L'Emilia Romagna e le due sinistre

17 Febbraio 2020 /

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di Eduardo Danzet
Sulle elezioni in Emilia Romagna è stato scritto ogni tipo di analisi, per cui è lecito chiedersi perché un altro articolo che ne tratta, ma la risposta è semplice. Molte sono le riflessioni di chi scredita la Sinistra alleata del centrosinistra, per giustificare la propria sterile purezza, pur di non affrontare la drammaticità della propria irrilevanza, dando manforte alla propaganda leghista.
Sono gli argomenti con cui Tomaso Montanari scrive di una Elly Schlein ancella del PD, “tornata all’ovile democratico” e di Emilia Romagna Coraggiosa che, nella sua alleanza con Bonaccini, diventa guardiana dello stato di cose esistenti e non alternativa.
Lo storico dell’arte fiorentino non risparmia giudizi negativi nemmeno sulle sardine: il movimento d’opinione, nato contro una politica ridotta a campagna plebiscitaria permanente su Salvini, si sarebbe prestato a fiancheggiare un modello accusato di malgoverno, ancor prima di non essere di sinistra.
Molto più equilibrata ed interessante è stata l’analisi del sociologo Marco Revelli (tra i garanti di un’altra meteora della sinistra radicale, “Altra Europa con Tsipras”): nelle periferie e nei capoluoghi in cui la concentrazione della ricchezza è minore (piacentino, ferrarese e valli di Comacchio, appennino e riviera romagnola) Lucia Borgonzoni doppia, quando non triplica, il Presidente Bonaccini; in sintesi, il voto ci mostra una Regione spaccata a metà, in cui il centrosinistra vince nei grossi centri urbani, lungo la Via Emilia e nei territori che hanno retto all’onda d’urto della crisi e dell’austerità.
Di buon senso anche le sue riflessioni su quattro ragazzi che, armati di social e di una buona conoscenza della comunicazione, hanno risvegliato e amplificato la partecipazione popolare, smentendo i pronostici della Lega.
Certa sinistra non ha compreso l’importanza di questa tornata elettorale: un tentativo di spallata al Governo, per innescarne la crisi e chiedere di nuovo “pieni poteri” agli italiani, fortunatamente fallito. Anzi, adesso si presenta inaspettatamente l’opportunità per Coraggiosa di giocare la partita più importante, al governo dell’Emilia Romagna.
Approfittando del travaglio del partito di Zingaretti, si fa sempre più concreta la possibilità di avanzare delle proposte progressiste e laburiste nella Giunta Bonaccini e nel centrosinistra. Basti guardare i dati offerti dai vari istituti statistici, alcuni dei quali anche drammatici, che confermano la paura del PD di perdere il proprio consenso nella “sua” Regione:

  • 1. Tra Bonaccini e Borgonzoni c’è un distacco di solo 181.000 voti.
    La distanza che ha separato i due contendenti, seppur netta, non è nemmeno lontanamente paragonabile ai risultati schiaccianti di Errani e di Bersani;
  • 2. L’estensione dei territori in cui il centrodestra risulta più votato corrisponde a quasi 2/3 della Regione, sfatando il mito dell'”Emilia Romagna rossa”.
    Nei suoi tour elettorali elettorali, Salvini è arrivato fin nelle periferie, lasciate a sé stesse, dove le politiche di tagli sono diventate devastanti, aumentando il malcontento verso il centrosinistra, che ne è responsabile.

