Dall'incontro sul referendum costituzionale (22/02/20, Sala del Quartiere San Donato, Bologna)

6 Marzo 2020 /

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di Paola Urbinati

Gli italiani saranno chiamati al voto per il Referendum Costituzionale relativo alla riduzione del numero dei Parlamentari, in una data diversa dal 29 marzo, a causa dell’infezione da Corona virus. Di ciò si è discusso nell’assemblea che si è tenuta sabato 22 febbraio, presso la Sala del Quartiere San Donato a Bologna, organizzata dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale Emilia Romagna. Sono intervenuti l’Avv. Mauro Sentimenti (CDC Emilia Romagna), la prof.ssa Nadia Urbinati (politologa, docente alla Columbia University) e il prof. Massimo Villone (docente emerito Università Federico II). Presiedeva Rina Zardetto (CDC Emilia Romagna).

Mauro Sentimenti ha aperto il dibattito con un esplicito riferimento ai numerosi casi di attacchi neonazisti che si stanno verificando negli ultimi tempi. Non è un fuori tema questo richiamo, si tratta piuttosto di comprendere quali possano essere gli attacchi sferrati nei confronti dei sistemi democratici, da parte di chi aspira a forme di oligarchia e insinua il bisogno di una purezza sociale. Questo referendum – secondo Sentimenti – va nella direzione di un indebolimento del Parlamento, massimo organo rappresentativo, nonché di una modifica della Costituzione italiana vigente. La bandiera del risparmio economico, portata avanti dalle forze politiche che sostengono il “Sì” al referendum, è del tutto irrilevante: ogni cittadino infatti risparmierebbe poco più di un caffè all’anno. Di grande rilevanza invece è la conseguenza, sul piano politico, di una eventuale vittoria del “Sì”. Molte “minoranze” infatti non verrebbero più rappresentate, dal momento che non potrebbero accedere alla Camera e al Senato. Il taglio prevede di passare da 630 a 400 Deputati; da 315 a 200 Senatori. Si tratta in poche parole di rivedere il principio di rappresentanza. Ma cosa significa ciò nella pratica quotidiana? Significa vedere ridotto il numero dei rappresentanti parlamentari che partecipano alle Commissioni dove, di norma, passano tutte le leggi. Dunque, invece di snellire i passaggi necessari, con la speranza di accelerare i tempi, si rischia di bloccare o anche solo rallentare il regolare funzionamento del Parlamento che non avrebbe più un numero sufficiente di rappresentanti per l’espletamento delle proprie funzioni. Quale obiettivo si potrebbe al contrario raggiungere? Quello di rafforzare l’Esecutivo a scapito del Legislativo. Si tratta di un attacco sferrato al principio di uguaglianza e rappresentatività, garantiti dalla Costituzione, cioè un attacco diretto alla sovranità popolare. Ecco perché si può affermare che questo Referendum mette in discussione la democrazia stessa, poiché punta a diminuire la rappresentatività della cittadinanza, indebolendo il suo stesso organo di rappresentanza, cioè il Parlamento. Ad esempio, se oggi una Regione ha 4-5 senatori, è evidente che con un numero più basso di parlamentari eleggerebbero solo le due forze di maggioranza, con grave danno al pluralismo e alla democrazia.

L’intervento del costituzionalista Massimo Villone si apre col riferimento al vigente numero di rappresentanti che è già di per sé inferiore rispetto agli altri Stati, se rapportato alla percentuale di cittadini. Al momento l’Italia occupa il 24° posto con un deputato ogni centomila abitanti. Con la riforma si ritroverebbe all’ultimo posto. Rispetto alla questione dei costi poi, Villone spiega che quelli più elevati sono legati alle spese fisse del personale e della gestione del Parlamento, non al numero dei parlamentari. Infine, riguardo al velocizzare le attività, bisogna chiedersi se potremo considerarci effettivamente più efficienti, con un numero ridotto di parlamentari. In caso di vittoria del “Sì”, le forze politiche minori si troverebbero con una rappresentanza risicata o nulla, proprio lì dove si discutono le leggi. Nelle commissioni infatti si svolge il lavoro principale del Parlamento. Al momento i gruppi più piccoli possono essere comunque presenti in più commissioni. La riduzione invece porterebbe a problemi nel funzionamento delle commissioni stesse: i piccoli gruppi, quasi sempre di opposizione, non riuscirebbero a partecipare. Dunque tagliare il numero dei parlamentari, senza fare ulteriori modifiche alla legge elettorale, porterà di fatto a tagliare il collegamento tra Parlamento e cittadinanza, non certo a snellire e velocizzare i lavori. Villone pone l’attenzione sul fatto che, se rimanesse in vigore l’attuale sistema elettorale, dove i parlamentari sono nominati da oligarchie di partito (i capilista sono indicati dalle segreterie), nel momento in cui si riducesse il loro numero, aumenterebbe la percentuale dei rappresentanti scelti dai partiti, piuttosto che dai cittadini. Questo problema al momento non è stato risolto, ossia lo stretto legame tra la legge elettorale e il taglio dei parlamentari. Altra questione delicata e di grande rilevanza: il taglio dei parlamentari può determinare lo scioglimento anticipato delle camere. Col taglio dei rappresentanti di Camera e Senato, l’attuale Parlamento perderebbe la propria legittimità e si andrebbe verso lo scioglimento delle camere. Ciò determinerebbe, all’ormai prossima scadenza del mandato settennale del Presidente della repubblica, a un’elezione con numeri del tutto diversi ed esiti imprevisti. Villone ricorda come in precedenza anche la Sinistra avesse proposto una riforma, prevedendo il taglio dei parlamentari e la Monocamerale, con riforma elettorale in direzione del proporzionale. Si trattava però di una riforma assai differente e portata avanti in un contesto assai diverso. Infatti allora c’erano partiti politici ben organizzati e radicati nei territori; c’erano corpi intermedi forti, come i sindacati. Il Parlamento era la parte finale di un processo che passava quindi dai cittadini, attraverso partiti e corpi intermedi. Oggi non si può dire sia lo stesso. I cambiamenti in questo senso sono avvenuti già a partire dagli anni novanta.

