Matera 2019: lettera aperta alla classe operaia "diffusa" e al mondo femminile lucano

7 Dicembre 2019 /

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di Michele Fumagallo
Certo, più presuntuoso di così non si può essere. Parlo di me, naturalmente. Scrivere una lettera aperta al mondo del lavoro (e non lavoro) dipendente e all’universo femminile (che, per la verità, non è proprio un blocco unico) è davvero più che presunzione, un azzardo; forse un piccolo ammasso di parole al vento.
E non solo perché posso definirmi un materano e lucano di adozione ma non di nascita né di residenza; ma perché è davvero difficile, in tempi di assenza di una politica di sinistra e di organizzazioni adeguate, parlare a donne e uomini in carne e ossa. Tuttavia bisogna provarci, fosse solo per darsi un contegno.
Naturalmente ho scelto questi due soggetti perché li ritengo, da comunista, un binomio forte del cambiamento radicale in epoca attuale. Un binomio per me indissolubile. Tanti anni fa si parlava di “classe operaia” e basta, per lo più declinata al maschile; oggi (ma da molto tempo ormai) prescindere dalle donne come soggetto forte è impossibile.
Dunque, care donne e cari lavoratori (e disoccupati) lucani, l’anno della sbornia festivaliera dedicata a Matera e alla Basilicata come capitali europee della cultura sta per terminare. Vogliamo discuterne? Vogliamo vedere ciò che c’è da salvare e ciò che c’è da buttare? Vogliamo rimettere al centro il lavoro anche in ambito culturale e spettacolare? Di più: vogliamo dire che la cultura non è uno scompartimento stagno e non può camminare al di fuori della società complessivamente intesa?
Ancora: vogliamo evitare i giochi prossimi venturi, quelli che vedranno da una parte l’ottimismo becero di chi ha organizzato la cosa e non vuole ridiscuterla neanche un po’, e dall’altra il piagnisteo insopportabile cui è ridotto il “popolo” senza politica e senza sinistra che lamenta l’anno “perduto”? A me piacerebbe molto se alcune persone organizzassero una discussione e, per la verità, penso sia anche giunta l’ora del famoso “che fare”. E del resto, se non lo facciamo noi, chi può farlo? Riprendere in mano il destino della “classe” (vecchia parola in disuso, ma quanto dirompente!) è operazione urgente se non si vuole davvero distruggere non solo il Sud, come pure sta avvenendo, ma l’intero paese.
Riprendere in mano il destino della cultura e delle sue strutture è altrettanto urgente se non si vuole perdere l’occasione europea e con essa precipitare dentro una dipendenza dal peggio che circola sul pianeta. Care amiche e amici lucani che amate l’uguaglianza e avete il desiderio di ripristinare un incontro e uno scontro civile e ad alto contenuto di cultura e pensiero, fatevi vedere, organizzatevi, organizziamoci. Non cediamo alle sirene della volgarità, dell’incultura, della delega espropriante, dei miti e riti della società liberista e analfabeta. Abbiamo la nostra Matera e nugoli di paesi molto interessanti.
Abbiamo un territorio affascinante e ricco di prospettive. Non lasciamolo in balia di una misera classe dirigente, politica e sociale, pronta a gestire il tutto senza nessuna passione, nessuna radicalità di contenuti, nessun pensiero profondo. Se non scendiamo in campo, parlando e recuperando la parte gloriosa del nostro passato, agganciando il futuro più ardito e moderno, chi lo farà per noi? Non avremmo più giustificazioni. Ma davvero si può pensare – domanda retorica rivolta anche a noi – che senza il mondo del lavoro vivo, operaio e sfruttato, si possa avere una prospettiva di futuro? E davvero si può pensare che senza la fantasia e la forza femminile si possa andare avanti?
I territori europei di base, come Matera e tanti paesi lucani, hanno subito finora le idee liberiste che li hanno costretti in una gabbia depressiva e mortificante. È giunta l’ora di svoltare, di far capire che non siamo d’accordo, che senza le donne e gli uomini del lavoro sfruttato e dell’alienazione del non lavoro, la baracca, tutta, crollerebbe. Forza!

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