Ospedale in Fiera: La rivolta di un gruppo di avvocati-donatori

20 Maggio 2020 /

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di Andrea Sparaciari
 
«Di quei 21 milioni, 10.000 euro li ha donati il mio Studio, avendo io insistito perché fossero destinati proprio lì e non ad altre iniziative anti-Covid19. Sono un pirla». È il tweet che il 13 maggio scorso l’avvocato milanese Giuseppe La Scala – persona assai nota, un po’ perché “volto” dei piccoli azionisti del Milan, un po’ perché a capo di uno studio legale che annovera 200 avvocati e 150 dipendenti – ha lanciato nell’etere.
Nel suo cinguettio è racchiusa tutta la frustrazione dei molti “donors” che avevano creduto nel progetto Ospedale in Fiera e per questo, nella fase più grave dell’epidemia, hanno messo mano al portafogli.
Una struttura che, a fronte di un investimento tra i 21 e i 26 milioni di euro (la cifra esatta ancora non è quantificata, ha portato soccorso a poco meno di una ventina di pazienti totali.
Un ospedale talmente utile, che si avvia ad essere smantellato a breve, sebbene il presidente Attilio Fontana continui a ripetere che proprio la sua inutilità sia stata un clamoroso successo.
«È come se fai un’autostrada a otto corsie che costa miliardi e poi gioisci perché nessuno la usa, visto che tutti usano il treno… Non è che c’è da festeggiare. Hai solo pagato un sacco di soldi per una cosa inutile»‚ ironizza La Scala.
Quell’ospedale-astronave (come lo aveva definito il suo creatore, Giudo Bertolaso, prima di cadere infermo) «rimarrà sempre pronto, sarà sempre allestito e sarà uno dei presidi più importanti», ha dichiarato Fontana a Sky Tg24 il 18 maggio scorso, «è talmente importante che nonostante le strumentali polemiche che si sono fatte è stato preso ad esempio da tante altre Regioni e anche da una nazione importante come la Germania, che a Berlino ha realizzato una cosa assolutamente identica alla nostra. Se si vuole fare polemica, si può fare polemica su tutto».
Nonostante la difesa d’ufficio del governatore lombardo, sono in tanti a “voler fare polemica”: dalle opposizioni al Pirellone (cosa scontata), a quanti in quella struttura i soldi ce li hanno messi. Come appunto l’avvocato La Scala, intenzionato a vederci chiaro, avviando anche azioni legali per ottenere una rendicontazione puntuale e trasparente di ogni singolo euro.
«Abbiamo capito tutti che c’è qualcosa che non va in quell’operazione», racconta a Business Insider Italia, «per questo come donatori faremo una serie di accessi agli atti per vedere i conti: alla Fondazione di Comunità Milano (che ha in pancia il fondo sul quale sono affluiti i soldi dei donatori, ndr), alla Fondazione Fiera (che aveva avviato il fondo, ndr) e alla Prefettura di Milano, per capire che tipo di sorveglianza ha effettuato sugli atti delle due fondazioni. E anzi, colgo l’occasione per lanciare un appello a tutti quelli che vogliono vederci chiaro, unitevi a noi!».
Insomma, non l’ha presa affatto bene La Scala, anche perché aggiunge:
«quei 10 mila euro li hanno tirati fuori tutti quelli che lavorano nel mio studio, autotassandosi. Nonostante la “rella” (i tempi di vacche magre, in milanese, ndr) avevo insistito io affinché andassero proprio lì, nonostante i soci a causa del Covid si siano diminuiti lo stipendio del 30%, gli avvocati del 20% e gli impiegati siano andati in cassa integrazione al 50%. Abbiamo raccolto i soldi perché quella struttura ci era stata venduta come una necessità assoluta e risolutiva. E invece ora mi viene da piangere, siamo stati vittime della propaganda!».
A far infuriare ulteriormente La Scala è il regolamento del Fondo istituito da Fondazione Fiera presso Fondazione Milano (filiazione di Fondazione Cariplo), dove sono confluiti 21.656.570,51 euro, il quale prevede che toccasse a Fondazione Milano e Fondazione Fiera scegliere dove investire i soldi dei donatori, ma anche che fossero loro stesse a ricevere la rendicontazione, in quanto membri del Comitato di Gestione. Un evidente conflitto di interesse.
