Matera 2019: miei cari "compagni di banco"…

9 Novembre 2019 /

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di Michele Fumagallo
Rivolgersi in pubblico a qualcuno, magari per ringraziarlo, è un po’ un azzardo retorico di questi tempi. Tuttavia lo faccio. E proprio nella Matera dove il Sud sembra (sembra, per ora) avere un’opportunità di rilancio dentro il destino nazionale ed europeo. Dico azzardo perché la caduta verticale della sinistra, nella società innanzitutto e poi anche nelle istituzioni, è la vera crisi di questi anni ovunque nel mondo, altro che la tiritera economica con cui ci offuscano il cervello tanti pifferai. Una crisi che ci ha resi tutti, avversari liberali autentici compresi, molto più soli e in balia del vento reazionario liberista.
Cosicché i due soggetti forti del cambiamento, la “classe operaia diffusa” del lavoro (e non lavoro) dipendente e il mondo femminile, restano in preda a malattie che impediscono per ora la ripresa di un movimento autentico e la guida di un nuovo progresso. Malattie che comprendono anche una sfiducia nel “compagno di banco” che blocca la possibilità di muoversi in modo forte e radicale. Ma è proprio a questi compagni di banco, e a tutte le persone che vogliono riprendere a guardare in orizzontale la società (al diavolo il verticale, ricordate “coloro che stavano in alto contavano per noi meno della polvere”?) che voglio rivolgermi.
A partire da quegli operai della Ferrosud (carrozze per le ferrovie) che stazionano nella Piazza Vittorio Veneto di Matera. Sono lì per protestare per la possibile chiusura definitiva degli impianti che li risospinge nel mondo della disoccupazione, impedendogli definitivamente di dare quindi un contributo importante a una nuova considerazione di tutto il sistema dei trasporti, base indispensabile per l’avvio di un nuovo progresso nel nostro paese.
Certo la Ferrosud non è più quella degli anni 70 e 80 del secolo scorso (la fabbrica nacque nel 1963 e ha avuto, nei momenti più forti, fino a 800 operai oggi ridotti a una settantina) su cui ho scritto e che mi colpì per l’orgoglio dei lavoratori che mettevano in mostra le foto delle loro carrozze considerate all’avanguardia all’estero. Quel mondo è finito mano a mano che negli anni il mito delle privatizzazioni selvagge ma anche una pervicacia nell’insistere nei consumi del trasporto su gomma – nessuno in Italia vuol fare i conti con i guasti del passato – hanno ridimensionato sempre di più la fabbrica. Che però ha avuto a volte la speranza, o forse l’illusione, della ripresa dovuta a investimenti nel campo delle ferrovie.
Una grossa contraddizione che gli operai sotto il gazebo di protesta nella piazza materana, dopo aver ricordato anche il contributo dei compagni morti per l’amianto negli anni passati, raccontano così: “Questo nome non è solo un marchio industriale, è anche patrimonio di chi ci lavora e ci ha lavorato in passato. Se si pensa che nei prossimi quattro anni in Italia gli investimenti previsti nel settore ferroviario saranno di poco inferiori ai cento miliardi, la semplice idea che la Ferrosud possa chiudere è una vergogna senza attenuanti, una macchia indelebile”. Già, una macchia. Ma qualcuno vuole attrezzarsi a bloccare questa e tutte le altre macchie che ci impediscono di vivere, di organizzare la speranza di donne e uomini verso il futuro? Intanto, grazie a voi, operai che sfidate, nei giorni della crisi ben più importante che ha colpito la vicina Taranto, la “distrazione” di tanti passanti nella piazza della città dei Sassi oggi sotto le luci della ribalta, amici che infondete negli altri un po’ di fiducia nel “compagno di banco”, l’unico in grado di salvarci da un mondo reso cretino e miserabile da un’ideologia che vuole gli uomini sempre più soli e atomizzati, magari a battere le mani al demagogo di turno.

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