Il boom di Vox: chi è e cosa pensa l'estrema destra spagnola

4 Dicembre 2018 /

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di Steven Forti [*]
Un fulmine a ciel sereno. Un tuono che annuncia una tempesta. Sì, perché il risultato di Vox alle elezioni regionali andaluse di questa domenica segna senza dubbio un cambiamento. Non si tratta del cambiamento tanto sognato da Podemos, dal neo-municipalismo e dalla sinistra spagnola. È il cambiamento annunciato da Trump, Salvini, Bolsonaro, Le Pen e l’immancabile Steve Bannon che, infatti, mesi fa ha stretto rapporti con il partito di estrema destra guidato da Santiago Abascal. La Spagna non è più l’eccezione, insieme al Portogallo, nel Vecchio Continente: gli unici paesi immuni, così si pensava, all’onda nera degli ultimi anni. Gli anticorpi della società spagnola, uscita solo quattro decenni fa dalla dittatura franchista, non hanno funzionato: l’estrema destra, inesistente fino all’altro ieri, mette ora un piede nel paese iberico.
E non si tratta di una cosa passeggera. Tutt’altro. Lo vedremo nell’Election Day di fine maggio, quando in Spagna si voterà, lo stesso giorno, per le Europee, tutti i Comuni e tredici regioni su diciassette. Senza contare la possibilità delle elezioni politiche anticipate vista la debolezza dell’esecutivo guidato da Pedro Sánchez. Insomma, quel che si è visto in Germania con Alternative für Deutschland durante quasi due anni, con un lento ingresso in tutti i Parlamenti regionali della formazione di estrema destra tedesca e poi l’exploit alle politiche del settembre 2017, a Madrid succederà in un sol giorno. Perché su questo non c’è dubbio: Vox prenderà molti voti. E influirà notevolmente sulla politica spagnola. Bisognerà solo capire quanto.

Andalusia: debacle del socialismo, vittoria delle destre
Le elezioni in Andalusia, la più popolosa delle regioni spagnole, erano state convocate alcuni mesi prima del termine della legislatura dal PSOE, che governa ininterrottamente da quasi quarant’anni la regione, con la convinzione di ottenere un buon risultato e mantenersi al potere, sfruttando l’onda lunga dell’arrivo di Sánchez al governo a Madrid. Così non è stato. Con la partecipazione più bassa della storia (58,6%), la debacle del PSOE, guidato dalla presidentessa regionale Susana Díaz, è stata senza se e senza ma: perde oltre 400mila voti, 14 deputati regionali e oltre il 7% dei consensi, fermandosi al 27,9%. Può sembrare un risultato non così negativo comparato con la situazione della socialdemocrazia nel resto dell’Europa, ma si tenga conto che prima del 2012 il PSOE non era mai sceso al di sotto del 40% e nel 2015 aveva ottenuto il 35,3%. Per di più i voti persi dai socialisti non sono andati a sinistra, ossia a Adelante Andalucía, la confluenza formata da Podemos e Izquierda Unida, da sempre molto radicata nella regione. La lista guidata da Teresa Rodríguez perde 280mila voti rispetto a tre anni fa, 3 deputati e piu del 5% dei consensi: si ferma solo al 16,2%.
Il Partido Popular (PP) sorride solo a metà: perde oltre 300mila voti, 7 seggi e quasi il 6% dei consensi, ottenendo il 20,8% dei voti. Chi ha vinto davvero sono le altre destre: quella liberal, ma sempre più piegata verso un duro nazionalismo spagnolo, ossia Ciudadanos che duplica i suoi voti (18,3%, +12 seggi) e, soprattutto, Vox che dallo 0,46% del 2015 fa un balzo fino all’11%, eleggendo 12 deputati. 400mila voti. Un’enormità. Con punte di quasi il 17% nella provincia di Almería: nel comune di El Ejido, terra di agricoltura intensiva e alta presenza di immigranti, si converte nella prima forza con quasi il 30% dei voti. Morale della favola: le sinistre perdono la maggioranza assoluta, superate dalle destre, divise e in competizione sì, ma per la prima volta maggioritarie. Non ci sarà un governo di sinistra: è la fine di un’epoca.
