di Antonio Bonomi
Non tira un buon vento per la disciplina urbanistica nella Regione Emilia-Romagna, ammirata un tempo in Italia e all’estero. Quella che era uno dei vanti della nostra storia recente con la tutela dei Centri storici, l’edilizia economica e popolare trainante, l’eccellenza quantitativa e qualitativa delle opere di urbanizzazione, la tutela del paesaggio collinare e costiero, sta manifestando visibili pecche. Nello spreco di suolo fertile e permeabile siamo passati ai primi posti nella classifica nazionale. L’inquinamento da gas e micropolveri affligge, ai massimi in Europa, la nostra striscia di pianura.
Il nodo dei trasporti pubblici e privati presenta criticità e inefficienze e a fronte di una smagliante Mediopadana di Calatrava la stazione Centrale di Bologna rimane al palo, orfana perfino di un Servizio Ferroviario Metropolitano passante. La pianificazione territoriale di area vasta, che fino a poco fa era una rete di avanzate competenze, si è liquefatta con l’inconsulto scioglimento delle Province e la stasi delle Unioni di Comuni.
Da ultimo, la presentazione della proposta di legge della Giunta Regionale sull “Uso e Tutela del Territorio” è accolta da una bordata di biasimo della cultura urbanistica. Qui mi sembra opportuno fare un po’ di glossario critico sui diversi tipi di Piani Urbanistici previsti dalla legge vigente e dal nuovo testo.
La legge urbanistica regionale vigente è la 20/2000 che prevede:
- PTR Piano Territoriale Regionale
- PTCP Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
- PSC Piano Strutturale Comunale, redatto anche dai Comuni in forma associata
- POC Piano Operativo Comunale (o Piano del Sindaco, valido 5 anni)
- PUA Piani Urbanistici Attuativi di iniziativa pubblica o privata (anche in variante al POC)
La proposta della Giunta per la “Disciplina Regionale Uso e Tutela del Territorio” invece ha:
- PTR Piano Territoriale Regionale
- PTM Piano Territoriale Metropolitano (solo Metropoli Bologna)
- PTAV Piano territoriale di Area Vasta (Associazioni di Comuni con delega della Regione)
- PUG Piano Urbanistico Generale, redatto dal Comune o da Associazioni Intercomunali
- Accordi Operativi proposti dai Privati al Comune in applicazione del PUG
- Accordi Operativi proposti dal Comune ai Privati in applicazione del PUG
- Piani Attuativi Proposti dai Comuni per aree importanti a scopo di Accordi Operativi
In sostanza l’attuazione di una sorta di Piano Regolatore tradizionale avverrebbe in base a singoli atti concordati fra Sindaco e imprese o proprietà immobiliari, ciascuno con proprie pattuizioni e con premi che possono derogare anche dalle norme di regolamenti e dall’obbligo di realizzare o contribuire alla realizzazione di opere di urbanizzazione ora obbligatorie.
Il fatto è che l’approvazione, ai sensi della vigente L. R. 20/2000, degli strumenti urbanistici Comunali “a due stadi” PSC e POC, malamente gestita e guidata, ha portato alla colata nelle campagne attorno ai centri abitati e alle aree industriali di una quantità di previsioni immobiliari molto superiore al fabbisogno e in contraddizione con lo stesso art. 2 della legge (- f. prevedere il consumo di nuovo territorio solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione.) La crisi in atto da qualche anno ha evidenziato tale contraddizione espressa platealmente da cantieri fermi, dall’immobilità dell’invenduto, dai tanti cartelli vendesi che sbiadiscono al sole di quest’estate rovente.
Tutto tace ora, sulla nuova proposta di legge la cui discussione è rinviata all’autunno. Persino i costruttori, che ne sembravano gli ispiratori con le cosiddette “semplificazioni”, gli “accordi” facenti funzione di Piani, le “deregolazioni e premialità” a loro favore, non spingono per una rapida approvazione. Temono che vengano rimesse in discussione le promesse di migliaia di appartamenti da costruire, ottenute dai Sindaci nella precedente fase e sperano nell’arrivo-della-cavalleria a loro favore, la ripresa del mercato immobiliare e dei mutui che permetta di sbolognare un po’ più del costruito che gli è rimasto sul gobbo.
