Matera 2019: domani le regionali in Basilicata. Magari di basso profilo, ma da non guardare con snobismo

23 Marzo 2019 /

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di Michele Fumagallo
Domani, domenica 24 marzo, ci sono le elezioni regionali in Basilicata che sono anche un primo test sulle iniziative di “Matera capitale europea della cultura”, l’operazione particolare che vive la città dei Sassi e che è stata conquistata nell’autunno 2014, e viene gestita in gran parte adesso, da personale di area Partito Democratico. Cercheremo di commentare i risultati elettorali dopo le elezioni, adesso invece mi preme dire qualcosa non solo su liste e candidati ma sulla politica generale in una regione che è sempre stata governata dal centro sinistra.
In Basilicata il centro sinistra ha saputo mantenere una continuità amministrativa anche quando la coalizione subiva pesanti sconfitte a livello nazionale. Ma questa specificità locale non è eterna evidentemente: le elezioni nazionali dell’anno scorso hanno evidenziato che la sicurezza (anzi la sicumera) con cui ci si muoveva era finita, ed era invece iniziato un declino che le inchieste della magistratura sulla sanità hanno accentuato.


Il centro sinistra ha sposato in Basilicata per anni e anni una sorta di continuità con il vecchio potere democristiano della prima repubblica. Dopo la caduta dei vecchi partiti probabilmente tutto questo era inevitabile in una regione dove la sinistra ha avuto in passato il suo peso in alcune località ma tutt’altro che forte nella generalità del territorio. Cosicché il centro sinistra non ha saputo e voluto correggere gli errori del passato a partire da una gestione clientelare della cosa pubblica e da un rapporto di “mediazione” (non quindi di stimolo all’autonomia) con la popolazione.
È stato il suo forte limite ma, va detto, anche la causa del suo successo a riprova che la società lucana è invischiata in una cultura cattolica pervasiva e clientelare che non ha trovato opposizione e ostacoli sulla sua strada anzi ha semmai convinto altri della bontà del proprio agire. È quella cosa che ho chiamato con una battuta, in alcuni articoli su “Il manifesto” e anche in questa rubrica, “clientelismo condito modernamente con qualche parola di inglese”. Così accanto a operazioni di piccolo calibro (anche positive, parliamo in fondo di partiti “progressisti”) ci si è incamminati, in questioni più grandi, su strade spregiudicate dove l’interesse più forte, spesso proveniente dall’esterno, ha sempre dettato legge ma senza mai lasciare sul campo una autonomia vera alla società del luogo.
Citiamo due grandi casi emblematici degli ultimi decenni che hanno radici lontane nella prima repubblica ma che rappresentano una continuità esemplare: l’investimento Fiat a Melfi e quello Eni in Val d’Agri. Né l’uno né l’altro (parliamo di cose diverse dal punto di vista occupazionale e ambientale ma simili per la filosofia dell’intervento) hanno innescato processi di autonomia nella società locale anzi, nonostante la loro presenza, l’emigrazione di massa, soprattutto giovanile, dalla regione è ripresa in grande stile nell’ultimo quindicennio. A riprova che lo sviluppo non malato dei territori non può prescindere dalla loro “vocazione produttiva” e gli interventi esterni quindi possono produrre progresso sano soltanto se innescano nei luoghi processi di potere autonomo e di controllo da parte della popolazione che vi abita.
Insomma i sempiterni errori degli interventi dall’alto nel Sud d’Italia (lo stigma di questo comportamento è anche parzialmente in “Matera 2019”) non solo non sono stati corretti dal centro sinistra che ha governato la Basilicata ma sono stati persino accentuati in una logica “mediatrice” che ha favorito soltanto le classi dirigenti e il loro entourage politico-familistico ma non la popolazione che, appena ha toccato con mano la crisi, ha voltato le spalle al vecchio potere. Così una regione che poteva essere davvero un giardino – perché la Basilicata è, nonostante deficienze varie, un territorio interessante e fascinoso, miscuglio di natura e arte, di silenzi e salutare quiete, di millenarie evocazioni e resistenze commoventi – ha perso svariati “treni”, a partire da quelli veri che si stanno a fatica recuperando.
Così veniamo alle elezioni regionali di oggi. E qui devo dire che, al pari del conformismo che impedisce di fare i conti con i propri errori, non amo lo snobismo aristocratico di chi scopre l’ombrello della crisi con anni di ritardo. Non mi piace insomma la scrollata di spalle con cui tanti accolgono questa tornata elettorale. Dire che siamo messi molto male è di un’ovvietà ormai stucchevole. Certo, siamo messi male un po’ ovunque (al Sud di più, d’accordo) ma ripetere sempre questa tiritera non è più una novità ma una vecchiezza che lascia il tempo che trova. Anzi, se vogliamo dirla tutta, è una vecchiezza della “società civile” che dimostra quindi tutta intera la sua crisi.
E infatti il problema è proprio questo. Siamo sommersi da anni da una crisi generale (quindi non solo istituzionale) con cui nessuno o pochi vogliono fare i conti. È più comodo dire che è in crisi “la politica” (che poi sarebbe miseramente il gruppo di persone che gira nelle istituzioni), ed è più che vero, ma solo come emanazione di una crisi generale della società civile. Dovrebbe ormai essere a tutti chiaro che viviamo una crisi di passaggio storico perché da anni è saltato in parte l’alfabeto che ha connotato il progresso nato dopo la seconda guerra mondiale. Insomma una questione sociale gigantesca (a cui si aggiunge la tragedia del “blocco” della costruzione europea) con cui fare i conti. Invece si continua come prima cioè come se nulla o poco fosse.
E qui, sia chiaro, la responsabilità del ceto (a questo siamo purtroppo) che “fa politica” è grande.
Si pensi alla miseria con cui viene condotta questa campagna elettorale in Basilicata, col cattivo esempio che danno i dirigenti nazionali dei partiti che scendono in Lucania più per fare dichiarazioni che riguardano il battibecco nazionale (infatti si attendono i risultati elettorali soltanto per vedere che effetto fanno sulla stabilità del governo centrale) che per affrontare le questioni locali relegate al massimo in una parentesi. Non saprete mai quali sono i programmi di un territorio di grandi possibilità come il Vulture-Melfese. Oppure non saprete mai come ricostruire in termini europei e con contenuti nuovi (a partire da quelli urbanistici) un municipio nuovo come quello di Potenza e comuni limitrofi. E neanche saprete mai, se non a balbettii, quali sono i programmi nuovi ed europei della decantata Matera e della sua corona di comuni lucani.
E solo per non dilungarci non parliamo dei giornalisti che assecondano questo gioco senza porsi nessuna domanda.
In ogni caso in Basilicata, domenica 24 marzo, si fronteggiano nelle elezioni regionali 4 candidati alla presidenza: centro sinistra con 7 liste di appoggio, centro destra con 5 liste di appoggio, Movimento Cinque Stelle con 1 lista e Basilicata Possibile della sinistra radicale con 1 lista. Un test, comunque. Che commenteremo. E non è detto che non ci consegni (anche una modesta e “antiquata” elezione regionale può nascondere l’imprevedibile) qualche messaggio-sorpresa.

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