Un terremoto spacca in due l'Italia e travolge il centrosinistra: finisce un'era, è tutto da rifare

6 Marzo 2018 /

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di Pietro Spataro
Se si guarda la mappa elettorale dell’Italia si capisce subito che è avvenuto un tremendo terremoto politico. Al Centro Nord domina il colore azzurro del centrodestra a trazione leghista con qualche piccola macchia rossa in Toscana e in Emilia Romagna. Al Sud dilaga il colore giallo del Movimento Cinque Stelle. Il voto del 4 marzo spacca in due il Paese e consegna la vittoria alle due forze politiche più populiste, antisistema e antipolitiche: la Lega di Salvini e il M5S di Di Maio. Quello che fino a qualche anno fa sembrava impossibile è accaduto.
Siamo in presenza di una vera e propria crisi di sistema. No, non siamo davanti a normali vittorie e sconfitte elettorali. Non è, quello di oggi, uno dei tanti passaggi di quell’alternanza di governo che è il cuore dei sistemi democratici occidentali. E’ molto di più. E molto più grave. Finisce un’epoca e finisce nel modo peggiore. Travolgendo quel che restava dei partiti tradizionali e degli assetti politici. Archiviando un modo di intendere la funzione delle forze politiche e il modo di esercitarla.
Distruggendo equilibri, sensi di responsabilità, aspirazioni di governo e riformismi declinati in tutte le formule possibili e immaginabili. Abbattendo un centrosinistra che è stato incapace – in tutte le sue componenti, dal Pd a Leu – di capire il Paese, di interpretarne gli umori, di stare dentro la complessità sociale e di dare una credibile risposta ai drammi che vivono gli italiani.

Per Renzi è un’ulteriore, clamorosa e inappellabile sconfitta che si spera porti – tra annunci e smentite – alle dimissioni. Ma è una sconfitta anche per Grasso, Bersani e D’Alema che a malapena riescono a raggiungere la soglia del 3%. Per il centrosinistra è un cataclisma.
In un lampo, quindi, ci siamo trovati in un altro mondo. E il guaio è che ci siamo finiti senza che ce ne rendessimo conto. E’ uno choc che ricorda quello del 1994, quando un Berlusconi che sembrava più una macchietta che un vero uomo politico e che tutti, a sinistra, davano per perdente, riuscì a sbaragliare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto conquistando un’egemonia che con qualche interruzione ha mantenuto per un ventennio. Ora anche Berlusconi esce sconfitto e si può dire che si apre un’altra fase – quanto lunga si vedrà – che ha il volto di Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Questa Italia divisa in due, infatti, si è lasciata affascinare da una parte dal sovranismo e dal razzismo del leader leghista e dall’altra dal neoassistenzialismo e dal protezionismo sociale della demagogia grillina. Al Nord ha prevalso l’odio per gli immigrati, la richiesta securitaria, la difesa della razza e della ricchezza. Al Sud ha dominato il bisogno di sostegno sociale provocato da una crisi che ha lasciato ferite profonde con tassi di disoccupazione elevatissimi e con pericolose sacche di disagio. La paura dell’immigrato ha premiato Salvini, la paura della povertà ha premiato Di Maio.
Questa è l’Italia del 5 marzo 2018. E con queste novità bisogna fare i conti con realismo, con coraggio, con la consapevolezza della gravità della crisi. La domanda oggi è questa: e ora? E ora che succede sul fronte del governo? Quali sono i possibili scenari? E che succede nel centrosinistra? In che modo può cercare di rimettersi in piedi per evitare la dissoluzione?
Sul governo la partita, come si sa, è nelle mani di Sergio Mattarella. Nessuno vorrebbe essere al suo posto perché il rebus che ha di fronte è davvero di difficile soluzione. Il voto sancisce la sconfitta di una delle ipotesi che avevano appassionato i commentatori politici: la grande coalizione tra Renzi e Berlusconi. E sancisce anche la smentita di un’altra ipotesi: quella del reincarico a Gentiloni per formare un governo di scopo di grande coalizione per fare la riforma elettorale. Nonostante la sua affermazione personale nel difficile collegio di Roma, è complicato che il premier possa giocare questa partita dopo il clamoroso tonfo del Pd.
E quindi? Quindi nessuno dei competitor ha la maggioranza. Al centrodestra, che come coalizione ha il maggior numero di voti percentuali, alla fine mancherebbero circa sessanta seggi alla Camera e una ventina al Senato. Al M5S, che è il primo partito, mancherebbero invece circa ottanta seggi alla Camera e una quarantina al Senato. Il centrosinistra, come è evidente, è completamente fuori gioco. Facendo lo slalom tra questi numeri si potrebbe trovare una soluzione. Tenendo conto che il M5S è comunque il perno del sistema e, se non si chiude nell’isolamento, può trattare per avere il sostegno che manca per fare il governo.
Due i possibili fronti per Di Maio: o la Lega di Salvini o il Pd. Due strade difficili: la prima ha come prezzo la rottura del centrodestra, la seconda la completa smentita della linea politica dei democratici e di tutta la loro campagna elettorale. Con questi numeri sembra comunque impossibile l’ipotesi di un governo tecnico o di scopo.
Per quanto riguarda il centrosinistra, diciamo che è tutto da rifare. Questo voto segna la pesante sconfitta del renzismo e del suo tentativo di attrarre i voti di centrodestra e quelli grillini con un populismo light e liberista. Si era capito il 4 dicembre del 2016 che quella storia si era chiusa, ma l’ostinazione di Renzi non ha fatto altro che peggiorare la situazione fino a condurre il Pd a livelli bassi mai raggiunti. Ma la sconfitta non si ferma a Renzi. Escono battuti, con un risultato pessimo, anche Grasso, Bersani, D’Alema. Il loro tentativo di attrarre il voto in uscita dal Pd e quello di chi si era ritirato nell’astensione è completamente fallito. Il fatto che Liberi e Uguali abbia schierato in questa battaglia un ex segretario, un ex premier, un ex capogruppo e i presidenti di Camera e Senato rende il risultato ancora più deludente. Diciamo che l’esperimento di Leu può considerarsi chiuso.
Ora comincia un’altra storia nel centrosinistra. C’è bisogno di ricostruire un grande partito che sappia interpretare i bisogni del Paese in chiave di uguaglianza e solidarietà. Che sappia inventare un nuovo modo di fare politica, lontano dai personalismi, dai burocratismi e dai bizantinismi. C’è bisogno di modernità e di innovazione. C’è bisogno di identità nette. C’è bisogno di parole chiare. C’è bisogno insomma del centrosinistra del prossimo ventennio. Non sarà facile, ma questa è la sfida. Cercare di non essere vissuti come lontani e assenti. Non basta un maquillage, serve una vera ricostruzione dalle fondamenta. Per farlo servono leader nuovi. Quelli che c’erano, a cominciare da Renzi, hanno chiuso, in modo pessimo, un ventennio e non potranno essere ancora i protagonisti del futuro.
Questo articolo è stato pubblicato da StrisciaRossa.it il 5 marzo 2018

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