Matera 2019: 8 marzo, le occasioni perdute delle donne in Basilicata. Ma l'Europa non nascerà senza l'autonomia femminile

9 Marzo 2019 /

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di Michele Fumagallo
Sono passati nove anni (17 marzo 2010) dalla scoperta del corpo di Elisa Claps nel soffitto della Chiesa della Santissima Trinità a Potenza. Un corpo ridotto naturalmente a poco più che “polvere” nei circa diciassette anni di “abbandono” in un angolo di un sottotetto pieno di calcinacci. Una scoperta angosciosa per svariati motivi: l’atrocità del delitto di una ragazza di 16 anni (violentata e uccisa da un giovane di qualche anno più grande di lei) avvenuto sopra una chiesa frequentata da molta gente in una città che è, nel suo centro storico, poco più di un paese; la “banalità” della scoperta del male dove meno te lo aspetti; il dibattito seguente che, se ha commosso moltissima gente e mobilitato molti per reclamare giustizia, ha anche allontanato tanti (e tante) dall’affrontare in modo adeguato (e politico) il nodo dei rapporti uomo-donna che un simile delitto portava con sé.

Sono passati sei mesi (15 settembre 2018) dal delitto di Angela Ferrara, 31 anni, avvenuto a Cersosimo, piccolo paese del Pollino. Uccisa dal marito che si è poi suicidato, Angela era una poetessa e scrittrice di storie per bambini. Amava dire: “Gli occhi dei bimbi / ciò di più bello al mondo”. Aveva al suo attivo alcune pubblicazioni ed era molto impegnata nel sociale.

Se ho citato queste due donne lucane per l’8 marzo 2019 (del tutto inadeguata è “Matera 2019” sulla questione femminile) è solo perché sono le prime che mi vengono in mente in un elenco, troppo lungo anche nella “spopolata” Basilicata, di donne uccise dalla violenza maschile.
Ricordo di aver scritto, su “Il manifesto” del 1 aprile 2010, una lunga riflessione sul caso di Elisa Claps e sulla metafora che poteva rappresentare per la società lucana. Concludevo il pezzo così: “Continuare come prima non è più possibile, sia per le persone (per le donne, innanzitutto) che per la città. O è possibile soltanto pagando il duro prezzo della necrosi sociale”.
Le cose non camminano mai come noi desideriamo, naturalmente. E la coscienza femminile prende, come tutte le cose della vita, vie tortuose e ha tempi misteriosi.
Sul quel caso emblematico di femminicidio, dopo la tardiva scoperta del suo corpo (nei molti anni della sua scomparsa Elisa venne di fatto lasciata al dolore individuale dei suoi cari), il dibattito fu ampio ma sviò dall’analisi sulla famiglia in una regione che aveva, sì agganciato la modernità e il cambiamento, ma nei termini, scusate la battuta, del “clientelismo condito con qualche parola di inglese”.
Del resto, già molti anni fa, quando uscì il libro di Edward Banfield (“Le basi morali di una società arretrata”) sul “familismo amorale” in Basilicata molti arricciarono il naso e si scandalizzarono offesi. Quell’analisi sociologica, come tutte le analisi, è discutibile. Ma ciò che dava fastidio era il mettere il dito nella piaga del dominio eccessivo (e immorale) del privato. Un comportamento da “clan familiare” che al Sud non se n’è mai andato nonostante tanti cambiamenti. Forse è il caso di riprendere quel libro e riparlarne.
Certo, le violenze contro le donne che si sono moltiplicate negli anni, hanno avuto in risposta manifestazioni, ricordi, indignazioni delle donne ma sempre nel solco di un impegno più estemporaneo che politico. D’accordo, ovunque i tempi sono questi. In cui l’alfabeto della politica (parlo anche di quello femminista) si è modificato e non in meglio, sostituito da analisi più “psicologiche”, più “umane” e “familiari” (la sacrosanta biopolitica non c’entra) che sociali e politiche. E naturalmente l’esaltazione dell’ “ideologia della famiglia” (di questo si tratta, in fondo) è sempre lì presente e non viene, se non raramente, presa di petto e attaccata.
È il limite invalicabile di tante manifestazioni e commemorazioni che le donne fanno delle loro “sorelle” uccise, la prigione dove si resta chiuse. Non se ne esce reclamando il cambiamento maschile, ma solo rimettendo al centro il primato della società, della “piazza” come luogo simbolico e imprescindibile della risoluzione dei problemi. Insomma, senza rifondare la politica partendo dall’autonomia femminile la violenza maschile non solo non trova ostacoli davanti a sé o ne trova di insufficienti ma è destinata a ripetersi.

“Matera 2019” poteva iniziare nel nome di Angela Ferrara, poetessa e scrittrice, la sua avventura di capitale europea della cultura. Il suo viso poteva campeggiare come monito contro la violenza maschile sulle donne e come viatico di un’Europa che senza l’autonomia femminile semplicemente non nascerà. Non lo si è fatto ed è un peccato. Anzi, un errore.
Eppure, tantissimi anni fa (80 per la precisione), mentre si preparavano i venti di guerra, uno scrittore “lucano” di adozione, Carlo Levi, scrisse un pamphlet filosofico di grande interesse, “Paura della libertà” (l’editore Neri Pozza lo ha ripubblicato con una splendida introduzione di Giorgio Agamben). Un libro profetico dove si legge, tra l’altro, di intervento femminile che dà al mondo una nuova dimensione e di un’Europa che ritornava donna.
Ma, a conclusione di questo intervento sull’8 marzo, leggiamone un passo: “Era pur stata la donna a trar fuori il mondo dai neri boschi nordici, popolati di mostri e di monotone gerarchie. La donzella aveva aspettato molti secoli sul suo scoglio, sotto la guardia del drago feudale, il paladino che rompesse le sue catene: e a sua volta ne aveva fatto un uomo libero. Trovatori provenzali e poeti del dolce stil novo l’avevano messa sugli altari e cantata come una stella e una dea: ma l’accento non cadeva sul divino, bensì sull’umano e libero.
Le barbare divinità maschili si dissolvevano al sorriso della Grazia: le lingue si scioglievano, liberate dal rispetto religioso, e cambiavano di suono e di accento. L’intervento femminile dava al mondo una nuova dimensione, una prospettiva che rinnovava i pensieri, la sintassi, il linguaggio, la pittura. La più grande delle rivoluzioni fioriva, come tutte le rivoluzioni, sotto una benigna divinità femminile. Europa tornava donna…”.

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