Matera 2019: "bellezza" è la parola più conformista di oggi e fa male alla città dei sassi

20 Aprile 2019 /

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di Michele Fumagallo
Non c’è alcun dubbio: la parola “bellezza” batte oggi il primato del conformismo. Volete chiudere, nel nostro tempo, la mente e ogni spirito critico democratico? Condite il vostro discorso con la parola “bellezza” e tutto, o quasi, è fatto. La demagogia è assicurata. E’ quindi oggi, a differenza di ieri, una parola da guardare (da ascoltare) con sospetto.
Siamo vissuti in anni decisivi della nostra Italia, la cosiddetta “Prima Repubblica”, in cui la bellezza era espressione di pochi, ed era disprezzata nei fatti (certo, non nelle parole) dalle classi dirigenti. I democristiani la lasciavano volentieri ai “sogni” della sinistra pensando a cose molto più “concrete”; la sinistra ufficiale la lasciava spesso ai “sogni” di qualche minoranza e qualche intellettuale di area. Il progresso malato di quegli anni (ma si badi: l’unico progresso che abbiamo avuto, da tantissimi anni annaspiamo dentro le sabbie mobili) ha portato a una distruzione notevole del paesaggio italiano.
Da molti anni, vuoi per lo “scavo” fatto dalle minoranze di allora, vuoi per una cultura ambientalista cresciuta nel frattempo nella società italiana, si è cominciato a usare la parola bellezza in termini non più prevalentemente “privati” ma sociali e politici. Ottima cosa. Naturalmente con tutti i pericoli dell’integralismo sempre in agguato, molto pericoloso in una materia opinabile come è appunto il concetto di bellezza. Senonché, come capita spesso, il linguaggio usato da un’avanguardia consapevole, viene sporcato col passare del tempo dalla retroguardia di affaristi e demagoghi sempre in servizio permanente effettivo. Che non aspettano altro che raccogliere i frutti dell’avanguardia per manipolarli. Così sta avvenendo oggi, con la complicità di un potere di cui pochi parlano cioè quello dell’informazione. Tutto è bello, fantastico, eccezionale. Sembra che l’Italia non abbia mai avuto distruzioni di cose egregie e inquinamento. E non ce l’abbia tuttora.

Il caso Matera è emblematico. Non si contano più le espressioni estasiate di inviati dei mezzi di informazione ma anche politici, “studiosi” e tanti altri. Oh, che bello! Straordinaria bellezza! Caso unico al mondo! Andate tutti a Matera! Se esiste il sacro è lì! Uno dei posti al mondo in cui bisogna assolutamente viverci! Eccetera, eccetera.
Qualcuno, quelli di bocca buona diciamo così, è ancora contento di questo peana che si trascina da qualche anno. Chi ha vissuto, e amato, Matera da ormai circa mezzo secolo (per esempio chi scrive) non può che essere infastidito da tutto questo. Vorrebbe meno ipocrisia, più spirito critico, un apprezzamento reale della città antica che non può che nascere da un approccio diverso da quello che avviene in questi anni e mesi. Un approccio, l’ho scritto tante volte su “Il manifesto” ma non solo, particolare perché davvero particolare è la città. Ma non lo è nel senso (giornalistico) comune del termine. Lo è nel senso di una parola che ho usato spesso, giuro senza la malizia del maschietto, cioè “penetrazione”. Matera è una città che va “penetrata”, senza non la si può capire né amare, tuttalpiù si può avere una infatuazione momentanea. Si dirà: ma questo vale per tutte le città. Eh, no, non è così. Vale solo per alcune, e Matera è sicuramente una di queste. Il “non visto” è del tutto preponderante su quel che si vede. E il non visto è una scoperta continua. Pur avendo frequentato la città da tantissimi anni non c’è stata mai una volta in cui non abbia scoperto cose nuove. Ecco perché a Matera il discorso politico sulla città doveva essere diverso dall’approccio culturale (e turistico) corrente. Il primato dello “studio” (che significa preponderanza del lavoro) sul “consumo usa e getta” doveva avere una assoluta priorità. Non è stato così anche se qualcosa si fa, qualche progetto si mette in cantiere, e li vedremo strada facendo in questa rubrica. A Matera bisognava, se ci fosse stata una politica d’avanguardia, “capovolgere” la recente storia d’Italia con un approccio diverso e opposto alla realtà. Davvero: cultura, cultura, cultura! Ma nel senso pieno del termine, cioè: lavoro, lavoro, lavoro! E ritornare quindi ai periodi migliori della storia d’Italia, quelli in cui il lavoro ha prodotto progresso autentico e consumi all’altezza, non effimeri. Appunto: centri storici, uso di materiali “naturali”, artigianato di pregio, made in Italy.
Un solo esempio, per ora, di ciò che ho descritto e racchiuso nella parola “penetrazione”: ci sono, censite nel territorio materano (Sassi e campagna), 156 chiese rupestri, qualcuno dà un numero leggermente superiore. Ebbene, al massimo, se ne visitano una decina. Davvero al massimo. E il resto? Il resto non lo visita nessuno anche perché, tra le maggiori, alcune sono impraticabili. Solo qualche coraggioso appassionato si inoltra in questo percorso faticoso e arrischiato. Il problema è che manca la guida e il tragitto per visitarle tutte. Si sta lavorando sull’arcaico e il rupestre e qualcosa verrà fuori (vedremo). Però, diavolo, non andava fatto prima, anzi tanti anni fa?

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