Lontani da critiche gratuite e da allarmismi, il quadro derivante dal voto è, però, di una spallata leghista solo rinviata, in cui il centrodestra ha solo radunato e riorganizzato le forze per vincere tra 5 anni: si pensi a come Lega e Fratelli d’Italia sono rispettivamente la seconda e la terza forza politica regionale.
L’inquietante crescita del centrodestra ha riportato al centro della scena politica l’impossibilità di procrastinare la questione sociale, che sta per scoppiare anche in Emilia Romagna.
Questione della quale la Sinistra, per sua vocazione, deve farsi carico, pena l’appropriazione da parte di Salvini e del suo partito.
L’unica speranza per non vedere un altro caso umbro, è lavorare affinché la tradizione politica erede del movimento operaio traini quello cattolico-sociale in un nuovo slancio laburista; è necessaria una nuova stagione di riforme, basate sulla giustizia sociale, sull’attenzione alle periferie e alle fasce più deboli della popolazione.
È una partita certamente non facile, perché i numeri e i rapporti di forza non sono dalla parte dell’ala radicale della coalizione di Bonaccini. In effetti, lo si è constatato in occasione di una legge sull’edilizia in stile anni ‘50, che favorisce gli speculatori, a discapito della crescente mobilitazione in tutto il Paese, contro il consumo di suolo.
Tuttavia i dem possono cedere a compromessi con ER Coraggiosa, per le difficoltà di Zingaretti a rinnovare il PD e del “modello emiliano” di governance ad amministrare le province, argomento che ha premiato la martellante propaganda della Lega.
Se il futuro può sorridere alla Sinistra “istituzionale” di Coraggiosa, lo stesso non si può dire dell’altra Sinistra, non pervenuta nemmeno in queste elezioni.
Extraparlamentare per vocazione, storia o scelte politiche, altamente litigiosa e divisiva, si è presentata al voto frammentata in ben 3 liste al di fuori della coalizione di centrosinistra. Con simili premesse l’insuccesso era previsto ma, inaspettatamente, non con le proporzioni dei risultati ottenuti (tra lo 0,2 e lo 0,4%, superati perfino dall’irrisoria lista Novax).
Gli elettori hanno bocciato il loro messaggio, che sosteneva l’uguaglianza delle politiche del PD e della Lega, sfociando in un nichilismo funzionale a Salvini, che si è presentato in Emilia Romagna come elemento di novità.
Inoltre viene condannato senza appello un concetto malato di rappresentanza, in cui i dirigenti di questi partitini non ascoltano le proposte, né tanto meno il messaggio di una politica diversa, da parte dei loro elettori delusi: essi hanno smarrito la capacità di raggiungere un obiettivo, hanno sostituito alla dialettica, con istituzioni e corpi intermedi, una concezione tossica di conflitto, che sfocia nello scontro; ciononostante, ognuno ha perfino la presunzione di ritenersi l’unico in grado di rappresentare un elettorato, che li ha abbandonati.
L’esempio più lampante del loro regresso culturale e politico si può trovare facilmente negli articoli e nelle dichiarazioni dei loro leader, nell’ultimo anno: contro tutto e contro tutti. Contro Fridays For Future, gli altri movimenti ambientalisti e il cattolicesimo di base, accusati di non abbastanza marxisti; eppure, in mancanza di una forte Sinistra, hanno fornito un contributo prezioso nell’organizzare e dirigere i movimenti sorti per ambiente, accoglienza e abrogazione dei decreti-sicurezza di Salvini.
Contro Elly Schlein e Coraggiosa, accusate di far parte della destra neoliberale, solo perché cercano di egemonizzare l’odiato centrosinistra con idee laburiste ed ecosocialiste, approfittando del timido cambiamento che vi sta imprimendo Zingaretti. Contro le Sardine, stigmatizzate da Pap, Prc, ecc. per la loro natura apartitica e trasversale (come ogni movimento di successo), alle quali il Partito Democratico ha saputo tendere la mano e prestare ascolto.
Eppure, una parte consistente degli attivisti di queste esperienze si riconosce nei programmi delle sinistre radicali; la conseguenza di questi attacchi, tuttavia, sarà un ulteriore passaggio di voti al PD e al M5S, capaci di un confronto più produttivo e intelligente coi corpi intermedi.
È chiaro che risulta dannosa la frammentazione in due Sinistre, di cui una impegnata a ripetere al diverso “chi non è con me, è contro di me”, ammalata di una sorta di “sovranismo psicologico”. Il rischio è di far perdere una grande opportunità per la ricomposizione di una Sinistra plurale, forte e a vocazione maggioritaria, in grado di contendere il governo al centrodestra.
È in gioco mai come ora la nostra democrazia, a un passo dal tramutarsi in un regime autoritario, che si ispira in maniera inquietante ai neofascismi di Visegrad, spietati coi più deboli e compiacenti con mafie e corruzione.

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