di Luca Martinelli
Una fenice che risorge dalle ceneri è l’immagine scelta per la mostra che ha inaugurato la CasermArcheologica. Dopo 30 anni d’abbandono, questo palazzo nobiliare nel centro storico di Sansepolcro, cittadina della Valtiberina toscana, in provincia di Arezzo, è rinato grazie all’impegno della professoressa Ilaria Margutti e dei suoi studenti. La mostra, nel luglio del 2017, era intitolata “Agibile”. La fenice è una decorazione rinvenuta su una parete dell’edificio che per un lungo periodo ha ospitato una caserma, da cui il nome scelto, quindi la succursale di una scuola. A inizio dicembre 2019 Sansepolcro e la CasermArcheologica hanno ospitato il primo incontro della Rete nazionale di rigenerazione urbana a base culturale. Due giorni di confronto al quale hanno partecipato una trentina di realtà tra esperienze metropolitane, urbane e rurali, da tutta l’Italia. Obiettivo della rete, che nascerà ufficialmente a Milano nel corso di un secondo incontro convocato per il 29 febbraio e il primo marzo 2020 presso lo spazio di BASE Milano, è aggregare percorsi e istanze diversi.
“A Sansepolcro il movimento estemporaneo avviato nel 2013, un progetto di rigenerazione urbana dal basso, si era interrotto nel 2015, quando lo spazio era stato dichiarato inagibile”, racconta Laura Caruso, project manager e direttrice, insieme a Margutti, di CasermArcheologica, oggi uno spazio culturale che ospita mostre e un coworking. “Non volendo fermare le attività abbiamo partecipato al bando Culturability”.
È un programma promosso dalla Fondazione Unipolis (Gruppo Unipol) per sostenere progetti culturali innovativi ad alto impatto sociale che rigenerano e riattivano edifici vuoti, abbandonati e dimenticati e CasermArcheologica nel 2016 quel bando lo ha vinto. “Ciò ha permesso di consolidare un processo di ri-attivazione che aveva coinvolto la cittadinanza, e in particolare molti ragazzi, e di riaprire al pubblico uno spazio dimenticato per tanti anni, a 50 metri dal Museo civico (ospita opere di Piero della Francesca, nato a Sansepolcro e uno dei maggiori pittori del Rinascimento italiano, ndr). In un territorio marginale come il nostro, è importante valorizzare il recupero di un edificio a partire da una comunità che se ne prende cura -sottolinea Laura Caruso-: la differenza tra bene e valore è la comunità che lo gestisce”.
È dal proprio percorso che CasermArcheologica ha visto emergere la necessità di un network: “Lavorando a Sansepolcro, in un’area interna, ci siamo resi conto che per incidere nel discorso pubblico era necessario metterci in rete. Abbiamo convocato l’appuntamento partendo da due ‘comunità di pratiche’ di cui facciamo parte: quella dei ‘culturabilities’, cioè gli spazi legati al bando di Fondazione Unipolis, e una quindicina di spazi toscani che stanno dialogando con la Regione. A Sansepolcro c’erano anche quattro fondazioni, tre università, istituzioni come il ministero dei Beni culturali e la Regione Toscana, e alcuni Comuni”, dice Laura Caruso. Per lei la rete non deve fare un mero lavoro sindacale: “Il dibattito affronta i temi che dovrebbero essere discussi dalla politica e dal legislatore: si parla di professionisti, di luoghi abbandonati, di futuro e possibilità”.
Per spiegare le differenze che esistono tra le tante realtà della rete fa l’esempio di CasermArcheologica e di Mare culturale urbano: “Per noi il mercato non esiste, non c’è possibilità di sostenibilità in un territorio poco densamente popolato come la Valtiberina. E abbiamo problemi legati a questo aspetto. Per ‘Mare’ le istanze sono diverse, e passano per il riconoscimento della dinamica di impresa all’interno di spazi rigenerati”. Il significato lo traduce Andrea Capaldi, co-fondatore e coordinatore di Mare culturale urbano, centro di produzione artistica nella zona Ovest di Milano. “La cascina è stata ristrutturata nell’ambito di un progetto di realizzazione di immobili destinati all’housing sociale, ‘Cenni di cambiamento’. Noi paghiamo un affitto alla società proprietaria dell’iniziativa”.