Che cosa succederà ora è un’incognita. In primo luogo in Andalusia. Il PP ha già aperto a un dialogo con Vox, Ciudadanos prende tempo: Gui Verhofstadt, leader dei liberali europei del cui gruppo è membro il partito di Albert Rivera, ha avvisato in un tweet il preoccupante risultato di Vox. Potrà Ciudadanos arrivare a un accordo di governo con Vox, i cui voti sono indispensabili? La voglia di scalzare i socialisti dal governo regionale è immensa, ma far entrare l’estrema destra nel governo di una regione tradizionalmente rossa è una questione delicata per chi vuole essere il referente del macronismo in Spagna. L’altra opzione è un patto tra Ciudadanos e i socialisti, che si sono detti disponibili a valutare qualsiasi ipotesi pur di evitare che Vox metta un piede nel governo (o lo condizioni da fuori). In fin dei conti, il partito arancione ha appoggiato nell’ultima legislatura il PSOE. A cambio Ciudadanos potrebbe chiedere la testa di Susana Díaz, oltre alla presidenza della regione. Servirebbe però l’appoggio di Adelante Andalucía, una gatta da pelare per Pablo Iglesias che è subito intervenuto a caldo, dichiarando necessaria una mobilitazione antifascista per frenare l’estrema destra e proteggere la democrazia.
Il fondo della questione è dunque che cosa farà la destra conservatrice e liberal: seguirà il modello austriaco in cui Kurz governa con Strache? O eviterà di aprire le porte all’estrema destra? Dalla risposta che si darà dipenderà anche quel che succederà a Madrid: Pedro Sánchez sarà costretto a convocare elezioni anticipate? L’esecutivo socialista, al governo in minoranza da inizio giugno dopo la vittoriosa mozione di sfiducia contro Mariano Rajoy, è in una situazione difficile e con la spada di Damocle della legge di bilancio. Servono i voti degli indipendentisti catalani che si negano a votare a favore a causa dei processi ai dirigenti indipendentisti in prigione preventiva da oltre un anno (due dei quali nel frattempo hanno iniziato uno sciopero della fame). Tutto è legato a doppio filo. Anche perché la Catalogna è stata, più dell’immigrazione, il tema al centro della campagna elettorale andalusa: tutte le destre hanno caricato contro Sánchez per considerarlo un ostaggio di chi “vuole rompere la Spagna”, in allusione agli indipendentisti. Si annunciano settimane di fuoco.
Le cause del successo di Vox
Il successo di Vox è innegabile. Le sue cause? Senza dubbio tutte quelle che spiegano l’auge dell’estrema destra in Europa: immigrazione e globalizzazione, soprattutto. Gli sbarchi sono aumentati quest’anno, arrivando a quota 50mila, il doppio del 2017. E soprattutto sulle coste andaluse che sono state al centro dei riflettori. L’Andalusia è una regione povera, con una disoccupazione più alta della media (22,9% contro il 15,2% a livello nazionale) e dove la ricchezza della popolazione è calata ancora rispetto agli anni scorsi, per quanto l’economia spagnola viaggi da tre anni sul +3% del Pil. Si aggiunga poi il fatto che il PSOE governa da quasi quarant’anni ed è coinvolto in alcuni importanti scandali di corruzione: i socialisti sono percepiti come la casta, l’elite di governo. E la presidentessa Susana Díaz è poco amata, come Renzi in Italia.
L’indignazione della popolazione è dunque passata dalla sinistra all’estrema destra. Non si è votato Adelante Andalucía: gli enragés hanno scelto in gran misura la scheda elettorale di Vox. Si unisca il tutto all’alta astensione che ha lasciato a casa molti elettori di sinistra, sia socialisti sia di Podemos e Izquierda Unida, mentre il voto radicalizzato (di estrema destra) si è mobilitato. Mancano ancora degli studi per capire da dove proviene il voto a Vox: dai quartieri operai, dagli sconfitti della globalizzazione, dalle aree rurali? O dalle classi medie e benestanti? O è un voto trasversale, visto che Vox ha eletto deputati in tutte le province andaluse? In ogni caso, è indubbio che si sta dando un processo di “lepenizzazione sociale”, come lo ha definito Carlos Marmol.
