di Massimo Bray, direttore generale della Treccani
Cosa dice la nostra Costituzione? In che termini vengono enunciati i principi che la ispirano, i diritti che tutela, i doveri che impone, le norme fondamentali che regolano le dinamiche della vita democratica e i rapporti tra i soggetti, singoli individui e organizzazioni, che danno corpo e voce alle esigenze, ai desideri, alle ambizioni di un intero popolo? Quali sono, in sostanza, le parole della Costituzione italiana?
Non sono domande retoriche, riflessioni destinate a un gruppo ristretto di studiosi ed appassionati, distanti dalla quotidianità di ciascuno di noi. Sono invece interrogativi più che mai attuali in un tempo in cui i cittadini si allontanano dalle istituzioni, il rispetto delle regole pare non essere più un principio inviolabile e le congetture si spacciano per conoscenza.
Riscoprire le parole della Costituzione, il loro significato più pieno e profondo, significa ritrovare lo spirito dei padri costituenti, il desiderio di rinascere di un paese prostrato dalla guerra ma fiducioso di poter costruire su basi solide un futuro di democrazia, libertà, progresso economico e avanzamento sociale nel segno della solidarietà, della dignità, della valorizzazione del lavoro e dei diritti sociali, della tutela dei beni comuni e dell’ambiente. Troviamo perciò nel testo costituzionale parole importanti, ricche di significato e allo stesso tempo semplici, comprensibili a tutti perché la Costituzione parla a ciascuno di noi, a ognuno dei membri della comunità nazionale di cui è norma e faro.
Tra le tante parole della Costituzione ce ne sono due che mi sono particolarmente care. La prima è “eguaglianza”, in quella duplice declinazione – formale e sostanziale – che ne dà l’articolo 3 della Carta, dove al riconoscimento e alla garanzia di tutela della parità di trattamento di fronte alla legge “senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” si affianca l’impegno solenne della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono al principio di uguaglianza astrattamente enunciato di trasformarsi in realtà.
Spesso però mi capita di chiedermi: stiamo davvero tenendo fede a questo impegno? In un paese che registra il più basso tasso di mobilità sociale in Europa e in cui 7,3 milioni di persone, il 12,1% della popolazione, versano in condizioni di grave deprivazione materiale possiamo davvero dire che l’azione di contrasto alla crescita delle diseguaglianze e al loro perpetuarsi sia in atto ed efficace? Quanto si sta facendo per rimuovere quegli “ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”?
Su questo fronte non solo c’è ancora molto da fare ma – ed è ciò che più mi preoccupa – temo si sia persa di vista l’importanza che la questione ricopre nel percorso di costruzione di una comunità nazionale forte, coesa e solidale. In questo credo stia la sfida più difficile, ma ineludibile, di ogni forza che voglia dirsi di sinistra.
Vi è poi una seconda parola, tra quelle della Costituzione, su cui mi capita spesso di tornare a riflettere e che costituisce, insieme a “cultura”, il fulcro dell’articolo 9: “paesaggio”. Parlando di paesaggio il testo costituzionale recepisce una nozione moderna e avanzata di ambiente, che non si limita a ricomprendere gli elementi naturali che lo compongono – suolo, acqua, atmosfera – ma si estende anche a tutti quei beni culturali e artistici, materiali e immateriali che sono testimonianza dell’azione millenaria dell’uomo in armonia con la natura. Il paesaggio italiano rappresenta quindi, nelle intenzioni dei padri costituenti, un complesso “vivo”, intessuto di storia, di testimonianze archeologiche, ma anche ricco di una biodiversità unica e fragilissima, che doveva fin dalle origini della Repubblica divenire primario impegno di ogni cittadino tutelare.
Purtroppo, soprattutto a partire dagli anni del boom economico, il paesaggio italiano è stato invece messo a repentaglio dal consumo scellerato di suolo, dalle devastazioni perpetrate dalla speculazione edilizia, dal proliferare di ecomostri e di aree suburbane degradate. Occorre ora trovare un nuovo equilibrio, una nuova relazione, più virtuosa, tra l’azione dell’uomo e un contesto ambientale che non può essere ridotto a vuota cartolina. Bisogna lavorare affinché il paesaggio di domani sia un sistema integrato in cui tutti i settori economici collaborano contro il degrado, per il decoro dei centri urbani, per la protezione dell’ambiente dall’inquinamento e dalla cementificazione, per un’attività produttiva più pulita, per una cittadinanza attiva, per una civiltà della conoscenza che si opponga alla dispersione della memoria collettiva, alla disgregazione dei legami sociali, all’abbandono del patrimonio ambientale e culturale, e che anzi faccia della cura dei beni comuni il caposaldo su cui costruire una nuova idea di comunità.
Questo testo, con il titolo “Le parole della Costituzione” sarà il titolo della lectio magistralis di Massimo Bray alle Giornate del lavoro 2018 organizzate a Lecce dalla Cgil dal 13 al 16 settembre. È stato pubblicato dall’Huffington Post il 12 settembre 2018