Matera 2019: un Cristo nero nella città dei sassi

12 Ottobre 2019 /

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di Michele Fumagallo
Chi può essere oggi l’erede più degno di Cristo? È un interrogativo interessante e può aprire discussioni e polemiche quanto mai utili soprattutto in una nazione cattolica che non vuol saperne di questo tipo di dibattiti e più in generale di approfondimenti sulla cultura biblica. Se si aggiunge poi che il nostro tempo ha raggiunto una vetta considerevole nell’idolatria del Denaro (è l’altro nome dato al Demonio nei Vangeli), dell’atomizzazione sociale e di un conseguente inasprimento della violenza e dell’egoismo, faremmo tutti bene a contrastare al più presto questa situazione, pena la decadenza più pericolosa dell’intera società. Per Milo Rau, regista teatrale e cinematografico svizzero, non c’è alcun dubbio: l’incarnazione odierna del Cristo è soprattutto nel mondo offeso e sfruttato degli immigrati di colore.
Uno dei progetti di Matera capitale europea della cultura è quello della “riproposizione” del “Vangelo” con un occhio di riguardo soprattutto al film di Pasolini. Il regista invitato a gestire questa operazione è Milo Rau che ha fatto del “realismo” e dell’impegno una sua cifra stilistica ormai riconosciuta ma anche sottoposta a critiche radicali. Il film e l’opera teatrale (Rau “mischia” e agisce sovente tra i due generi) sono in dirittura d’arrivo per l’anno nuovo, dopo aver terminato le riprese cinematografiche a Matera il 6 ottobre e aver presentato l’operazione a Roma che preannuncia una “coda” a Palermo per il prossimo 10 novembre.
Questo progetto è stato messo in cantiere coinvolgendo alcuni lavoratori neri immigrati in Italia e sfruttati nei campi di lavoro al Sud. Alcuni di loro interpretano gli apostoli mentre il Nazareno ha il volto di Yvan Sagnet, ingegnere, sbarcato in Italia dal Camerun anni fa e protagonista attivo per i diritti degli immigrati in una battaglia che gli ha valso anche la medaglia al merito del presidente Mattarella.
Racconta Rau: “Ogni interpretazione del Vangelo dà luogo a un nuovo pensiero. Noi affrontiamo questa esperienza dal punto di vista marxista. Torniamo alla radice di quello che era il messaggio sociale rivoluzionario del Vangelo dove c’era questa lotta per gli ultimi. Davvero penso che questa possa essere la nuova interpretazione del Vangelo per il XXI secolo”.
E Sagnet rimarca: “Mi sono sentito ultimo e mi sento ultimo. È da anni che cerco di dare il mio contributo in tal senso. Spero di fare qualcosa contro le sofferenze e le disumanità che incombono nella nostra società. Cristo era senza nazionalità e senza colore della pelle. Era il Nazareno e basta. Non ci si può arrendere su questo, non si può lasciare l’interpretazione del sacro e dei Vangeli a Salvini o ad altri”.
Per un’operazione di questo tipo sono stati mobilitati i lavoratori dei ghetti neri del Sud assieme a parte della popolazione che ha voluto sentirsi protagonista della storia. È stato prodotto un “Manifesto della dignità” (una petizione che si può anche firmare) che rimarca i principi del rispetto e dell’umanità per ogni essere umano. E, va aggiunto, che sentire sopra la murgia materana di fronte ai Sassi l’imprecazione dolente dalla voce dolce di Yvan (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) è stata una emozione che non si dimentica.
Ora che dire di un’operazione simile?
La prima cosa è che rappresenta una piccola vittoria per la Fondazione Matera 2019, per la troupe e soprattutto per i lavoratori e gli immigrati coinvolti nel progetto e nell’opera. Se si discuterà a breve di questa nuova interpretazione del Vangelo lo si dovrà a loro.
La seconda è che non bisogna nascondersi i problemi e anche i pericoli di un impegno artistico che dà l’idea che arte e vita possono essere la stessa cosa, presentandoli quindi come indissolubilmente legati quando invece l’arte è per definizione un artificio e un gioco della fantasia, staccata quindi dalla vita reale. Ed è lì la sua bellezza e il suo fascino. L’impegno nell’arte è soltanto un genere che magari può piacere più di altri generi artistici (a me capita in parte questo). Poi certo sono benvenute tutte le sperimentazioni – Rau ne possiede una lunga gamma -, sale di qualsiasi rinnovamento dell’arte stessa.
La terza è che quindi non vediamo l’ora di vedere il film nelle sale, per discuterne in termini critici, ma anche per vedere l’effetto che fa soprattutto in quel mondo dei nostri avversari che hanno e continuano a speculare all’infinito sulla pelle degli immigrati e delle persone più deboli.

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