E non si perda di vista quello che è stato senza dubbio l’elemento centrale: la Catalogna. Nel voto a Vox, ma anche a Ciudadanos, si ha la reazione spagnolista alla rivendicazione indipendentista catalana. Solo gli ingenui potevano pensare che non ci sarebbero state ricadute in questo senso. Soprattutto quando le destre – tutte le destre: il PP, Ciudadanos e ovviamente Vox – hanno fatto dell’unità della Spagna e della lotta all’indipendentismo la loro ragion d’essere, arrivando a tacciare Pedro Sánchez di “golpista” per voler dialogare con l’indipendentismo. Chi semina vento, raccoglie tempesta.
Vox, tra Bannon, Le Pen e Bolsonaro
Nessuno si aspettava che Vox ottenesse 400mila voti. I sondaggi avvertivano di un probabile ingresso dell’estrema destra con uno o due deputati. Alla fine sono stati dodici. Ma Vox non è nata l’altro ieri. Questa domenica ha avuto la sua consacrazione. Il partito è stato fondato a inizio 2014 dal quarantenne Santiago Abascal che fino all’anno precedente era iscritto al PP. Nel partito conservatore ha ricoperto diverse cariche nei Paesi Baschi: è stato consigliere comunale a Llodio per quasi un decennio e deputato regionale per un lustro, fino al 2009. Proveniente da una famiglia di destra – il nonno fu sindaco durante il franchismo, il padre leader regionale di Alianza Popular -, Abascal decise di rompere con il PP per i casi di corruzione che stavano colpendo il partito e, soprattutto, per la risposta troppo morbida che, secondo Abascal, Rajoy stava dando all’indipendentismo catalano.
Alle Europee del 2014, quando Podemos superò il milione di voti, Vox ottenne l’1,5% presentando come candidato l’ex europarlamentare del PP Alejo Vidal-Quadras. Pochi mesi prima Abascal aveva pubblicato un libro intitolato sintomaticamente “Non mi arrendo”. Caricava soprattutto contro l’ETA, che lo aveva minacciato negli anni precedenti: per questo, ha dichiarato recentemente, ha sempre con sé una pistola Smith and Wesson per proteggere i suoi figli. Nel 2014 Vox non ottenne deputati, ma si iniziò a parlare del rischio di un partito di estrema destra in Spagna. Negli anni successivi però il partito di Abascal sembrava destinato a scomparire o, al massimo, a convertirsi in un gruppuscolo di estrema destra extraparlamentare: alle comunali del 2015 fu un flop – anche se riuscì a conquistare due piccoli Comuni – e alle politiche del 2015 e alla ripetizione del 2016 si fermò a un misero 0,2%, ottenendo meno di 50mila voti.
Il cambio, inaspettato, è venuto ora. In realtà, gli allarmi erano suonati già lo scorso 7 ottobre quando Vox aveva organizzato un meeting nel Palacio de Vistalegre a Madrid. Si erano contate 9mila persone. Tutto esaurito. Per di più nel luogo simbolo delle sinistre spagnole: prima del PSOE e poi di Podemos, che nell’ultimo congresso del febbraio 2017 non era riuscito a riempire il palazzetto dello sport. Si era iniziato a parlare di Vox, segnalando che si stava radicando in tutta la Spagna: il partito dichiara ora di avere 16mila iscritti. Pur non avendo visibilità mediatica, a parte quella che gli hanno dato le altre formazioni parlando del rischio del suo ingresso nel Parlamento andaluso, Vox è riuscito a convincere molti elettori. Ha operato in parte dal basso organizzando incontri e raccolta firme a favore della sicurezza nei quartieri operai delle grandi città, ma soprattutto ha usato le reti sociali: come Bolsonaro sembra che nelle regionali andaluse i messaggi su Whatsapp siano stati chiave con una campagna intitolata “Sei di Vox e non lo sai”. Si vede la mano di Steve Bannon che da aprile, infatti, dà appoggio al partito di Abascal. Bannon non è l’unico degli alleati internazionali di Vox: Marine Le Pen, a cui Abascal si ispira, si è immediatamente congatulata con Abascal per il risultato elettorale in un tweet.
