Contro l'invasione leghista dell'Emilia rossa

21 Gennaio 2020 /

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di Bruno Giorgini
Istituiremo il 26 gennaio dopo il 25 aprile come data della liberazione dai comunisti, ha detto Calderoli senatore leghista. Facendo rivoltare nella tomba i fratelli Cervi sterminati dai nazifascisti, e tutti gli altri partigiani armati e disarmati morti durante la Resistenza, molti con la stella rossa sul berretto. Quella Resistenza che ha prodotto la nostra Costituzione. Calderoli farebbe bene a non dimenticarlo. La lega nazipopulista (sincope di nazionalpopulista) anche deve fare molta attenzione a scatenare l’odio e a minacciare nelle libere orgogliose terre d’Emilia e Romagna.
Salvini batte la pianura palmo a palmo. Come un cacciatore vuole stanare e abbattere l’Emilia rossa. Anzi, come ha proclamato uno dei suoi luogotenenti: sradicare l’Emilia rossa. Questo strano animale cui concorrono la conservazione stalinista e il riformismo socialcomunista, inestricabilmente intrecciati. Animale che è sopravvissuto fino a oggi, a dispetto del crollo dell’Unione Sovietica e della caduta del muro di Berlino.
Si tratta di una battaglia per la libertà, e per la vita proclama il capo leghista.Bisogna abbattere il giogo comunista, egli fa intendere a ogni piè sospinto. Spera il Truce nelle cittadine della bassa e nei paesi dell’Appenino, così come negli abitanti del contado, quelli che si sentono trascurati (egli pensa), marginali e periferici rispetto alle dinamiche urbane e cosmopolite che animano il tessuto sociale attorno la via Emilia, nella megalopoli che da Piacenza corre fino a Rimini, coniugando i distretti metalmeccanici, delle ceramiche, della maglieria con l’industria del turismo. Epperò Piacenza e Ferrara, sono già governate da sindaci di centrodestra (a vario titolo), Parma da Pizzarotti, sindaco indipendente prima cinque stelle, oggi progressista. Un sindaco di destra governa financo Forlì, che fu terra di repubblicani mazziniani carbonari e terroristi, di camicie rosse insorgenti, la famosa trafila garibaldina, di partigiani che unici assieme alle truppe alleate, salirono fino in alta Italia a caccia di fascisti.
L’esaltazione del cambiamento, il brivido della rottura rispetto alla normalità di un buon governo cosiddetto che data dal 1945, la voglia di sperimentare qualcosa di inatteso e imprevedibile, il piacere di abbattere i “padroni del vapore” possono avere un peso nella battaglia elettorale. Molti sono stanchi del travet regionale a marca PD, quel tanto arrogante e con la puzza sotto il naso che non manca mai, uso e aduso a dire quel che va fatto e ciò che invece non si può. Ma ha da essere chiaro che una vittoria dei nazipopulisti sarebbe durissima, se non esiziale, per l’intero popolo progressista, nella sua componente riformista tanto quanto in quella diciamo “rivoluzionaria” e gauchista. Nonché libertaria.
L’elezione in E-R è sul serio la madre di tutte le battaglie. Dopo nove sconfitte consecutive del centrosinistra in vari modi apparecchiato, ma sempre perdente. La caduta di Emilia la rossa spianerebbe la strada alle destre per la conquista del governo e del potere a livello nazionale, mentre ogni artificio verbale e/o leguleio per fermarla altro non farebbe che prolungare l’agonia delle forze e dei poteri progressisti, ovunque dislocati, dai consigli di quartiere al parlamento, investendo la stessa Presidenza della Repubblica, nonché carambolando il PD a bordo campo per parecchio tempo, e tutte le forze, i gruppi, le associazioni, i sindacati, i movimenti variamente sparsi lungo la penisola fino al più periferico dei centri sociali, probabilmente fuori campo. Bastonati.
Sarebbe un tracollo simbolico e dell’immaginario, una maceria a ricadere sul tessuto sociale e sulla democrazia, sugli spazi di libertà e autonomia in primis per le classi subalterne con la loro storia di lotte e emancipazioni strappata e calpestata dagli invasori leghisti. Seppure l’Emilia “rossa” sia assai sbiadita e le sue cooperative che ressero l’urto del fascismo inventando il mutualismo, siano oggi spesso imprese capitalistiche a tutto tondo: penso all’Unipol, holding finanziaria di prima grandezza, o alla CMC, la cooperativa muratori e cementisti che nacque a Ravenna subito dopo la Liberazione per iniziativa di alcuni capomastri comunisti, oggi essendo un colosso della cementificazione a livello globale. Eppure qualcosa ancora resiste e persiste di quelle lontane origini mazziniane, garibaldine, socialiste, comuniste, e anarchiche. E quando ci fu bisogno di insorgere contro rischi reazionari e fascisti, i cittadini scesero in piazza come nel Luglio ’60, a rischio della vita che alcuni persero sparati dai tiratori scelti della polizia appostati sui tetti.
Non credo di dire un’eresia, ma io leggo il movimento delle sardine, nato a Bologna il 14 novembre 2019, quindi dilagato in ogni città, come una prosecuzione di quella tradizione. Si manifesta contro la presenza di Salvini al palasport, che contiene poco più di cinquemila persone. Dovremmo essere almeno seimila, “stretti come sardine sul crescentone”, almeno uno in più dei leghisti, ma succede in fretta che piazza Maggiore si riempia. Saremo almeno dodicimila, e si cresce di minuto in minuto. Noi abbiamo sentito in TV che bisognava esserci, abbiamo preso la macchina e eccoci qua dice una coppia di Monghidoro. Un solo striscione steso sul selciato: “Bologna non abbocca. L’Emilia Romagna non si lega”. Nessuno scandisce slogan, tutti/e si parlano fitto tra loro, una specie di dialogo a molte voci dove si parla del più e del meno. Salvini è marginale. Poco più di un pretesto per stare insieme in piazza. Si scrive la storia fa uno, e tutti giù a ridere. Da una chiacchiera all’altra, finché non si va a cena, e arriva il cambio: altre migliaia di cittadini. Se ce ne fosse bisogno, la piazza potrebbe rimanere piena fino al giorno dopo, e oltre.
Adesso è il momento per dimostrare che lo slogan “piazze piene, urne vuote” è oltreché sciagurato, anche fallace, Sono gli ultimi giorni di campagna elettorale. A ciascun appartenente al mondo progressista tocca darci dentro contro la Lega. Bisogna batterla talchésardi i nazipopulisti tornino al di là del Po’ con le pive nel sacco. E’ necessario. E’ possibile. E’ socialmente utile. E’ bello. Basta pensare un istante a Borgonzoni Presidente di Regione, e si capisce che tragedia sarebbe. Ai limiti del grottesco.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta Online il 20 gennaio 2020

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