Si chiude una delle più brutte campagne elettorali: l’8 e 9 giugno si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. Il ruolo della Ue nel mondo, il nodo della guerra, le prospettive per lo stato sociale e i diritti del lavoro. Ne parliamo con Fabio Alberti (Ptd), Christian Raimo (Avs) e Pasquale Tridico (M5S)
La campagna elettorale che si chiude è stata senz’altro povera di idee, povera di contenuti, appesa alle solite trovate mediatiche, fossero le battute di Giorgia Meloni o l’ansia del confronto televisivo diretto di Elly Schlein. A sinistra, il campo che ci interessa frequentare, ci sono stati alcuni lampi, come per molti aspetti la candidatura di Ilaria Salis in Alleanza Verdi e Sinistra (Avs), oppure idee messe in circolazione come il Reddito di cittadinanza europeo per il quale Pasquale Tridico, capolista del Movimento 5 stelle (M5S) al Sud, annuncia battaglia o la certezza di aver immesso il tema della pace e della guerra nella campagna elettorale, come sostiene Pace, Terra e Dignità (Ptd) capeggiata da Michele Santoro.
Che la campagna elettorale sia stata «brutta» lo pensano i nostri tre interlocutori: Fabio Alberti, fondatore dell’associazione Un Ponte per, storico pacifista e candidato con Ptd; Christian Raimo, militante a tutto campo, collaboratore anche di Jacobin e candidato con Avs; e Pasquale Tridico, economista, già presidente dell’Inps.
La scommessa contro la guerra
«In generale la campagna elettorale non ha colto i problemi strategici che sono di fronte all’Europa – dice Alberti – Abbiamo avuto una campagna incentrata soprattutto sul colore delle cravatte o sulle modalità del dibattito in tv. Ma il fatto che l’Europa sia di fronte a un bivio, tra la pace e la guerra, e quindi sia in gioco la sua collocazione nel mondo, o non viene affrontata oppure viene vissuta sulla naturalezza della sua collocazione attuale». Alberti, come tutta la lista guidata da Santoro, ritiene che fino a quando non è entrato in campo questo progetto politico, la questione non era nemmeno in agenda e il fatto «che altri sono corsi ai ripari mettendo la parola ‘pace’ nel simbolo, dimostra che la preoccupazione tra la gente c’è. Nei mercati, quando dico che rischiamo la terza guerra mondiale, si percepisce la paura». Il senso di questa lista quindi è fondamentalmente legato a una questione dirimente e non perché il programma di Ptd sia monotematico: anzi, leggendo il, ricchissimo, programma presentato si hanno tutti i temi cruciali della fase. Ma la pace è il tratto distintivo, tanto che se c’è da immaginare un futuro per questa lista Alberti lo immagina soprattutto su questo fronte più che su un’ipotesi di ricostituzione della sinistra come in passato sono state le esperienze di Potere al popolo o Unione popolare (senza andare all’indietro fino alla lista Ingroia).
Ma il ruolo del leader mediatico non è un impedimento o un intralcio per un discorso che punta alla partecipazione collettiva? In altre parole, ci si può davvero affidare a una figura, sia oggi quella di Michele Santoro, domani chissà chi altro? Alberti ricorda innanzitutto che la proposta di lista non è stata improvvisata o emersa nel finale di campagna elettorale: «L’appello di Santoro e Raniero La Valle è del luglio dell’anno scorso. Purtroppo altri non lo hanno raccolto». Quanto alla personalizzazione, il problema viene riconosciuto come comune a tutte le forze politiche «tanto è vero che tutte le liste cercano dei personaggi da candidare, spesso non congruenti con la propria impostazione, però bisogna prendere atto che così funziona». E poi, aggiunge, i nomi di «Moni Ovadia, Giorgio Odifreddi o Paolo Rossi sono di persone che sono pacifiste da sempre».
