Matera 2019: una città con ancora troppe deficienze nel campo dell'arte

2 Novembre 2019 /

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di Michele Fumagallo
Già abbiamo scritto del cinema a Matera, una situazione in parte in movimento ma decisamente non buona per un settore che dovrebbe essere una delle due colonne portanti dello sviluppo artistico-culturale della città. Oggi affrontiamo brevemente la questione dell’arte soprattutto intesa non solo come pittura (rupestre magari) ma come scultura, l’altro settore determinante, su cui dovrebbe reggersi la Matera del futuro.
Naturalmente l’idea che bisogna camminare su queste due gambe è solo una mia opinione. Molti pensano che basta arricchire la città delle cose che mancano ma, se devo ribadire la mia, penso che sbaglino. Ogni città dovrebbe certamente avere il minimo in ogni campo (Matera è deficitaria in termini teatrali ma non lo è in quelli musicali) ma poi deve sapere quali sono i “motori” che accendono la macchina e la rendono attraente. Per me sono scultura e cinema, in grado, se rafforzata l’una e reinventato l’altro, di spingere tutta la baracca artistico-culturale.
Intanto va ribadito che, alla luce dell’anno europeo 2019, Matera, anche nei suaccennati campi, è debole perché si è data anima e corpo alle manifestazioni di “consumi fine a se stessi” invece che puntare decisamente sulle strutture.
Allo stato la città dei Sassi ha complessi pubblici e privati non certo da buttare, tra cui: il ben tenuto Palazzo Lanfranchi sede espositiva della Sovrintendenza, il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola, il Museo Laboratorio della Civiltà Contadina nel Sasso Barisano, il Musma (museo della scultura contemporanea), il centro espositivo della Cava Paradiso, la casa di Ortega, il Museo diocesano, la Grafica di Via Sette Dolori, alcune gallerie d’arte sorte negli ultimi anni (ultima è la Momart), le infinite Chiese Rupestri di cui solo una piccola parte visitabile, qualche locale adibito a spettacoli-incontri-mostre, sotterranei scoperti e riportati a nuova vita come i recentemente inaugurati “Ipogei Motta” a cura del vecchio circolo “La Scaletta”.
Insomma c’erano e ci sono tutte le condizioni per fare un salto in un nuovo sviluppo dove questo tipo di cultura diventa elemento centrale. Ma le cose non vanno per il verso giusto. Oltre alla perdita di qualche critico (Giuseppe Appella impegnato egregiamente in alcuni comuni della regione) che aveva lavorato per anni a Matera soprattutto alla costruzione del Musma, che ha scontato a causa di questo allontanamento una battuta d’arresto, si registrano rapporti sbagliati di enti pubblici verso i privati con scarso interesse di valorizzazione come capita, tra gli altri, per il Museo Laboratorio della Civiltà Contadina messo in piedi da Donato Cascione che racchiude grandi tesori in una sede intrigante fatta di tanti cunicoli e stanze comunicanti. Così come la sede prestigiosa del Ridola sconta da anni non solo la mancanza di un catalogo adeguato (è il meno) ma un rilancio con una direzione più specificamente archeologica che ne blocchi l’atmosfera di decadenza.
Bisognerebbe poi parlare del ruolo dell’università in questo campo, fondamentale per la città, anche per fermare la fuga dei giovani. E intanto va ribadito che è urgente mappare tutte le chiese rupestri, salvarle dall’incuria, restaurarle, evitare che diventino hall di alberghi (c’è anche questo), assumere personale adatto. Anzi, a pensarci bene, l’itinerario di tutte le 180 chiese rupestri del territorio della città può diventare la vera perla di Matera, forse più che un motore, una metafora della città. E’ curioso che nessuno tra i promotori di questo anno di passaggio abbia lanciato questa sfida che, per la verità, avrebbe dovuta essere già vinta da tempo.

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