Nadia Urbinati nel suo intervento non usa mezzi termini, definendo “subdola” questa proposta di riforma del Parlamento e una “stupidaggine” la pretesa di velocizzare i tempi di lavoro dell’organo medesimo. Una riforma voluta da chi propone una democrazia diretta, ma non si rende conto che in questo modo si procede verso l’affermazione di una oligarchia, a danno della stessa democrazia. I tentativi di ridurre il Parlamento a un mero organo di sostegno dell’Esecutivo si inseriscono nel solco dell’antipartitismo e dell’anti-establishment. Atteggiamento questo che in Europa si era affermato anche negli anni ’20. Oggi, come allora, la situazione è tale per cui il potere di pochi è molto, mentre il potere dei molti è ristretto. Per potere dei pochi dobbiamo intendere quello delle oligarchie finanziarie, delle multinazionali che influenzano e dirigono le politiche dei paesi. Insomma, secondo Urbinati, con questa proposta, si tenta di attuare progetti falliti con altre modalità: con la riduzione del Parlamento infatti si aspira a un nuovo ordine di presidenzialismo con elezione diretta del Presidente, rafforzando il ruolo del Governo e indebolendo quello del Parlamento. Attaccare il Parlamento vuol dire altresì attaccare la democrazia stessa. In particolare, in un momento storico come questo nel quale manca la mediazione dei partiti, i cittadini rischiano di non avere più voce, perdendo la propria rappresentanza. Non ha dubbi Nadia Urbinati circa i costi della politica: la democrazia è costosa, perché fatta da persone “normali”, che non possiedono necessariamente ricchezze. Perciò bisogna investire risorse sulla politica, piuttosto che tagliarle. Riguardo alla necessità di velocizzare i tempi di lavoro del Parlamento, riprendendo Condorcet, afferma che in nome della velocità si richiede il potere di pochi che dovranno prendere decisioni per tutti. A suo parere, in un contesto dove le decisioni vengono prese collettivamente, non solo dai singoli Parlamenti e Governi dei paesi, non ha senso questa forma di decisionismo accelerato. Chiaramente i partiti continueranno a formarsi, ma saranno sempre più partiti parlamentari/partiti cartello. Saranno forme istituzionali, senza la reale presenza dei cittadini. In poche parole secondo la politologa, questa riforma referendaria si presta a ogni tipo di riforma plebiscitaria o presidenzialista. Un ritorno all’Ancien Régime senza colpi di Stato. Questo cammino verso una moderna forma di oligarchia renderà sempre più praticabile mettere nelle mani delle multinazionali ogni struttura decisionale. Stiamo assistendo a diversi processi sociali in questi ultimi anni (anti-partitismo, anti-parlamentarismo, anti-establishment) che, pur nascendo e affermandosi per cause diverse, confluiscono inevitabilmente nella stessa direzione: il soffocamento delle voci più democratiche.

A conclusione delle tre relazioni, Michele Bruzzi e Stefania Rovereti, esponenti del Movimento delle Sardine, pongono l’accento sull’importanza dell’informazione in una situazione di deterritorializzazione della rappresentanza. Ad allontanare i cittadini dalle piazze è stata proprio l’antipolitica e le Sardine si sono date come obiettivo quello di riavvicinare i cittadini alle piazze e dunque alla politica. Una politica che sia il più possibile allargata e partecipata. Le Sardine sono infatti nate anche per contrapporsi alla scelta del referendum.

Interviene tra gli altri Laura Veronesi, promotrice dell’appello civico, lanciato proprio a Bologna con la prima firma del prof. Gianfranco Pasquino (Università di Bologna), per dire NO al taglio dei parlamentari. “I risparmi sulla spesa pubblica – afferma Pasquino – non si ottengono mutilando la democrazia, ma assumendo provvedimenti legislativi atti a definire il migliore e più efficace funzionamento”.

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