Parlando con Jacobin Fabio Alberti non muove nessuna polemica verso sinistra, nonostante il tema della divisione del voto si sia posto per molti e molte, soprattutto a causa della soglia di sbarramento del 4% che, nel caso di una guerra fratricida potrebbe portare sia Avs e che Ptd a rimanere fuori dalla distribuzione dei seggi. Su questo punto l’idea è che la lista pacifista possa essere utilizzata soprattutto da chi non sarebbe andato a votare, come «voto di protesta contro la guerra». La speranza di poter superare la soglia è reale: «Nessuno, in anni passati, aveva colto l’intenzione di votare Lega oppure 5 Stelle da parte di molti astenuti fino al giorno prima». I sondaggi pubblicati fino a quando era lecito non confortavano questa previsione, ma è anche vero che le decisioni di voto si prendono spesso nell’ultima settimana, addirittura l’ultimo giorno.
La comunità ferita
Che la campagna elettorale sia stata «moscia» lo pensa anche Christian Raimo, candidato nella circoscrizione Centro in Avs, insegnante, attivista culturale e molte altre cose ancora. Raimo ha fatto una campagna vecchio stile, capillare, «conosco ormai per ogni provincia d’Italia un circolo Arci, una casa del popolo, una sezione di Avs», e dall’interno della campagna dice di aver vissuto i «sintomi del disastro della situazione politica e delle democrazie europee». Una campagna elettorale «di bassissimo profilo nella qualità del dibattito, con partiti che somigliano a elenchi di liste, con guasti osceni come ad esempio la candidatura di Vannacci o gli spot finali di Meloni nei lager per migranti in Albania. E con lo strazio di quello che sta accadendo a Gaza».
Dentro il quadro generale, però, Raimo dice di aver trovato «un mondo più vitale e largo di quello che si pensa: una maggioranza di persone che crede nella democrazia e nella solidarietà e che cerca di capire come curare sé stessi, le persone care, prendersi cura degli altri». Qui l’analisi è sociologica e politica assieme e offre spunti di riflessione. Perché Raimo pensa che questa «diffusissima cultura democratica e solidale» che sembra non apparire, in realtà è in difficoltà per due motivi: «Non è organizzata e inoltre è stata contrastata da decenni di attacco allo stato sociale: quindi è una comunità democratica ferita». E questa ferita si trasforma in due rivoli: «rancore oppure sfiducia». Il rancore ha alimentato il cinismo delle destre mentre la sfiducia fa pensare alla sinistra maggioritaria «che può comunque lucrare sul voto per inerzia», comunque un voto scontato.
Da questa visuale, Raimo dice che la domanda più diffusa incontrata è la paura che si sbricioli ancora di più lo stato sociale, in particolare «scuole e ospedali»: paura «giustificatissima, perché è qualcosa che accade sempre più spesso». Questo timore fa premio anche sulla paura della guerra, pure esistente ma percepita, almeno dai meno giovani, come «astratta». Diverso il caso di ragazzi e ragazze che hanno invece rivissuto uno spirito «che sembrava spazzato via dalla storia» bellicista con la riproposizione della leva militare e quindi la possibilità «di andare al fronte, un incubo». «Mi sento parte di una generazione che ha almeno vinto la battaglia per l’educazione al pacifismo, ma questo viene rimesso in discussione». In ogni caso il tema del welfare è preminente in questa lettura della campagna svolta nel centro d’Italia perché «ospedali e scuole costituiscono i luoghi in cui, proprio perché vicini alle persone care, si tengono ancora le comunità». Comunità impoverite e spaventate da una china ancora più pericolosa e inarrestabile.
È però ovvio che nella campagna per Avs la candidatura di Ilaria Salis abbia giocato un ruolo particolare, un lievito forse inatteso e che, sempre stando ai sondaggi pubblicati a suo tempo, potrebbe far superare ad Avs la soglia. «Paradossalmente si pensava che ci sarebbe stata una polarizzazione tra Schlein e Meloni che però non c’è stata per due debolezze speculari. Meloni ha esaurito il suo giacimento di rancore: il suo attacco passivo-aggressivo a Vincenzo De Luca o il vittimismo esibito da Mentana indicano una narrazione che non è più tanto chiara: oggi Meloni è ‘una stronza’ o ha un rapporto empatico con il popolo? Non si capisce». E Schlein? «Nonostante i candidati che incarnano un progetto di solidarietà, come Cecilia Strada o Marco Tarquinio, andranno bene non sembra che la nuova segretaria abbia ottenuto il rinnovamento delle forze del Pd». E quindi che c’entra Salis? «In mezzo a questa polarizzazione mancata Salis, nonostante sia stata addirittura muta durante le elezioni, diventa un riferimento. Una persona che dice che c’è un antifascismo militante, che racconta un impegno europeista sul campo, che si batte per le minoranze, che mostra come la sicurezza vuol dire lager e carceri: una donna, insegnante, precaria, senza volerlo è stata ed è un orizzonte di senso per molte persone che non la votano solo per la sua battaglia di giustizia ma per le sue idee».
