di Michele Fumagallo
Le autonomie regionali sono un errore. Persino uno sbaglio dei padri costituenti che già allora potevano capire – Manifesto Europeo Spinelli docet – che ci sarebbe stata all’orizzonte una nuova costruzione statale (certo, bisognava essere molto preveggenti). Era sufficiente quindi in Costituzione la triade Stato-Province-Comuni per portare avanti la baracca Italia, come del resto la storia ha poi dimostrato. Il problema è che questo errore, tra l’altro correggibile (ma non da un dilettante e un “imbroglione”, politicamente parlando, come Renzi), si è tramutato nel tempo in un’illusione ottica e un inganno.
L’illusione del decentramento nel centro-sinistra, l’imbroglio di adesso con la spinta leghista a un’autonomia che è solo di fatto secessione. Le Regioni sono nate in ritardo nel 1970 e all’inizio hanno speso il loro tempo per un “rodaggio” abbastanza lungo. Tutto il progresso italiano che abbiamo conosciuto quindi, nel bene e nel male, nei primi tre-quattro decenni post-guerra, è stato messo in atto in regime extra-regionale. Non c’era più bisogno quindi dell’istituzione di un ente che non serviva più alla bisogna.
Tanto più che l’Europa era sempre più “vicina” e bisognava attrezzarsi a istituzioni nuove. Non è lì dunque la nuova autonomia amministrativa da cercare e valorizzare in questo periodo storico. Lo è invece nei Comuni, base della piramide “amministrativa” del Nuovo Stato (federale?) Europeo.
Senza una rivoluzione autonomistica dei Comuni (ovviamente di Comuni rinnovati, anche nel numero di abitanti, all’altezza del compito nuovo non più italiano ma europeo) l’Europa “vera”, cioè politica (cioè “nuovo Stato”), non nascerà e anzi imboccherà la strada della sua crisi verticale, ciò che del resto sta già avvenendo. Questo è il problema principale di Matera, questo è il problema principale dell’Europa.
Si esce da una crisi grave del cammino europeo soltanto se i cittadini del continente possono partecipare alla costruzione del nuovo Stato. Una costruzione democratica e di base, quindi municipale. Certo c’è bisogno di un “cuscinetto” intermedio tra vertice e base, come insegna l’esperienza storica; ma questo cuscinetto è il vecchio Stato nazionale ridimensionato a Regione. Non è dunque la Basilicata o l’Emilia Romagna il punto intermedio (punto intermedio, non “piccoli Stati” che riportano indietro la situazione di duecento anni) ma l’Italia. Aver pensato il contrario, quando era a tutti già evidente il bisogno di Europa, è un’illusione ottica di decentramento falso e antistorico, quindi “reazionario”.
La triade dunque della nuova situazione storica è questa: Nuovo Stato Europeo (federale?) – “Regione” (Italia, Francia, Slovenia, eccetera) – Comune Europeo. Non c’è lo spazio qui per argomentare in modo più dettagliato tutto questo (a partire dai “Nuovi Municipi Europei”, più o meno 400/450 nella vecchia Italia, tenuto conto dei “livelli di coscienza” dei propri diritti raggiunti nei territori) e chiedo scusa al lettore.
Matera quindi deve capire l’incongruenza del suo status attuale (a partire dai suoi abitanti, insufficienti per l’operazione se non aggregando alcuni comuni lucani) e lanciarsi in questa lotta nuova. La sfida dunque di “Matera capitale europea della cultura” può svilupparsi soltanto all’altezza di questo compito e in questa cornice. Al di fuori resta magari la festa ma col sapore amaro dell’ “occasione mancata”.