‘Mare’ ospita una programmazione culturale legata a jazz, classica, musica contemporanea in un quartiere periferico, offre percorsi di formazione per i ragazzi del quartiere, come un laboratorio di scrittura e uno legato al rap che coinvolge una quarantina di giovani, il progetto ‘Voci di periferia’. Abbiamo anche un coworking, due sale prove per musicisti, corsi di yoga, tango, pilates. Il sabato mattina c’è il mercato agricolo. Questo fa sì che il nostro pubblico sia ‘spappolato’, qui vengono i neonati con i genitori e i novantenni a ballare il liscio”.
La sostenibilità economica di tutto ciò che Capaldi descrive è data dall’attività di ristorazione (gastronomia, birreria, caffetteria, ristorante, pizzeria, cucina), che garantisce il 95% dei ricavi. “Mare” ha 40 dipendenti ma non può essere riconosciuta come impresa sociale. “La ristorazione ci dà la possibilità di fare impatto sociale nel quartiere e il 30% delle risorse umane arrivano attraverso percorsi di formazione e inserimento lavorativo per ragazzi della nostra periferia, ma c’è un cortocircuito: i ricavi non arrivano dalla nostra attività caratteristica, la produzione artistica, ma dal food&beverage”, dice Andrea Capaldi.
Sono difficoltà diverse quelle che vive Cristina Alga, che a Palermo si occupa di progettazione e politiche culturali e nel 2014 ha contribuito ad aprire l’Ecomuseo urbano Mare memoria viva. Lo spazio racconta le trasformazioni urbanistiche e sociali della città dal secondo dopoguerra attraverso testimonianze, storie, immagini e memorie legate al mare. “È uno spazio pubblico, un ex deposito di locomotive restaurato dal Comune di Palermo. Questo detta alcune regole per la gestione dello spazio”, racconta in attesa del metronotte che alle 18.30 chiude i cancelli.
“Non siamo in centro ma in una zona ad alto tasso di presenza mafiosa e di dispersione scolastica, con problemi legati alla mobilità, al mare inquinato. Il fatto che questo spazio non abbia una gestione ‘privatistica’ ma una funzione pubblica è fondamentale. È un progetto che guarda all’inclusione e non solo al mercato. Non paghiamo un canone ma produciamo valore sociale ed economico”, riassume Alga. L’associazione Mare memoria viva, che dà lavoro a otto professionisti, apre ogni pomeriggio un doposcuola gratuito per i bambini del quartiere e cura la programmazione culturale, quella didattica e tutti i servizi legati alla funzione museale. “La rete serve a riconoscere debolezze ed esigenze comuni. A partire da ciò che sperimentiamo diamo la possibilità a un modello di crescere, testimoniando ciò che renderebbe più generativo il nostro lavoro per il Paese non per le singole esperienze”.
Bertram Niessen è il direttore scientifico di cheFare, un’associazione culturale non-profit e piattaforma per la trasformazione culturale, autorevole osservatorio sui processi di innovazione: “La nascita della rete è puntuale e tempestiva – sottolinea ad Altreconomia-. Era il momento di mettere in relazione e in qualche modo dare forza a una serie di organizzazioni che in tutta Italia fanno da anni un grande lavoro civico, per garantire così un passo in avanti alla capacità di pressione sul legislatore, a partire da una serie di problemi -di carattere urbanistico, architettonico, burocratico, legale, fiscale – che tutti vivono. Ogni spazio rappresenta una sperimentazione a cui le soluzioni ‘tradizionali’ offerte del sistema giuridico italiano mal si adattano”. La sfida trasformativa per realtà place based, cioè legate a singoli luoghi, è trovare minimi comuni denominatori che trasformino le buone pratiche in “strumenti”, fondamenta solide su cui costruire una politica di rigenerazione urbana, efficace non solo dal punto di visto urbanistico ed architettonico.
“Abbiamo capito l’importanza e la rilevanza del tema a partire dalla seconda edizione del bando Culturability, a fine 2014 – spiega ad Altreconomia Roberta Franceschinelli, responsabile Area cultura e comunicazione web di Fondazione Unipolis -. Oggi la rigenerazione a base culturale si è affermata come uno degli ambiti principali, anche se le risorse economiche sono per lo più indirizzate a masterplan e riqualificazione. Per noi è fondamentale riuscire a dimostrare il valore che queste esperienze generano, che è valore culturale e artistico, in termini di innovazione sociale e civica, di logiche di welfare ed educative che stanno sviluppando”.
Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia il 1 febbraio 2020. Foto di CasermArcheologica