A differenza di Alberti, poi, Raimo vede invece nel leaderismo un problema soprattutto quando si mette al servizio di «accrocchi elettorali: ricordiamo ancora di Ingroia nel 2013» e alla fine la sua idea è che «i partiti servono e si possono cambiare dall’interno mentre gli aggregati consumano presto le proprie leadership».
La lezione del Covid
Che la domanda che proviene dalla campagna elettorale sia soprattutto di protezione sociale lo pensa anche Pasquale Tridico che, a differenza degli altri, si è mosso in un’area storicamente devastata, un sud «già spopolato, senza servizi e in cui, se devo dire qual è la richiesta più dirompente non posso che fare un solo nome: sanità». Non solo questo, «anche scuole e trasporti», ma la sanità ha un valore emblematico per una ragione abbastanza sottovalutata dal dibattito maggioritario e che Tridico conosce invece molto bene: «Dopo la pandemia si pensava che ci sarebbe stata una svolta e che si sarebbe fatto di tutto per investire su un welfare molto più forte. Sta accadendo il contrario, infatti siamo ai minimi storici nell’investimento in sanità pubblica». Viene fuori quindi il tema sociale come tema dirimente, del resto i 5 Stelle hanno il loro radicamento al sud proprio in virtù di questo, il ricordo del Reddito di cittadinanza si fa sentire e non è un caso che Tridico pensi che quelle idee e rivendicazioni vadano portate in Europa. «Ho portato in giro l’idea dell’Europa sociale criticando costruttivamente l’Europa dei mercati, della finanza e della moneta». Europa sociale non vuol dire solo Reddito di cittadinanza: Tridico insiste molto su altre due proposte, la «Banca europea per lo sviluppo e la transizione», uno strumento strutturale di finanziamento della transizione ecologica e degli investimenti industriali ad alta tecnologia nelle aree meno sviluppate e poi «la tassa unica sul capitale per evitare la competizione sleale tra gli Stati».
Sulla guerra il M5S ha indicato le proprie posizioni inserendo la parola «pace» nel simbolo ma Tridico la mette così: «Se si massacrano di botte i ragazzi e gli studenti che oggi si avvicinano alla politica principalmente attraverso il tema della pace e quello dell’ambiente come possiamo chiedere poi la loro partecipazione al voto?». Tridico si è definito fin dall’inizio un candidato di sinistra, o meglio «progressista» come da formula del M5S, e oggi specifica che si tratta di una sinistra «tale per quello che fa davvero, non per quello che dice» e per quanto riguarda il proprio ruolo – potrebbe essere uno dei più votati, ha uno standing nazionale, e anche una propensione politica spiccata –, se cioè la sua sarà più una presenza parlamentare «tecnica» o «politica», dice che «la politica buona è entrambe le cose: ho avuto la fortuna di avere un ruolo tecnico e di studio all’Inps, ma sono anche stato elaboratore di politiche come il Reddito, il Decreto Dignità o l’assegno unico, le politiche sociali più importanti degli ultimi trent’anni». Sui temi della pace, dell’ambiente e del lavoro, «ma del lavoro inteso nel suo rapporto conflittuale con il capitale», quindi, una sinistra potrebbe «trovare lo spazio per le alleanze».
Ma questo è il tema che si affronterà dopo il voto, dopo le giornate dell’8 e del 9 giugno con l’occhio ai risultati e l’altro al grande assente e forse grande protagonista, di questa tornata elettorale, l’astensionismo. Che non è intervistabile ma che, con il suo evidente silenzio, pone ancora moltissime domande senza risposta. +
Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 7 giugno 2024