di Piero Cavalcoli
In una settimana ho perduto tutti e due i miei maestri. Non c’è cosa che abbia compiuto o pensato, negli anni del mio lavoro, che non abbia fatto riferimento a loro. Solo ora la commozione lascia spazio a qualche pensiero.
Credo di non aver mai conosciuto persone così diverse: Eddy (Edoardo Salzano) con lo sguardo sempre all’orizzonte, alla ricerca di qualche segnale di cambiamento, Bubi (Giuseppe Campos Venuti) con lo sguardo concreto a terra, proteso a cambiare la realtà, passo dopo passo, con ferrea determinazione. Uno a guardare lontano, forse troppo lontano, l’altro a guardare vicino, forse troppo vicino. Questa diversità ha lasciato il segno su ogni loro impresa: l’impegno politico ed istituzionale, l’attività professionale, l’invenzione tecnica, l’insegnamento e la diffusione della disciplina.
Bubi ed Eddy sono stati a lungo Assessori all’Urbanistica: il primo a Bologna e il secondo a Venezia. Bologna è in larga misura ancora oggi come Bubi l’ha voluta e disegnata, mentre Venezia si è allontanata progressivamente da come Eddy la voleva ed aveva prescritto nel suo Piano del centro storico.
Entrambi hanno insegnato: Eddy a Venezia e Bubi a Milano. Ma mentre lo IUAV e Ca’ Tron, l’Università veneziana tutta, hanno pianto Eddy per un’intera commovente giornata, il Poli milanese non ha mandato neanche un suo insegnante a salutare Bubi. D’altronde ricordo che la mia chiamata per la costruzione, qui a Bologna, di una nuova leva di giovani urbanisti da dedicare alla pubblica amministrazione ricevette una grande risposta da Venezia mentre Milano neppure mi rispose. Forza dell’utopia.
Ma l’utopia coltivata da Eddy contribuì a portare l’INU, sul finire degli anni Ottanta, a drammatiche difficoltà finanziarie, risolte brillantemente proprio da Bubi, mentre il Paese affondava nel nascente berlusconismo e nei suoi micidiali condoni edilizi. E Campos, che riuscì a risollevarne la finanza, non riuscì fermarne la progressiva decadenza e perdita dell’anima: l’INU ha visto progressivamente prevalere l’interesse professionale e mortificare la presenza della pubblica amministrazione. Oggi è il fantasma di quello che è stato.
E poi la forza dei loro libri: “Amministrare l’urbanistica” è stato a lungo sul comodino di una generazione di Sindaci, mentre non c’è stato studente che non si sia appassionato, e non solo perché era materia d’esame, ai fantastici “Fondamenti di Urbanistica”. Ma il testo di Bubi è stato col tempo dimenticato, mentre quello di Eddy tiene ancora scuola tra i numerosi frequentatori di Eddyburg.
Chi per mestiere ha dovuto sostenere la responsabilità di giudicare e portare all’approvazione i piani dei Comuni, comprendere le ragioni delle loro previsioni e delle loro speranze, tentare di suggerire visioni più lungimiranti ed integrate di quelle proposte nei loro PRG, ha tratto da queste diversità di genio e di inclinazione l’alimento principale per definire la strada e mantenere l’equilibrio di giudizio. Consigliati ora da Scilla ed ora da Cariddi, si è cercato di dire ciò che era giusto e dimostrabile, nell’attenzione di non pregiudicare né il rispetto di quei “Fondamenti” né la tenuta di quell'”Amministrare”.
Oggi non è più così, e forse è l’ora di riconoscere che, morti i maestri, approvata una legge regionale che ne dimentica i principali insegnamenti, scardinati gli stessi strumenti di controllo e di guida della pianificazione comunale, è necessario rivolgere lo sguardo altrove e cercare nuove direttrici di impegno sulla strada tracciata dai maestri, in memoria dell’urbanistica.
È morta dunque l’urbanistica, insieme ai suoi maestri? Mi ha sempre sorpreso, negli ultimi anni di attività professionale e di insegnamento, il rimprovero proveniente dalle nuove generazioni, riferito all’urbanistica, considerata nemica dell’ambiente. Come se le due discipline, l’urbanistica e la tutela del territorio, fossero per natura contraddittorie e apertamente conflittuali. Chi ha a lungo operato in materia di pianificazione territoriale ha sempre respinto questa tesi, cercando una sintesi, un’armonia tra funzioni territoriali ed ambiente.
Ma lo spegnersi dell’urbanistica segna anche il definitivo declino della pianificazione territoriale, o meglio il disvelamento del suo definitivo mancato decollo: si afferma la tesi che non servono più i Piani, tanto meno quelli territoriali, e valgono solo gli accordi tra amministrazioni, proprietari e costruttori. Si afferma il sovranismo comunale, il rifiuto della dimensione reale dei fenomeni territoriali, la miope difesa dei propri piccoli contesti e degli effimeri vantaggi economici da spartire tra rendita immobiliare e spesa corrente per gli apparati ed i servizi.
Parallelamente (conseguentemente?) cresce il degrado ambientale e la richiesta dei giovani di una reale difesa dell’ambiente e del loro futuro. A più riprese ho pensato possibile e proposto, di fronte al ripiegare della disciplina, l’iniziativa di riprendere la scuola, di diffondere gli insegnamenti dei maestri, magari nell’ambito di una invocata rinascita di un luogo politico di sinistra. Ma è sufficiente l’insegnamento dei maestri a fronte del generale arretramento della cultura e della fedeltà agli obblighi delle istituzioni? E soprattutto, quale luogo?
Forse, più che insegnare è necessario riprendere a studiare. E rafforzare l’opera di documentazione e divulgazione. E magari attorno a quest’opera ricostituire il luogo. Luogo di dialogo, però. Ed è difficile considerare luoghi di dialogo i nostri blog, le nostre pagine facebook: “ognuno col suo viaggio (dice il poeta)/ognuno diverso/e ognuno in fondo perso/dentro i fatti suoi”. E ognuno a contare i like, visto che non c’è più nemmeno il Roxi bar.
Allora un Osservatorio, magari utile durante e dopo il tremendo periodo elettorale che ci aspetta, un Osservatorio Regionale di Sostenibilità Ambientale (ORSA), strumento di documentazione, dibattito, approfondimento (in qualche modo connesso ad Eddyburg?). E almeno due temi fondamentali, sui quali si potrebbero già pubblicare corposi Quaderni: il consumo di suolo (Crif, Bion-on, Prati di Caprara, il teatro a Faenza, i microdisastri nel centro storico di Bologna…) e la mobilità sostenibile (le preoccupazioni sul PUMS e sull’SFM, i ragionamenti sul tram, le aspettative sulla rete ciclabile…).
Si tratta soltanto di volerlo fare e di mettere insieme le energie necessarie, oggi disperse e, mi si perdoni, prevalentemente autoreferenziali.
Piero Cavalcoli si è laureato al Politecnico di Milano e ha lavorato per la Regione Emilia-Romagna, prima ai Piani regolatori comunali, poi al Piano paesistico regionale. È stato direttore della pianificazione della provincia di Bologna, poi consulente dei Piani di coordinamento provinciali ad Ascoli Piceno, Lecce, Cagliari, Trento, Foggia e Potenza. Ha insegnato discipline territoriali nelle facoltà di Architettura di Ferrara e di Venezia e membro del Consiglio direttivo nazionale dell’Istituto nazionale di urbanistica (Inu).