di Michele Fumagallo
Il treno (metaforico, quello reale è ancora in alto mare) di “Matera 2019” prosegue il suo itinerario. L’unica cosa certa che sappiamo è che terminerà la sua corsa fra pochi mesi. La cosa incerta invece è che il viaggio non ha nessuna meta precisa. Allo stato attuale non si capisce quali sono i punti forti strutturali su cui la città vuol costruire il suo futuro. Né in termini locali né nel gioco più complessivo del continente europeo, punto di riferimento imprescindibile.
Non si capisce come, ad esempio, la città vuole usare la carta della cultura per bloccare l’emigrazione giovanile, grande piaga del Sud di questi ultimi anni che sta deprimendo il territorio, soprattutto quello appenninico, dove appunto si trova Matera e la Basilicata. Sul terreno più vasto non si capisce il senso della parola Europa se non si specificano nuovi contenuti e nuove istituzioni. Per essere più precisi, e polemici, sempre se la parola Europa ha un senso a Matera, non si capisce perché non c’è il minimo accenno a una lotta contro il dannosissimo governo nazionale dove detta legge il sovranista antieuropeo Salvini.
Insomma davvero non abbiamo capito che significa Europa a Matera e in Basilicata. A parte i turisti europei (si dice così, non “turisti stranieri”, essendo gli europei fratelli o perlomeno cugini di un’impresa comune) che gironzolano per le strade e magari lavorano a qualche progetto, dell’Europa concreta e di come costruirla non si parla.
È vero, nessuno deve pretendere dalla povera Matera che prenda sulle sue gracili spalle il destino del vecchio continente se nessuna tra le nazioni europee, tra le grandi città europee e tra i territori europei fa altrettanto. Ma c’è da dire che non sta scritto in nessuna parte che l’avanguardia di un movimento debba nascere per forza a Berlino o a Parigi. Perché non a Matera? Perché non in territori “periferici”? È accaduto tante volte nella storia che, ricordiamolo, cammina sulle gambe degli uomini genericamente (e misteriosamente) intesi, non sulle gambe degli uomini delle grandi metropoli.
E anzi, si potrebbe dire che, in un periodo di crisi verticale dei grandi centri di potere, è proprio dalle “periferie” che può venire un cenno di novità e persino di avanguardia. Per quanto riguarda poi la sinistra (moderata e radicale) è sconfortante, non solo per me militante comunista ma penso anche per tanti altri democratici, la sfiducia che c’è nei poveri (quindi anche nelle “periferie”), quasi che non possano essere loro e solo loro a trarci dagli impacci in cui ci ha cacciato il predominio capitalista e liberista ma anche la valanga dei nostri errori.
Post Scriptum: mentre scrivo in una caldissima sera d’estate, a Matera e nel territorio ci sono ben 15 mostre da vedere oltre agli annunci per le prossime iniziative. Tutti incontri culturali che non ha potuto frequentare la ventottenne nigeriana Eris Petty Stone, morta bruciata in un incendio scoppiato a Metaponto nei capannoni di fabbriche mai partite dove adesso risiedono in condizioni disumane più di 500 immigrati dediti al lavoro sfruttato nell’agricoltura della zona. Non ha potuto neanche quindi dire la sua sulla distanza irresponsabile che c’è tra la cultura e il mondo degli sfruttati. Lei che è venuta in Italia 4 anni fa in cerca di un futuro migliore per sé e soprattutto per i figli rimasti in Africa. Che adesso le hanno scritto sul web una toccante lettera di addio.