolamentare che interverrebbe nell’inosservanza del principio della riserva di legge. Le misure restrittive della libertà contenute nei DPCM sono peraltro piuttosto vaghe (assomigliano più a raccomandazioni che a divieti) e però, prevedendo una sanzione penale nel caso di inosservanza (intesa come violazione dell’art. 650 c.p.), inducono a considerare che questi provvedimenti amministrativi siano adottati anche in violazione del principio di riserva di legge assoluta, perché dettano misure vincolanti che solo la legge può stabilire.
IL D.L. 25.3.2020 N. 19
Il D.L. 25.3.2020 n. 19 potrebbe avere risolto alcune delle questioni di criticità costituzionale poste dal D.L. 6/2020 e dai conseguenti successivi DPCM. Intanto esso prevede che il pres. del consiglio (su proposta del ministro della Salute e dei pres. delle Regioni interessate) possa adottare tramite proprio DPCM una o più misure tra quelle espressamente indicate dallo stesso D.L. all’art. 1; che il/i proprio/i DPCM venga/no comunicato/i alle Camere entro il giorno successivo all’emanazione e che ogni 15 giorni egli riferisca al Parlamento sulle misure adottate.
Nelle more dell’emanazione dei DPCM, le Regioni sono autorizzate, in caso di aggravamento del rischio sanitario sul territorio, ad adottare con ordinanza misure più restrittive di quelle indicate dall’art. 1 del D.L. 19/2020 (con l’emanazione del dpcm, l’ordinanza regionale viene meno), mentre né Sindaci né altre autorità titolari di potere di ordinanza possono adottare ordinanze in contrasto con quelle adottate dallo Stato.
L’art. 1 del D.L. 19/2020 contiene un lunghissimo elenco di limitazioni. La violazione viene sanzionata amministrativamente e dunque è espressamente esclusa l’applicazione dell’art. 650 del codice penale (l’unica violazione penale introdotta è quella che riguarda l’inosservanza dell’obbligo di quarantena) e le sanzioni penali comminate per la violazione dei DPCM e delle ordinanze emanati prima del D.L. 19/2020 sono sostituite dalle sanzioni amministrative. Il D.L. 19/2020 fa salvi gli effetti già prodotti dai DPCM adottati in base al D.L. 6/2020 e dalle ordinanze del ministro della Salute, consentendo di continuare a produrre nuovi effetti ai DPCM 8/9/11/22 marzo 2020 fino alla fine della propria vigenza e a tutti gli altri (DPCM e ordinanze) ancora in vigore di continuare a produrre nuovi effetti per dieci giorni. Alcune criticità sembrano essere superate:
1) pur rimanendo una debolezza – e cioè il fatto che con un atto normativo del governo (il D.L.) si prevede che le misure di limitazione delle libertà siano adottate tramite un atto del soggetto che guida il governo (il DPCM) – il D.L. 19/2020 prevede però che le misure siano tempestivamente comunicate al Parlamento e che ogni 15 giorni il pres. del consiglio riferisca all’organo parlamentare;
2) il D.L. definisce la disciplina generale delle misure limitative della libertà, lasciando ai DPCM e alle ordinanze solo il potere di disporne nei casi specifici: il principio della riserva di legge sembra essere rispettato;
3) la violazione delle norme limitative della libertà non ha più natura penale e la relativa sanzione è stata sostituita da sanzione amministrativa, con effetto retroattivo che coinvolge anche le sanzioni già comminate come misure penali.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Le limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali della persona avvengono in un periodo in cui sussiste di fatto uno stato di emergenza sanitaria, dichiarato dalle autorità italiane ma prima di queste, e soprattutto, dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
E il diritto alla salute – unico diritto che espressamente la Costituzione definisce FONDAMENTALE (art. 32) – è, nella sua forma individuale e collettiva, un diritto assoluto che prevale nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti.
E’ un bene costituzionale non negoziabile, anzi, l’unico non negoziabile, considerato che la sua stretta connessione con il diritto alla vita (art. 2 Cost.) costituisce la precondizione necessaria per godere di ogni altro diritto.
Lo stato di necessità verificatosi a seguito della pandemia giustifica quindi le limitazioni alla libertà, naturalmente entro i termini temporali in cui esso dovrà durare.
Ma mentre la finalità (tutela della salute individuale e collettiva) legittima la restrizione delle libertà, occorre anche siano legittimi i mezzi attraverso cui si persegue la finalità.
Lo sono i DPCM (e le ordinanze varie emesse)?
In uno stato di necessità come quello attuale si potrebbe rispondere che lo sono: intervengono a tutela del bene supremo della comunità nazionale (la salute e dunque la vita) nelle due forme individuale e collettiva.
Si tratta di capire quale sia il perimetro entro il quale debbono intervenire.
C’è un perimetro temporale: oltre un certo tempo determinato dallo stato di necessità non è ammissibile che le restrizioni alla libertà possano durare. Ma anche all’interno della situazione di necessità potrebbero essere assunti con un termine di scadenza che consenta, una volta consumato, di riespandere i diritti limitati.
C’è un perimetro costituito dalla eccezionalità dei provvedimenti stessi: non è nemmeno ipotizzabile che questi atti – senza una perentoria ed espressa natura di atti eccezionali – possano costituire dei precedenti per future emanazioni di provvedimenti similari in situazioni diverse da quella attuale. Il problema potrebbe porsi per esempio quando, cessata l’emergenza sanitaria, si producesse uno stato di emergenza sociale ed economica che qualcuno potrebbe leggere come status emergenziale che giustifica provvedimenti come quelli oggi in vigore.
E’ chiaro che non si tratterebbe di situazioni identiche, perciò un provvedimento che si volesse proporre in tali circostanze sarebbe da considerarsi eversivo della legalità costituzionale.