di Michele Fumagallo
Matera e pasta erano un tempo quasi indissolubilmente legati. Non si poteva parlare di Matera in anni lontani senza pensare ai Sassi e alla pasta. È stata una tradizione che è andata avanti per anni poi abbattuta da crisi verticali dei vecchi mulini e pastifici dovuta al mutamento dei costumi e alla concorrenza della grande industria. Oggi, come capita per tante tradizioni, c’è un tentativo di riprendere questa produzione che inevitabilmente è costretta a scontare un rilancio di nicchia che si rivolge in parte a un settore medio-alto della società.
Non così per il pane che conserva ancora una sua fama meritata e naturalmente un consumo di massa. Ricordo ancora, quando mi capitava in anni lontani di citare il pane di Altamura (città pugliese confinante) che aveva conquistato un’altra meritata fama, il disappunto dei materani che storcevano il naso per quello che ritenevano un vero e proprio furto di “primogenitura”.
Dunque nulla come il pane si presta a una riflessione popolare che investe passato e futuro e che può essere il punto di confluenza di vari strati della società. Un punto che rimanda a tantissime cose: dalla nuova agricoltura di qualità ai consumi consapevoli. Oltre naturalmente a tutta la cultura immaginifica legata a questo prodotto.
Preceduta dalla manifestazione degli inizi di giugno “Le vie del pane”, si è tenuto a Matera, dal 11 al 20 ottobre, il primo festival “La terra del pane” che ha cercato di abbracciare in tantissimi appuntamenti l’universo racchiuso in quello che è ancora considerato da buona parte della popolazione il prodotto di accompagnamento di qualsiasi pranzo.
Organizzato dalla Fondazione Sassi, il festival ha anche presentato la nuova rivista “Pantagruel” (edita dalla milanese “La Nave di Teseo”) che ha dedicato il suo numero zero proprio all’avvenimento materano e che contiene scritti di molti autori tra cui uno, esilarante, di Antonio Rezza. Può diventare un appuntamento interessante se continuerà nelle prossime edizioni, ciò che non è scontato a sentire il comunicato conclusivo della Fondazione Sassi: “Occorre un chiaro e lungimirante impegno delle istituzioni. Purtroppo, spiace constatare che ad oggi, a pochi mesi dalla fine del 2019, mancano linee guida, indicazioni e programmazione per gli anni futuri, a cominciare dal 2020”.
“Le fondazioni, associazioni e imprese culturali – prosegue il comunicato – devono poter contare su strategie pubbliche di lungo termine, avere certezze su risorse disponibili, o obiettivi definiti, dimensioni e caratteristiche delle iniziative. In assenza di un quadro di questo genere diventa arduo, se non impossibile, conservare la centralità della cultura nel futuro e consolidare e sviluppare il ruolo che Matera e la Basilicata hanno conquistato nel 2019”. Una critica che, in altro modo e abbracciando il problema fondamentale e trascurato delle strutture, abbiamo già fatto più volte in questa rubrica e che comincia ad essere la preoccupazione di tante associazioni per il futuro prossimo.
E come mancano gli uomini e gli intellettuali del passato in questa ricorrenza di Matera 2019! A partire da quel Carlo Levi che, tanto per stare al tema, scriveva un puntuale articolo nel 1959 intitolato “Non toglieteci il pane” che avrebbe poi anticipato la sua battaglia, vincente, contro una legge del 1965 che prevedeva la chiusura dei forni a legna per sostituirli con quelli elettrici.
Per tornare alla “terra del pane” il problema è forse tutto in questo binomio. Il pane non viene dal nulla ma dalla terra. Sembra banale dirlo e invece è un problema gigantesco che investe il cambiamento delle culture, a partire da quella giovanile, in una nuova agricoltura che, se ha già mosso da tempo i suoi primi passi, è ancora lontana da quella vera e propria rivoluzione che ci vorrebbe.