Quasi niente ricorderemo di questa campagna elettorale per le Regionali, affastellata di Carneade, un sudoku quanto ad alleanze, e tra le meno emozionanti della storia d’Italia. Ma i risultati del voto in Lazio e Lombardia sono destinati a segnare, bene o male, il prossimo anno e mezzo, l’intero arco politico che arriva sino alle elezioni europee del 2024. Sul tavolo del voto del 12 e 13 febbraio ci sono almeno due processi politici, se non tre. È questo il loro primo banco di prova.
«Se fosse per me, in Lombardia voterei Letizia Moratti». È Silvio Berlusconi a segnalare la trasformazione in atto. La sua frase, riportata nei giorni scorsi da “Repubblica” e subito smentita, riecheggia quella famosa che fu il preannuncio della discesa in campo del Cavaliere, nell’autunno 1993: «Se votassi a Roma, la mia preferenza andrebbe a Fini», disse al tempo in cui il segretario dell’Msi correva contro Francesco Rutelli per la guida della Capitale. Se quelle parole segnarono il primo vagito di Forza Italia (nascita ufficiale: 18 gennaio 1994), la dichiarazione sulla candidata Moratti vale nel senso opposto: rischia di segnare la fine del partito azzurro. O meglio, la sua trasformazione in qualcosa di totalmente altro, la sua reincarnazione.
All’alba della sua vita politica Berlusconi indicò quello che sarebbe diventato poi uno dei suoi principali alleati, nel perimetro di una coalizione di centrodestra che si apprestava a costruire. Al tramonto, indica la direzione verso cui trapassare: nel terzo polo di Carlo Calenda e di Matteo Renzi. Lo stesso approdo scelto in fondo da Letizia Moratti. Ma anche da due berlusconiane doc come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, ormai felicemente lontane dai lidi azzurri. Significherà davvero la fine del centrodestra così come conosciuto sin qui?
Il declino di Forza Italia (8,1 per cento a settembre 2022) è del resto inesorabile da anni, almeno dalla decadenza di Berlusconi come senatore, a fine 2013 (16,8 per cento alle europee del 2014, 14,2 alle politiche 2018). Più brusco quello che capita alla Lega di Matteo Salvini, piombata nel corso di tre anni dal 34 per cento delle Europee del 2019, l’apice di mister Papeete, all’8,7 per cento alle politiche del 25 settembre scorso.
Proprio questa è l’altro possibile esito del voto: una sparizione della Lega, e proprio in Lombardia, uno dei suoi storici fortini. Già in settembre, del resto, in quella regione il partito di Salvini aveva totalizzato il 13,9 per cento, la metà del 27,6 che aveva raggiunto Fratelli d’Italia. Ma adesso si parla di vero e proprio possibile scioglimento al sole del Carroccio. A tutto vantaggio di FdI, in termini di risultati. Paradossalmente, però, uno strapotere dei Fratelli rischierebbe di indebolire il governo guidato da Meloni: sarebbe a quel punto proprio l’esecutivo il luogo preferito per il cannoneggiamento, da parte di alleati che per non sparire dovranno lanciarsi alla riconquista del voto amico, prossimo, parentale. Proprio come ha fatto in questi anni la premier, cannibalizzando via via il voto leghista.
L’altro grande quesito cui risponderà il voto è il rapporto tra Pd e Cinque stelle. Le ultime elezioni, quelle del 25 settembre, fotografano una situazione che nei sondaggi è già superata, col Pd al 19 per cento, tre punti e mezzo sopra ai Cinque stelle (15,4 per cento). Da settimane, infatti, le rilevazioni danno un risultato inverso, con il partito guidato da Giuseppe Conte almeno due o tre punti sopra ai dem. Bisognerà vedere se il voto confermerà o meno questo risultato. Soprattutto nel Lazio, dove le due formazioni hanno governato insieme dal 2019 in avanti, ma si presentano ora incomprensibilmente divise al voto.
Ultimo risultato sensibile sarà quello del Terzo Polo. Da solo in Lombardia, ma con una candidata che viene da Forza Italia, assieme al Pd nel Lazio, ma in appoggio a un candidato (Alessio D’Amato) che è stato assessore della Sanità con Zingaretti, il partito di Calenda e Renzi è destinato, a seconda del risultato, a rafforzare i suoi giochi sulla mano destra o sulla mano sinistra del tavolo. E magari a fare un passo fuori dall’ambiguità che l’ha finora caratterizzato
Questo articolo è stato pubblicato su L’Espresso il 13 febbraio 2023