di Tomaso Montanari
Il testo che segue, pubblicato sul sito del consigliere regionale dell’Altra Emilia Romagna Piergiovanni Alleva, è la prefazione all’instant book Consumo di luogo – Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna (Pendragon). Tomaso Montanari, storico dell’arte, docente universitario ed editorialista, sarà a Bologna il prossimo 16 giugno (a breve maggiori informazioni) per presentare il libro e a discutere di legislazione urbanistica regionale e nazionale.
Nelle pagine dell’instant book Consumo di luogo è Cassandra che parla. Nel ciclo dei poemi omerici, la principessa troiana ha un terribile dono: vede in anticipo i disastri futuri, e ha la forza di descriverli a tutti. Cassandra dice la verità: è lei che prova, inutilmente, a convincere i suoi concittadini a non portare dentro le mura di Troia il cavallo di legno lasciato dai greci sulla spiaggia.
Per questo Cassandra è un archetipo dell’intellettuale fedele alla propria missione: «Be’, sai, Cassandra ha una certa fama. Non è poi così male soccombere combattendo come l’ultima persona che dice una verità spiacevole. La verità spiacevole, nella maggior parte dei luoghi, è di solito che ti stanno mentendo. E il ruolo dell’intellettuale è tirar fuori la verità. Tirar fuori la verità, e poi spiegare perché è proprio la verità» (Tony Judt, intervistato da Timothy Snyder, Novecento, 2012).
In questo caso la menzogna è molto semplice: la regione Emilia-Romagna presenta il suo progetto di legge sulla «tutela e l’uso del territorio» come uno «stop all’espansione urbanistica, in nome della rigenerazione urbana e della riqualificazione degli edifici»: ma in questo libro un cospicuo numero di autorevoli cassandre dimostrano che non è vero. Tirano fuori la verità, e spiegano perché è proprio la verità.
Che è questa. Non solo la legge non diminuirà affatto il consumo di suolo, ma essa consente, e anzi facilita, una doppia, drammatica distruzione: quella del passato e quella del futuro, simultaneamente divorati da un presente senza speranza. Con una drammatica inversione di marcia che porterebbe l’Emilia-Romagna dalla testa alla coda della civiltà, i centri storici non saranno più considerati organismi da tutelare nella loro organicità, ma mosaici nei quali alcune tessere potranno essere «rigenerate»: vocabolo ambiguo e pericoloso, sospeso tra il miracolistico e l’eugenetica. Di fatto vuol dire: porte aperte alle speculazioni sullo spazio pregiato, magari affidate alle archistar e certamente senza alcun profitto sociale.
E, cosa se possibile ancor più grave, i comuni verrebbero programmaticamente espropriati della facoltà di decidere il futuro del loro territorio: una possibilità interamente conferita ai privati. Dalla (pessima) urbanistica contrattata si passerebbe così alla (esiziale) urbanistica privatizzata: esattamente il contrario di ogni idea di piano.
Non solo: il contrario di ogni idea di democrazia. Perché dichiarando, di fatto, la sovranità del mercato sulla città delle pietre si stronca ogni possibile futuro della civitas, la città dei cittadini sovrani, gli attori indispensabili della democrazia. Questa perversa legge emiliana si iscrive in un contesto più ampio: perché sono innumerevoli i tentativi recenti di recidere il nesso tra volontà popolare e pianificazione territoriale e urbanistica.
Basti qua ricordare la riforma Madia (che ha espulso ciò che resta del sapere tecnico delle soprintendenze dal meccanismo della conferenza dei servizi) e la riforma costituzionale felicemente affondata il 4 dicembre del 2016 (che accentrava a Roma decisioni cruciali per il futuro di territori che venivano espropriati della loro autodeterminazione). Ora a provarci non è il governo centrale, ma un governo regionale: e non quello di una regione qualunque, ma di quella che un tempo fu lume e guida di tutto il resto del Paese.
Prima che la legge emiliana venga approvata e inizi a devastare il territorio, i massimi esperti di territorio e di città stanno dando l’allarme: e lo fanno con queste pagine. Un grande storico dell’arte, Erwin Panofsky, ha scritto che chi ha il privilegio di abitare nella torre d’avorio degli studi deve rammentare che «la torre dell’isolamento, la torre della “beatitudine egoistica”, la torre della meditazione – questa torre è anche una torre di guardia. Ogni qualvolta l’occupante avverta un pericolo per la vita o la libertà, ha l’opportunità, o anche il dovere, non solo di segnalare “lungo la linea da cima a cima”, ma anche di gridare, nella flebile speranza di essere ascoltato, a quelli che stanno a terra».
Di fronte all’enormità della posta in gioco – la nostra sopravvivenza fisica in territori devastati dal cemento, e la sopravvivenza della nostra democrazia – si potrà ritenere che la parola sia una difesa trascurabile. Si sbaglierebbe: perché questo libro dice la verità, e lo fa in modo documentato e autorevole. E il messaggio è chiaro: non portate il cavallo di legno di questa legge dentro le mura della città. O la città sarà messa a ferro e a fuoco.
Come ha scritto Hannah Arendt, «La verità, anche se priva di potere, e sempre sconfitta nel caso di uno scontro frontale con l’autorità costituita, possiede una forza intrinseca: qualsiasi cosa possano escogitare coloro che sono al potere, essi sono incapaci di scoprire o inventare un suo valido sostituto. Persuasione e violenza possono distruggere la verità, ma non possono rimpiazzarla».