Matera 2019: primo, liquidare le "sottoculture" sudiste qui e in tutto il sud

9 Febbraio 2019 /

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di Michele Fumagallo
Prima di addentrarci nel “caso Matera”, analizzando pezzo per pezzo le sue strutture culturali e l’impatto che quest’anno di “capitale europea della cultura” può avere anche sugli altri impianti del vivere civile (la cultura non è mai separata dal resto) e prima di vedere cosa fanno quelli che per me (questa rubrica è un piccolo diario di un comunista) sono i due soggetti forti del cambiamento egualitario, cioè il mondo del lavoro dipendente e sfruttato e il mondo femminile, proseguiamo il nostro cammino prendendola un po’ alla larga.
Nella precedente puntata abbiamo parlato dell’imprescindibile (nuova) autonomia municipale se si vuole costruire, a Matera e altrove, la “nuova” (e democratica) Europa. Oggi dedichiamo questo spazio al sudismo (con annesso neo borbonismo), la micidiale sottocultura che ha imperversato al Sud negli ultimi decenni e che è la causa culturale “locale” dell’emarginazione meridionale.
Noi non dovremmo più discutere, se non in sede storica, dell’Unità d’Italia. Ma, complice la Lega Nord di tempo fa, oggi tramutata in Lega nazionale ancor più insidiosa perché cerca di far passare dalla finestra ciò che non le è riuscito a far passare dalla porta (una secessione di fatto), la problematica del Meridione è precipitata in un cul di sacco. La risposta alle scelte politiche ed economiche dei governi nazionali, sovente indirizzati da interessi della parte più sviluppata del paese, è stata una riscoperta dei peggiori istinti conservatori delle popolazioni meridionali.

La denigrazione dei martiri e delle rivolte anti borboniche e del movimento risorgimentale e garibaldino (ambiguo quanto si vuole) e la riscoperta di rivolte plebee come il brigantaggio (contraddittorio quanto si vuole ma filo borbonico e filo papalino) sono state spesso il leitmotiv di un dibattito non solo retrò ma del tutto distruttivo nella sua pochezza culturale e nella sua manipolazione storico politica.
Cosicché tutta la cultura dei grandi meridionalisti di diverse idee politiche, che convergevano sulla questione meridionale come questione italiana e che hanno affrontato in modo molto critico e radicale le incongruenze dell’Unità d’Italia, è stata non solo marginalizzata da una politica nazionale (prevalentemente “locale”, cioè nordista) sbagliata ma, di contraltare, da movimenti “neo borbonici” al Sud non solo falsi nelle loro motivazioni ma del tutto subalterni.
Così il Sud è precipitato nel vuoto odierno senza che né la vecchia cultura liberale né quella di sinistra sia stata capace di contrastare adeguatamente la manipolazione sudista. Insomma la Questione Meridionale, in molte zone del Mezzogiorno, da questione nazionale è stata derubricata e “meridionalizzata” nel modo peggiore.
Dovremmo tacere, per carità di patria, sulle complicità di Comuni e Regioni meridionali (Matera e la Basilicata non sono state immuni da questa deriva, anzi), spesso del centro sinistra, che hanno firmato petizioni per un giorno della memoria (alla stregua della shoah, udite udite) dei genocidi “italiani” anzi “piemontesi” contro il Sud. Una pagina vergognosa della politica democratica meridionale di cui si è parlato troppo poco.
Dovremmo ricordare, ad esempio, che un fiume di denaro è stato speso in sede regionale in Basilicata, non per commemorare gli esponenti libertari e antiborbonici che hanno pagato col carcere e con la vita la loro lotta e le rivolte antiborboniche represse spesso nel sangue ma per finanziare “epopee” dei briganti. In un Comune importante della regione, Rionero in Vulture, patria del brigante Carmine Crocco, non solo si sperperano soldi per parate ridicole del brigantaggio ma uno dei palazzi più interessanti del paese è adibito a centro pro brigantaggio (non “sul” brigantaggio, checché se ne dica). Il tutto voluto e approvato da amministrazioni di centro sinistra e sindaci di sinistra a cui non è venuto neanche in mente che lì poteva sorgere un centro di studi della storia italiana pre e post unitaria, dove si sarebbe studiata tutta la faccenda e quindi anche il brigantaggio.

Carlo Levi, di cui parleremo in seguito in questa rubrica, scriveva pagine memorabili sulla natura delle rivolte disperate e senza ideali. Per esempio nel “Cristo”, a proposito dei contadini lucani: “Anche il loro aspetto, oggi, richiama l’immagine antica del brigante: oscuri, chiusi, solitari, aggrondati, col cappello nero e il vestito nero, e, d’inverno, il mantello; sempre armati, quando vanno nei campi, con il fucile e la scure. Il loro cuore è mite, e l’animo paziente. Secoli di rassegnazione pesano sulle loro schiene, e il senso della vanità delle cose, e della potenza del destino. Ma quando, dopo infinite sopportazioni, si tocca il fondo del loro essere, e si muove un senso elementare di giustizia e di difesa, allora la loro rivolta è senza limiti, e non può conoscere misura. E’ una rivolta disumana, che parte dalla morte e non conosce che la morte”.
Levi è infinitamente comprensivo verso il contadino (anche brigante che può diventare) ma straordinario perché fotografa l’essenza dell’animo dell’uomo senza ideali e speranze. Il problema è tutto lì, anche l’essenza del brigantaggio. Sono uomini che hanno introiettato morte e rassegnazione (intanto dal vecchio potere e dalla vecchia educazione borbonica e cattolica) e, magari per delusione verso il nuovo potere d’accordo, portano morte. Il garibaldino (con tutte le contraddizioni, benissimo) è invece un uomo che uccide per la speranza e per il futuro e poco importa l’errore che può commettere (tutti commettiamo errori, e ovviamente ne dobbiamo discutere e correggerli) perché ha un programma di vita non di morte.
Il problema morale di fondo – parlo soltanto di quello morale perché quello politico e dei contenuti politici ci porterebbe troppo lontano – è questo. Ed è sempre questo nella storia. Poi magari c’è da discutere di una storia andata per molti aspetti male, di un tentativo di Risorgimento popolare sconfitto da uno d’élite e annessionista oltre che opportunista perché fece accordi con le vecchie classi dirigenti borboniche e trasformiste. E questa è la vera questione storica da affrontare ma solo dopo aver fatto chiarezza sulla positività della liquidazione dei due grandi ultimi Stati oppressivi e retrò, quello borbonico e quello pontificio.
Qualcuno, a partire da Matera e proprio in questa circostanza europea (quante similitudini tra la costruzione dell’Italia unita e quella europea di oggi), vuole cominciare a parlarne?
Per esempio qualcuno vuole cominciare a dire che non è vero che ieri come oggi ai meridionali non resta che essere o emigranti o briganti? E’ falso, ieri come oggi, e oggi certamente più di ieri. C’è ad esempio una terza via, presa ovunque ci sono stati poi pezzi di libertà, di autonomia, di cooperazione (o socialismo magari): quella dell’organizzazione in loco (alcuni lo fanno, sia chiaro, qui sto un po’ tagliando il discorso con l’accetta), dei tentativi di costruire speranza e princìpi di comunità, di sacrificarsi e lottare (beata e antica parola!) con “coscienza”, e magari, è l’auspicio di chi scrive, con “coscienza di classe”.

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