Tagliare i parlamentari è un errore, occorre almeno una legge elettorale proporzionale

1 Ottobre 2019 /

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di Alfiero Grandi
Resta il sospiro di sollievo perché è stato respinto l’assalto di Salvini che puntava ad arrivare a elezioni anticipate per ottenere pieni poteri. Tuttavia resta anche la sofferenza per una riduzione dei parlamentari fatta in modo demagogico e sbagliato, senza la sicurezza di avere il contrappeso di una legge elettorale proporzionale, senza sbarramento. La riduzione dei parlamentari voluta dal M5Stelle, e in particolare da Di Maio per giustificare l’accordo per costituire il secondo governo Conte, resta inaccettabile anche nel nuovo quadro politico.
Il parlamento è centrale nel nostro ordinamento costituzionale, come dimostrano gli argomenti portati da M5Stelle e Lega per giustificare la formazione del 1° governo Conte e da M5Stelle, Pd, Leu per giustificare la formazione del 2°. Da tutti i protagonisti, in entrambe le occasioni, è stato ricordato che la nostra è una repubblica parlamentare ed è in parlamento che si formano le maggioranze. Tagliare il numero dei parlamentari è già un intervento discutibile, non motivato da significativi scostamenti dal rapporto elettori/eletti in Europa (leggere lo studio parlamentare sull’argomento) ma è ancora più inaccettabile se avviene sull’onda di un tentativo di presentare la diminuzione del numero dei parlamentari essenzialmente come risparmio di quattrini. Chiudere il parlamento farebbe risparmiare ancora di più, con buona pace per la democrazia. Di Maio su questo ha fatto affermazioni deliranti. Si poteva discutere con serietà di riduzione del numero dei parlamentari a condizione di partire dal ruolo che il parlamento dovrebbe avere e che negli ultimi lustri è stato via via compresso e reso sempre più subalterno per fare posto all’Ego individuale e collettivo di chi ha governato e governa.
Sul parlamento si sono scaricati una marea di decreti legge del governo senza reali ragioni di urgenza, con il vero obiettivo di imporne l’approvazione senza modifiche, i voti di fiducia a raffica hanno fatto il resto e le sanzioni disciplinari contro i riottosi alla disciplina imposta dall’alto hanno riportato indietro di decenni l’autonomia di giudizio dei parlamentari. Non a caso ritorna la proposta di seppellire l’assenza di mandato per i parlamentari. Eppure sono diverse legislature che i parlamentari vengono eletti in vigenza di leggi elettorali che non consentono agli elettori di scegliere i loro rappresentanti ma solo di votare la lista che è stata preconfezionata con i fedelissimi dei capi. Il maggioritario poi è la ciliegina che sta sulla torta di un parlamento deciso tutto dai capi.
Salvini vuole la soppressione dei senatori a vita, in realtà è la nomina più trasparente o perché sono ex presidenti della Repubblica o perché vengono nominati dal capo dello stato nel numero massimo di 5. Almeno è tutto trasparente. Salvini ha deciso di usare le regioni per tentare di arrivare al referendum per abolire il proporzionale nella legge elettorale, le componenti non di destra del parlamento dovrebbero fare del proporzionale la loro bandiera, con o senza referendum. Zingaretti sta facendo i conti con l’assenza di trasparenza nella presentazione delle candidature nel 2018, che infatti nel Pd dell’epoca – grazie al rosatellum – furono compilate da Renzi in modo scientifico, fregandosene degli organi dirigenti, così da assicurarsi con qualunque esito elettorale la maggioranza di fedelissimi eletti al Senato e alla Camera. Tanto la presentazione delle liste era sua prerogativa. Si dice che al Senato i zingarettiani siano 12 o 13, tutto compreso.
Le traversie del parlamento, i colpi portati al suo ruolo, capovolgendo il rapporto con il governo che dovrebbe essere un esecutivo, cioè attuare la volontà del parlamento, oggi diventano l’occasione per fare pagare proprio al parlamento il prezzo delle difficoltà politiche, senza riguardo allo strappo della Costituzione che questo comporta. Con altre motivazioni, con argomentazioni più serie si poteva discutere di altre scelte ma ormai sembra che le modifiche volute dal M5Stelle ad ogni costo sulla base di una demagogia anticasta – comprensibile forse alle origini del M5Stelle ma non ora – probabilmente andranno in porto, per la stanca e svogliata resistenza del Pd e per la scarsa rilevanza di Leu.