Il ricettario di Vox è bene o male lo stesso di quello di tutti i partiti di estrema destra esistenti: stop all’immigrazione e deportazione dei migranti; costruzione di un muro a Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in Marocco; proibizione dell’insegnamento dell’Islam nelle scuole; chiusura delle moschee; opposizione all’ingresso della Turchia nell’UE; indurimento del Codice Penale; appoggio alla famiglia e alla vita; opposizione alla legge di uguaglianza di genere e alle misure contro la violenza di genere; condanna della globalizzazione; lotta alle elite corrotte; tagli ai privilegi; lotta alla corruzione; rivendicazione dei valori tradizionali (la caccia e i tori, ad esempio); recupero della sovranità del paese in tutte le politiche, compresa quella estera; forte limitazione dei poteri dell’UE, ecc. Il tutto ricoperto da una spessa cappa di ultranazionalismo spagnolo, che si fonda su un nazionalcattolicesimo autoritario e non si vergogna, ma al contrario rivendica la dittatura franchista, e richiede mano dura contro l’indipendentismo catalano, oltre che difendere che Gibiliterra torni ad essere spagnola. Vox chiede la derogazione della legge delle Memoria Storica approvata da Zapatero e che Sánchez sta rafforzando – con l’esumazione del cadavere di Franco dal Valle de los Caídos – e la ricentralizzazione dello stato con la fine delle autonomie regionali e il commissariamento duraturo della Catalogna. Dal punto di vista delle politiche sociali, infine, Vox rappresenta bene la copia spagnola del trumpismo o del salvinismo: meno tasse e favori alle imprese dietro a una retorica che dice di difendere i poveri. “Sono apertamente neoliberisti”, afferma lo storico Diego Díaz: “Vox è José María Aznar che dice quello che realmente pensa”.
Non a caso il lemma di Vox è “España para los españoles”, ossia il Make America Great Again trumpiano tradotto in spagnolo. Una retorica martellante fatta di slogan semplici e con un linguaggio grezzo che sdogana i più bassi impulsi: Abascal ha dichiarato a più riprese che non si vergogna se lo tacciano di razzista, fascista, omofobo e misogino. Non bisogna vergognarsene, dice il leader di Vox. Il capolista alle elezioni andaluse, Francisco Serrano, ex magistrato inabilitato per dieci anni per aver cambiato unilateralmente la sentenza di affidamento di un figlio a genitori separati, parla senza mezzi termini di “jihadismo di genere” e del pericolo del “femminismo radicale”. C’è molto dell’onda nera che ha colpito l’Europa, ma ci sono anche della peculiarità. Secondo Carlos González Villa, esperto di estrema destra a livello europeo, “Vox è un partito chiaramente misogino: più che con i partiti di estrema desta del nord Europa ci sono analogie con quelli dell’Europa dell’Est che rivendicano l’esperienza fascista del passato”. Gli altri nuovi eletti sono totalmente sconosciuti, ma i loro profili sono chiari: Luz Belinda Rodríguez è un ex militare e ex vigilante, Benito Morillo è un ex poliziotto. E Javier Ortega, il segretario generale del partito, è anche lui un ex membro delle forze di élite dell’esercito spagnolo.
La Spagna inizia a virare a destra. La strada per il cambiamento difeso da Podemos e dalle sinistre è tutta in salita. E il governo Sánchez può avere i giorni contati. A maggio avremo la risposta definitiva sul futuro del paese iberico. Prepariamoci.
[*] Ricercatore presso l’Instituto de História Contemporânea dell’Universidade Nova de Lisboa e professore presso l’Universitat Autònoma de Barcelona – @StevenForti
Questo articolo è stato pubblicato da Micromega Online il 3 dicembre 2018

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