di Michele Fumagallo
Non sappiamo ancora come andrà a finire tutta questa storia di “Matera capitale della cultura 2019”, in fondo una festa che, come tutte le cose, può essere giudicata a pieno soltanto dopo. Sappiamo questo però: Matera non sarà più quella del passato recente, anzi dovrà fare i conti con le incongruenze (turistiche e non) che vivono molte città italiane. Dovrà anche affrontare le domande inevase che si sono sviluppate già prima ma anche durante quest’anno, oltre a fronteggiare il normale abbassamento di attenzioni dopo la sbornia odierna. Dovrà insomma vedersela con molti problemi. Qualunque sia l’opinione su Matera 2019 (la nostra è critica e lo vedremo) è sicuro che quest’anno è stato sfruttato. Magari non al meglio, ma è stato sfruttato.
È vero che le contraddizioni sono enormi e i nodi verranno al pettine molto presto ma ci sono oggi nella realtà materana molti soggetti che si pongono il problema del che fare, dell’alzarsi in piedi, della vita che non c’è senza protagonismo attivo. Può dirsi così anche altrove al Sud? In quel Sud che ha guardato a Matera con invidia e desiderio di emulazione? In qualche posto del mezzogiorno sì, e ben prima dello stimolo materano, ma in molti luoghi che hanno guardato a Matera come un esempio no.
È vero che la città dei Sassi è stata baciata dalla fortuna (in fondo si tratta sempre di una pioggia di milioni di euro caduti sulla testa) ma chi vuole imparare da Matera non deve sognare la stessa vincita al lotto ma rimboccarsi le maniche e drizzarsi in piedi. Naturalmente senza nascondere la polvere sotto il tappeto, cioè facendo i conti col passato generale della nazione in cui viviamo e col passato di ogni territorio; ciò che non fa nessuno, neanche Matera.
Ed è un grave errore che, se continua, si pagherà salato. Dipendesse da me, sul piano nazionale e in ogni ambito locale si svilupperebbe un grande discorso soprattutto sulla Prima Repubblica e i suoi lasciti. Dico soprattutto sulla Prima Repubblica perché è stato il periodo in cui si è decisa la linea generale del progresso italiano nel bene e nel male. Metterei a dura analisi quel modello di sviluppo salvaguardando tutto il buono prodotto e scartando le degenerazioni. Solo così si potrà essere vaccinati dalla ripetizione degli stessi errori. In aggiunta, e sempre per stare al nostro Sud, metterei a dura critica questi ultimi anni di rigurgito sudista e spesso “neoborbonico”: scopriremmo magari che sono il lascito avvelenato di una risposta sottoculturale alle degenerazioni sviluppiste del Nord del paese. Scopriremmo che i danni fatti al Sud da un sudismo reazionario, e drammaticamente analfabeta sul piano storico, sono enormi.
“Fare come a Matera” quindi è stato un po’ il desiderio di tanti al Sud ma si è risolto in poco più che uno slogan, e non poteva essere che così. La strada dell’autonomia e dell’alzarsi in piedi è “personale”, non può essere regalata da nessuno. Si può imparare da altri, in questo caso da Matera, ma ognuno deve produrre da sé autonomia e nuovo sviluppo. Ecco, un primo insegnamento che viene dalla “fortunata” Matera è questo: darsi da fare, credere nel proprio territorio e avere fiducia nelle persone che lo abitano e in quelli che vi giungono. La lezione di Matera, con tutte le incongruenze e i problemi enormi che si porta con sé, è questa. Tutto il resto è fuga dalla realtà e dalle proprie responsabilità.