Per questo una defatigante discussione di emendamenti tesi a limitare-il-danno della nuova disciplina regionale, che salva tutto il già accordato fra Sindaci e proprietà immobiliare e addirittura li premia con l’aggiunta del 3% e altri doni in più su area agricola, giova a chi ha ancora speranze di speculazione e ai Sindaci assetati di oneri in vista delle incombenti campagne elettorali.
È anche per questo che alcuni cultori della materia insistono sulla “non emendabilità” della proposta di legge della Giunta: la legge vigente, la 20/2000 non ha difetti tali da essere inservibile e risponde meglio, con la piramide delle pianificazioni di varia scala, al controllo democratico contrapposto. Inoltre contiene un elemento insostituibile per la chiarezza delle modalità di equilibrata crescita del tessuto urbano: il POC, definito anche piano-del-Sindaco, da sottoporre al Consiglio e da esporre ai cittadini, in luogo dei diversificati ed a-temporali “accordi” ad-immobiliarem previsti dalla nuova disciplina.
Certo, anche la 20/2000 necessita di emendamenti per adattarla al mutato quadro “di area vasta” causato dalla sparizione delle Province e dalla nascita stenta della unica Città Metropolitana Bolognese. Necessita anche di una migliore definizione delle competenze Regionali: anzitutto il Piano Territoriale Regionale che deve essere adottato al più presto per fornire la base conoscitiva alla ricomposizione di tutta la Pianificazione dell’Emilia-Romagna come un vero e proprio PUNTO ZERO.
La Regione è infatti titolata ad assumere la guida del rilancio della pianificazione urbanistica in base alle competenze che le sono assegnate a vario titolo da varie leggi, a partire dal paesistico e dei beni ambientali e storico artistici per finire alle misure di salvaguardia di cui al Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380-2001 art.12).
Impegnandosi alla redazione immediata del PTR, come carta unica del territorio, comprensiva di tutti i piani settoriali pre-vigenti, può essere ricostituita la rete delle competenze territoriali di area vasta. Il PTR adottato, in salvaguardia, può definire i perimetri delle aree agricole fertili e permeabili, come indicate dai rilievi satellitari, indipendentemente dalle destinazioni di zona dei Piani vigenti, PSC e POC. Nello stesso PTR verranno identificati i perimetri urbanizzati, assegnando a ciscuno le necessità di integrazione demografica e delle opere di urbanizzazione.
Spetterà ai Comuni, ai privati e alla partecipazione dei cittadini, mediante osservazioni, segnalare ed evidenziare quali aree siano da aggregare o meno all’urbanizzato in forza di accordi regolarmente stipulati e concordare con le proprietà e la Regione misure per evitare danni economici o funzionali conseguenti al cambio di destinazione.
Solo in tal modo si può porre fine allo stillicidio dello “spreco di luogo” che ci affligge e che non può essere affidato solo alle smanie di privatizzazione della attuale dirigenza della Regione e della maggioranza Comuni. Questa battaglia consiliare, se appoggiata da un forte movimento di opinione, può allargarsi, secondo logica e ragione, anche oltre i limiti dei gruppi consiliari e dare impulso alla rinascita della disciplina urbanistica Emiliano-Romagnola.
Un ultimo e non secondario aspetto: ci sarà bisogno di nuove, fresche competenze, per riorganizzare la rete di conoscenza dispersa: quale migliore occasione per giovani tecnici e ricercatori, ora esposti alla disoccupazione, alla sotto-occupazione e alla migrazione con l’investimento su di loro da parte del “pubblico” per dare impulso al livello culturale, tecnico-scientifico, di impresa e di partecipazione, delle nostre città e della loro languente economia nella crisi planetaria che incombe.