Egitto, la detenzione di Patrick Zaky puzza di persecuzione politica

4 Marzo 2020 /

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di Riccardo Noury
Sabato 7 marzo sarà trascorso un mese dall’arresto, avvenuto all’aeroporto del Cairo, dello studente dell’Università di Bologna Patrick Zaky.
Come sappiamo, dopo un periodo di sparizione forzata di circa un giorno, durante il quale è stato bendato e torturato nel corso degli interrogatori, Patrick è comparso negli uffici della procura della città di Mansoura. È stato poi posto in detenzione preventiva, indagato per cinque diversi capi d’accusa contenuti in un mandato di cattura emesso nel settembre 2019, quando era già in Italia: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo.
Si tratta dello stesso “set” di accuse formulato nei confronti di tantissimi altri detenuti: attivisti per i diritti umani, avvocati, giornalisti, blogger, esponenti dell’opposizione politica, difensori dei diritti umani.
Sabato 22 febbraio, Patrick è entrato nel tunnel della detenzione preventiva rinnovabile di 15 giorni in 15 giorni per “supplemento d’indagine”. Subito dopo, è stato trasferito da una stazione di polizia al carcere di Mansoura. In quel tunnel sono già da mesi figure molto note del dissenso egiziano, come l’avvocata Mahienour el-Masry e Alaa Abdelfattah.
Funziona così. La detenzione preventiva viene rinnovata in automatico per settimane, mesi o persino anni, senza interrogatori, senza supplementi d’indagine. Alla fine, nel migliore dei casi arriva un tardivo proscioglimento, nel peggiore un processo. Per i reati che gli sono contestati, Patrick rischia l’ergastolo, che in Egitto è automaticamente commutato in 25 anni di carcere.
Questa storia, come innumerevoli altre, puzza di persecuzione politica e contiene numerose irregolarità.
Intanto, il verbale d’arresto è stato completamente falsificato e fabbricato. Il documento consegnato dalla polizia alla procura afferma che Patrick è stato arrestato a un posto di blocco della polizia a Mansoura, mentre l’arresto è avvenuto all’aeroporto del Cairo un giorno prima. Su questo falso verbale, gli avvocati di Patrick hanno presentato una denuncia (protocollata col numero 9944/2020) contro il dirigente dell’ufficio indagini della stazione di polizia di Mansoura 2.
In secondo luogo, la detenzione preventiva di Patrick è contraria persino al diritto egiziano. L’articolo 134 del codice di procedura penale consente di prorogare la detenzione preventiva solo in presenza di motivi fondati, descritti minuziosamente. Nessuno di essi è applicabile nel caso di Patrick, né nella maggior parte dei casi in cui le indagini si basano su presunti materiali pubblicati sui social media, dato che raramente in circostanze del genere può esservi la “flagranza” del reato. Né si capisce in che modo una persona sottoposta a indagini di questo tipo possa avere modo di alterarne il corso, manomettere prove o influenzare testimoni.
L’obiettivo della detenzione preventiva prolungata è di consegnare un prigioniero all’oblio. Per questo, è fondamentale che in vista di sabato prossimo, e di quelli che eventualmente seguiranno, non si disperdano l’entusiasmo, l’emozione e la solidarietà dell’ultimo mese e che ognuno (le piazze per quello che le limitazioni per ragioni sanitarie permetteranno, gli organi d’informazione e soprattutto la diplomazia italiana) continui a fare la sua parte.
Il prossimo appuntamento per chiedere la scarcerazione di Patrick è previsto a Roma, al Pantheon, giovedì 5 marzo alle 18.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano  il 2 marzo 2020

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