Ci sono legittime posizioni contrarie alla riduzione dei parlamentari e ci sono posizioni più disponibili a discutere sulla base di un progetto serio, come fu quello di Ferrara e Rodotà qualche decennio fa che prevedeva solo la Camera dei deputati ma con piena capacità di rappresentanza grazie ad una legge elettorale proporzionale. Nel tempo si è posto il problema di come meglio incardinare il rapporto tra stato e regioni, ad esempio superando il Senato attuale e prevedendo una sorta di Bundesrat alla tedesca. Il taglio dei parlamentari sarebbe paragonabile. Ora siamo alla vigilia di una decisione parlamentare e quindi viene da chiedersi quale sia la posizione del Pd che ha seguito Renzi nella follia della sua deformazione bocciata il 4 dicembre 2016 ma ora sembra incapace di trovare un orizzonte diverso. Tanto più che ormai Renzi se n’è andato. Si è parlato di un riequilibrio rispetto all’accettazione del taglio voluto dai 5 Stelle modificando altre parti della Costituzione. Chi le ha lette sa che non tutte sono utili e altre come la parificazione costituzionale dei criteri per i votanti e per gli eletti sono, come si dice, peggio del buco che vorrebbero nascondere. Per la semplice ragione che se le 2 camere sono uguali in tutto è più difficile capire come si motiva la loro compresenza.
Resta la legge elettorale, vero discrimine in questa situazione.
Una nuova legge elettorale è indispensabile ma le notizie dicono che parte della maggioranza sta pensando ad un nuovo maggioritario anziché ad una legge elettorale proporzionale, come sembrava fino a qualche giorno fa, sia pure con uno sbarramento troppo alto, che paragonato alla situazione attuale vorrebbe dire superare una soglia minima di accesso alla Camera del 6%. Per capire meglio: Forza Italia con i sondaggi di oggi potrebbe non entrare, la Lega di qualche anno fa neppure, la sinistra e più Europa nemmeno. In pratica le formazioni minori sarebbero obbligate ad entrare in altri partiti o a restare fuori dal parlamento. La rappresentanza diminuirebbe e l’accentramento aumenterebbe. Oltre la soglia di accesso c’è poi il grande problema di chi decide sull’elezione dei parlamentari. Le liste vengono presentate dai partiti ma la scelta del candidato da eleggere dovrebbe essere fatta dagli elettori, oggi non è così e la discussione continua a sottovalutare questo problema.
Inoltre sul Pd vengono esercitate pressioni per il maggioritario e per riprendere la vocazione maggioritaria, che è il contrario delle aperture annunciate da Zingaretti che ha parlato di ricostruire un centrosinistra e sembra difficile che si riferisse a Renzi che era ancora nel Pd. Allo stato è sicura la data di votazione (8 ottobre) della modifica della Costituzione per tagliare i parlamentari, nella nebbia la legge elettorale, mentre è in campo l’iniziativa della Lega che approfittando di essere in maggioranza in 6 regioni vuole presentare una proposta di referendum popolare per togliere il proporzionale dalla legge elettorale, quindi spingendo verso il maggioritario. Una sfida forte che, se riuscirà a superare il vaglio della Corte, potrebbe essere utile per chiarire la differenza tra la destra e gli altri, ma è chiaro che se il Pd sarà impantanato in una suggestione maggioritaria si rischia seriamente di aiutare la destra e in particolare la Lega. La maggioranza avrebbe bisogno di una linea di netta distinzione dalla destra, ma per ora non si intravvede e sarebbe curioso che il proporzionale finisse con l’essere difeso dal M5Stelle.
Costituzione e parlamento sotto tiro, legge elettorale proporzionale necessaria ma più lontana. La maggioranza dovrebbe contrastare la destra, ma se invece si divide, per di più tra chi sostiene la posizione peggiore si potrebbero aprire problemi molto seri. Occorre riprendere la migliore tradizione della sfida referendaria che ha portato a vincere il No il 4 dicembre 2016 e mettere in campo una critica forte e attiva, per evitare scivoloni preoccupanti. La Lega di Salvini è il coagulo della peggiore destra e a tutti preme non regalarle argomenti, ma anche chi vuole costruire un’alternativa deve evidenziare con nettezza la sua alternatività.
Questo articolo è stato pubblicato da Jobnews.it il 28 settembre 2019

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