di Sergio Caserta
Tempo d’estate, tempo di decimali. Ha iniziato Pierluigi Bersani, narratore insuperato di parabole a indicare nel 17.5, la soglia di ripristino del diritto ad essere reintegrati nel caso di licenziamento senza giusta causa, una battuta non proprio felice. La mezza scelta è un po la cifra sulla quale si muovono le compagne e i compagni (si può dire) di art. 1 MdP.
Un piede dentro ed uno fuori il PD, sguardo strabico per non lasciare “la ditta” totalmente al suo destino. Comprensibile, ci mancherebbe, certi addii non sono mai facili e si sa che in amore gli strappi fanno molto male. Questa gestione ondivaga e sinusoidale però, determina uno “stop and go” che può essere molto dannoso alla credibilità di un’alternativa seria al renzismo e mettere a rischio il consolidamento del già difficile raggruppamento di un’area politica che esiste ora più frammentata che mai.
Si dice di voler realizzare un progetto di lungo termine ma si guarda alle prossime elezioni, sarebbe bene uscire dall’ambiguità, o l’una cosa o l’altra. Se è un’alleanza elettorale, si dica chiaramente e si lavori esclusivamente per quella, significa non mettere in gioco l’identità delle forze politiche e dei movimenti che resteranno con una loro precipua autonomia, se mai si lavori per una legge elettorale che favorisca l’affermazione di un quarto polo e cosi sia, non c’è bisogno in questo caso d’identificare il leader perché l’attuale legge elettorale non lo richiede.
Se invece si ritiene che è necessario, io lo penso, il progetto di una nuova sinistra, ancorata al mondo del lavoro e ai valori del socialismo democratico, come emerge chiaramente in tutta’ Europa e oltre Manica, con l’affermazione di leadership dichiaratemene di sinistra che stanno raccogliendo notevoli consensi, allora occorre andare ai fondamentali, studiare un progetto di lungo termine, mettere al lavoro le intelligenze per formulare l’ipotesi di un nuovo soggetto politico, mettere da parte identità vetuste e ritualità spente, per animare un progetto di ampio e lungo respiro che preveda anche una leadership in grado di unire le forze, possibilmente espressa attraverso un processo partecipativo.
Ciò che non si può fare, come purtroppo spesso avviene nel nostro logoro sistema politico, è galleggiare in mezzo senza affrontare bene ne l’uno ne l’altro corno del problema; decidere di non decidere e aspettare il secondo propizio per la mossa azzeccata campando come sempre alla giornata. È questa visione che mi fa pensare che le belle speranze di Art.1 siano ancora solo vaghe promesse e che dietro le annunciazioni di sconvolgenti novità, ci sia un po troppa “minestra riscaldata”. D’altro canto osservando, almeno a Bologna, l’antropologia politica che affiora dai momenti pubblici, è più l’odore de ja vù che il profumo di primavera a spargersi. Non che i veterani di tante battaglie siano inutili alla pugna, tutt’altro, piuttosto sono i già noti e rivisti “lanzichenecchi” che si offrono in cambio di moneta che corrono il rischio di piombare le ali al progetto.
Quelli che prima, se mai, di combattere, prenotano la prossima poltrona su cui poggiare le avvezze natiche e quelli che fanno di tutto perché nessuna scelta li costringa a mettere in discussione la carriera. Questa fauna politica, di cui il mondo della sinistra è variamente popolato, ha lo scopo, ha sempre avuto lo stesso, d’impedire ogni possibile crescita di un soggetto politico pensante e soprattutto autonomo dai soliti poteri che dominano lo scenario locale. Bologna è paradigmatica di un consociativismo del potere burocratico inossidabile che pur di auto conservarsi è disponibile a lasciarsi dirigere da una schiera di mediocri.
Poi si vedono i risultati alle elezioni dove ormai tra fuga dal voto e voto contrario, resta ben poco da difendere del glorioso passato. Perciò se la montagna partorisce il topolino e da piazza Santi Apostoli ( che già non era molto grande) si finisce in una sacrestia da oratorio, meglio continuare felicemente a coltivare melanzane e zucchini che almeno i profumi, i colori e i sapori sono autentici.
Ps: il Brancaccio è stato un momento fecondo di incontro tra diversi, nonostante intemperanze e limiti, non sottovalutiamo che una parte importante della società e degli elettori ha bisogno di sentire che le forze migliori della cultura siano vere protagoniste del cambiamento.