Matera 2019: la rassegna "Capitali per un giorno" non valorizza abbastanza i paesi lucani

18 Maggio 2019 /

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di Michele Fumagallo
È iniziata da un po’ la lunga maratona delle “Capitali per un giorno” con cui la “Fondazione Matera 2019” intende far partecipare all’evento annuale della città dei Sassi l’intera regione Basilicata. Adesso lasciamo stare il nome della manifestazione che fa un po’ ridere e sa molto di “concessione” della città alla miriade di paesi che fanno parte del territorio lucano. Lasciamo anche stare che la manifestazione europea si intitola “Matera… Basilicata 2019” dove certo è evidente che la città dei Sassi ha un ruolo centrale ma è altresì chiaro che il territorio lucano non è un semplice “contorno” ma un piatto importante.
Lasciamo stare, prendiamone atto e però discutiamone. Dunque Chiaromonte, Rionero in Vulture, Rapone, Guardia Perticara, Nova Siri, Paterno, Brindisi di Montagna, Castelmezzano, Brienza, Tito, Fardella, Montescaglioso, Ferrandina, e tanti altri hanno già passato o stanno per passare la loro “giornata di gloria”. Tutto bene, quindi? No, non tutto va bene. Un giudizio più approfondito potremo darlo solo alla fine ma intanto possiamo azzardare un commento sia sul già fatto che sul programma generale di questo tour nei paesi lucani.
Nonostante alcune cose interessanti, la rassegna ha lo stigma del gioco piccolo attorno a un gioco più grande, cioè la visione classica del “centro” e delle “periferie”. Questo è stato, ad esempio, il convegno di Chiaromonte su Edward Banfield e il suo famoso studio del 1958 “Le basi morali di una società arretrata” sul familismo amorale del paese. C’è stato un incontro dove ha parlato lo studioso, la figlia dell’autore del libro e altri. Tutto con una certa qualità ma senza grandezza e senza respiro non solo europeo ma neanche nazionale.
In tutti gli altri posti il lavoro è simile, virgola più virgola meno. Sì, certo, c’è un po’ di vetrina per tutti; c’è un ripasso su alcune peculiarità in ogni paese. Cose anche utili, ripeto, ma insufficienti. E poi va aggiunto che tutto resta nel tragitto della “festa” che passa e non lascia segni. E come potrebbe, del resto? Non li può più lasciare perché siamo in un altro periodo storico, in tutta Italia abbiamo già “festeggiato” oltremisura, oggi è il tempo delle “fabbriche” della cultura non dei “consumi fine a se stessi”. E’ ciò che si accorgerà Matera (si spera) dopo la sbornia di quest’anno.
Ma quale sarebbe stata una possibile alternativa? Per esempio dividere il territorio lucano in aree, “europee” naturalmente, non i tentativi di mini contesti che hanno fatto da anni il loro tempo.
Quindi 5 o 6, al massimo 7 aree nella Regione e concentrarsi per preparare in ogni zona una ventina di giorni (non una “toccata e fuga” quindi) di manifestazioni di alto profilo. Dove per alto profilo non solo si pensa al valore culturale delle cose ma soprattutto al principio guida che fa da motore per un possibile futuro di sviluppo culturale (e politico) di quel territorio.
Due esempi su Comuni dove le manifestazioni devono ancora svolgersi: in Val d’Agri e dintorni non è il caso di affrontare a Viggiano la dirompente questione del petrolio con un grande raduno di studiosi (di tutte le tendenze, d’accordo) su “cultura, società e petrolio”? Non è il caso di organizzare ad Aliano un grande convegno internazionale che faccia il punto sul lascito di Carlo Levi e corregga la linea finora scelta sull’autore torinese?
E così via. Incontri di alto profilo, non gli “assaggi” che denotano solo l’incapacità di superare il complesso di inferiorità verso altre aree italiane ed europee.
Naturalmente quando si organizza la manifestazione in un territorio, a Matera non si fanno anteprime e anzi si partecipa in città in modo attivo alla riuscita del discorso con mostre e informazioni su quella zona e con dirette video a distanza.
In questo modo non solo si sarebbe rispettata davvero la manifestazione che riguarda tutta la regione e non solo Matera ma si sarebbe messa in piedi una visione egualitaria di rapporti “tra città” che supera la vecchia impostazione di centro e periferie.
E, inoltre, un impianto del genere avrebbe messo a segno almeno due cose: 1) un embrione di nuova identità territoriale ai borghi dell’area essendo quella vecchia del paese singolo già morta da lungo tempo; 2) la futura società europea che uno vuole costruire nei territori di base dell’Unione.

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