di Francesco Domenico Capizzi
Verso l’uscita dall’aeroporto di Bologna ci si imbatte, da oltre una settimana, in una squadra di sei operatori (sanitari, agenti di polizia, addetti alla sicurezza?) protetti da bianche tute integrali simili a quelle adoperate nel focolaio e nei luoghi delle possibili diffusioni del SARS-CoV-2, responsabile della “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” così definita dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV) come nel 2003 di fronte al SARS-CoV-1.
Si provvede ad innalzare cordoni e barriere sanitarie, l’apprensione per il rischio di una pandemia si dilata mentre i mezzi di informazione ci aggiornano, minuto per minuto, dall’avvenuto isolamento del virus allo “Spallanzani” di Roma, ai crocieristi bloccati sulle coste giapponesi, al ragazzo italiano trasportato da un aereo militare, nientemeno accolto dal Ministro degli esteri, alla conta di morti, contagiati e guariti nelle mutevoli dislocazioni geografiche insieme alle proiezioni negative sul prodotto interno lordo della Cina e delle ricadute conseguenziali su ogni luogo della Terra. Tutto giusto e lodevole.
Il problema che si vorrebbe qui sollevare consiste nella contraddizione fischiante fra il timore motivato che venga a conformarsi una pandemia virale mentre diverse tipologie di pandemie esistono già, inveterate e molto gravi quanto neglette: nel corso della vita almeno una persona su tre risulterà affetta da neoplasia con prospettive di sopravvivenza di poco superiori al 50% .
Nella sola Europa 4-5 milioni di persone scompaiono annualmente per l’insorgere di un tumore fra tutte le età e di ogni condizione sociale.
Secondo i dati ISTAT, In Italia il rischio riguarda un maschio su due e una femmina su tre. In questi gruppi, il 10% appartiene ad età sotto i quarantanove anni, il 39% dai cinquanta ai sessantanove anni, il 51% agli ultrasettantenni. Circa 500 persone al giorno scompaiono su 1000 con neoplasie diagnosticate. Restando per un momento in casa nostra: se si vuole accennare alle ricadute economiche, come si sta facendo per il Coronarovirus 2, per la patologia neoplastica, la spesa per i soli farmaci oncologici è passata, nell’ultimo decennio, da 1 miliardo di euro a 4,5 miliardi di euro con un incremento di 400 milioni per anno. Nel complesso, le patologie oncologiche assorbono in Italia larga parte delle risorse economiche destinate al Servizio Sanitario con gli oltre 19 miliardi di euro spesi per anno, escludendo i costi e i danni diretti e indiretti a cui le famiglie sono esposte.
Nel Regno Unito la situazione è analoga e tendenzialmente in incremento: un cittadino su due subirà gli effetti di una malattia neoplastica in un segmento della vita con probabilità di guarigione di circa il 50%.
Nel Mondo risultano 12 milioni di nuovi casi di tumori per anno con oltre 8 milioni di decessi ascrivibili a fattori vari fra cui soprattutto, e questo vale per tutte le Regioni geografiche, la vicinanza, il consumo, il tempo di esposizione e la quantità di cancerogeni riscontrabili nei folti elenchi in uso in agricoltura, industria alimentare in genere, produzione di energia, scarichi industriali e delle automobili, vari stili di vita fra cui spiccano tabagismo e uso smodato di alcolici.
La «International Agency Research of Cancer» nel 2018 ha individuato 120 agenti e particolati sicuramente ritenuti carcinogenetici, oltre ad 81 sostanze dai medesimi effetti giudicati probabili ed a 299 agenti dagli effetti carcinogenetici ritenuti possibili che inducono elevati rischi di neoplasia in ampi strati di intere popolazioni. Soltanto in Italia, oltre ai cancerogeni di cui sopra, sussistono ancora 30 milioni di tonnellate di eternit (amianto) che determinano ogni anno circa 3.500 mesoteliomi contro cui non esistono terapie efficaci e risolutive.
A questi numeri, che registrano sensibili incrementi annui, vanno aggiunti l’esposizione di 10 milioni di italiani al rischio di cirrosi e di 5 milioni di obesi candidati a malattie gravi, a partire dall’età scolare, con ridotte aspettative di vita, ecc. Sul piano socio-economico basterà citare un solo dato, e non il maggiore: nonostante i 25 miliardi annui che l’Italia spende (OMS, 2016) per gestire le conseguenze degli eccessivi consumi di alcoolici, gli abusi rappresentano la causa principale di morte e disabilità tra i giovani, oltre ad un aumentato rischio di declino cognitivo prima dei 65 anni e di decessi alcool-connessi di 75.000 persone per anno.
In conclusione: è giusto che Istituzioni nazionali e internazionali si adoperino per evitare una incombente pandemia virale, ma è strettamente necessario ed almeno altrettanto emergenziale che le medesime energie vengano spese per arginare le pandemie in atto accostabili soltanto agli effetti drammatici della peste dei secoli XIV e XVII in cui perì un terzo fra le genti d’Europa. Oggi il cancro, quasi mai nominato ma indicato per parafrasi, rappresenta la pandemia del secolo dello sviluppo e del progresso.
Bibliografia essenziale: International Agency for Research on Cancer, 2018; The Lancet global burden disease, 2019
L’autore è Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore di Chirurgia generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna
Questo articolo è stato pubblicato da Mente Politica il 19 febbraio 2020