Interrogata da Business Insider Italia sull’evidente anomalia l’11 aprile scorso, Fondazione Milano aveva detto che quel regolamento sarebbe stato cambiato non appena possibile, allargando il numero dei membri del Comitato di Gestione a nuove figure di garanzia. Aveva aggiunto poi che la rendicontazione allora non era possibile, perché Fondazione Fiera non aveva ancora comunicato né spese né preventivi.
Al 14 maggio la situazione non è cambiata: «al momento Fondazione Fiera non ha ancora completato la raccolta di tutta la documentazione. Si sta inoltre aggiornando il Regolamento del Fondo che prevede la nomina di un Comitato dei Garanti», scrive Fondazione Milano a Business Insider Italia. Morale, ancora niente rendiconti.
Non è dato sapere neanche se esiste una rendicontazione per gli altri due fondi attivati sempre presso Fondazione Milano e sempre finalizzati alla costruzione dell’ospedale del Portello: il “Fondo McDonald’s Italia e Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald per l’emergenza COVID-19”, che ha raccolto 881.225 euro, e il “Fondo Nexi – Insieme per la costruzione dell’ospedale Fiera Milano”, che di euro invece ne ha raccolti ben 992.784. McDonald’s non ha voluto commentare, mentre da Nexi si dicono «fiduciosi».
E se a Milano le acque sono agitate, a Civitanova Marche, dove sabato 16 maggio è stato consegnato l’ospedale gemello a quello della Fiera, certo non si ride. La struttura, anch’essa concepita da Bertolaso – 84 posti su 5.000 mq, con 42 letti di terapia intensiva e altri 42 di terapia sub-intensiva – è costata circa 12 milioni di euro e fino a oggi ha raccolto zero pazienti!
Anche lì i soldi per la costruzione sono stati raccolti attraverso donazioni private confluite sul conto (privato) del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta. Un altro ospedale-astronave che a regime costerà qualcosa come 1,5 milioni di euro al mese per la sola gestione, tutti soldi che graveranno sulle casse dalla sanità pubblica marchigiana.
L’ospedale, inoltre, vive un grande paradosso: nato per alleggerire il lavoro degli ospedali già esistenti, siccome non trova personale specializzato (medici e infermieri esperti di terapia intensiva), per funzionare è costretto a “saccheggiare” gli altri nosocomi. Così i sanitari marchigiani vengono “dirottati” all’astronave in forza a ordini di servizio emanati delle varie direzioni sanitarie. Così si sguarnisce un ospedale per assicurare personale a una struttura che però non ha pazienti. Potenza della politica che quell’ospedale l’ha fortemente voluto.
Tuttavia, la struttura marchigiana, rispetto a quella milanese, può vantare una gigantesca differenza: lì il dettaglio di ogni singolo costo è chiaro ed è già stato pubblicato:

  • 2.676.491,76 di euro per opere edili, finiture, infissi e strutturali;
  • 201.525 euro per impianti idrico-sanitari;
  • 1.642.337,08 euro per gli impianti di condizionamento;
  • 1.885.565 euro per impianti elettrici speciali.

Totale di 6.405.918,84 euro che però è stato ribassato del 10% in sede di appalto, per un totale finale di 5.766.287,84 euro.
Cifra alla quale bisogna poi sommare

  • il fondo imprevisti da 581.482,72 euro
  • e l’Iva da 634.777,06.

Ai 6.982.547,62 euro totali, vanno infine aggiunti
i costi per le attrezzature mediche, pari a circa 11,6 milioni.
Naturalmente colpisce come una struttura – per quanto vuota e inutilizzata, che soffre di una carenza di personale sanitario, inaugurata pochi giorni fa – , abbia già un conto economico pubblicato, mentre per l’ospedale alla Fiera di Milano non sono bastati due mesi abbondanti per vedere uno straccio di numero…
Questo articolo è stato pubblicato su businessinsider il 13 maggio 2020

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