Urbanistica in Emilia Romagna: che fare?

31 Marzo 2017 /

Condividi su

di Antonio Bonomi
Con il convegno Fino alla fine del suolo del 3 febbraio 2017, promosso in Regione dai gruppi consiliari dell’Altra Emilia Romagna e Movimento 5 Stelle si è concretizzata la bordata di critiche alla prima stesura della “bozza del progetto di legge contenente la Disciplina Regionale sulla Tutela e l’uso del territorio”. Illustri studiosi e conoscitori della materia hanno rilevato la sostanza profondamente regressiva di tale testo rispetto alla dottrina e alla prassi finora in vigore.
Dove era sancito il pieno diritto delle assemblee elettive degli Enti Locali, Comuni e loro Unioni, Province e Regione di conformare attraverso i Piani Urbanistici il territorio con i suoi vincoli, le aree urbanizzate e urbanizzabili, le infrastrutture e la città pubblica, si dovrebbe ora passare a un regime di singoli accordi nel quale le trasformazioni d’uso di immobili dipendono dalla richiesta e dalla progettualità dei proprietari. All’Ente pianificante, totalmente subordinato a tali richieste e alle aspirazioni di profitto dei proprietari, rimarrebbe solo la verifica della rispondenza dei progetti a normative e vincoli, ma in fretta, per carità, per non tarpar le ali alle speranze di attuazione, pena il ricorso al fatto compiuto del silenzio-assenso.
Possiamo bene immaginare di chi siano le pressioni per arrivare a questa “controrivoluzione anti-piano”: la coorte della speculazione e della rendita, dei costruttori che ne approfitteranno e dei loro fiancheggiatori partitici. La rendita immobiliare, oligopolistica e parassitaria di per se, si continua a formare nella trasformazione da terreno agricolo e “naturale” in area urbanizzata edificabile, abitativa per i servizi e la produzione manifatturiera, nello “spreco di territorio”, riflettendosi poi anche nella “rigenerazione” dell’urbanizzato esistente.

Nel convegno sono state messe in risalto anche molteplici incongruenze e imperfezioni del testo diffuso, che ne limitavano l’efficacia, accentrando decisioni, complicando procedure, rinviando a “strategie” non meglio definite. La Giunta Regionale va avanti come un treno per la sua “nuova legge urbanistica” e presenta il 27 marzo una nuova stesura, con correzioni che ne aggiustano pecche marginali ma insistendo sui capisaldi, ed è su questi che bisogna battere per modificare “lo stato di cose corrente”. Questi capisaldi li voglio elencare suggerendo anche possibili azioni per emendarli e mitigarne i danni.
1. Spreco di territorio agricolo, fertile e naturale
È il punto debole dell’andazzo corrente: l’Emilia-Romagna è la quarta regione italiana per spreco di suolo, in percentuale, ma data la qualità e quantità della sua preziosa produzione agricola il danno è più devastante che in altre realtà, se si tiene conto anche della pessima qualità dell’aria che potrebbe essere migliorata espandendo la copertura vegetale, anche in prossimità degli abitati. Il suolo agricolo e permeabile è stato tanto devastato, ridotto e minacciato da assumere il carattere di “bene comune” da proteggere e tramandare alle future generazioni.
Nei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali e nei Piani Strutturali Comunali vigenti sono previsti ulteriori sprechi di aree agricole per insediamenti residenziali, produttivi o infrastrutturali. Lo spreco di nuove aree agricole deve essere contrastato ed arrestato immediatamente.
Ciò può avvenire solo attraverso l’adozione di un Nuovo Piano Urbanistico Regionale che, confermi i vincoli della previgente pianificazione territoriale e di area vasta e sottoponga alla salvaguardia ogni area agricola, naturale e permeabile, come risulta dalle immagini satellitari.
Spetterà ai Comuni e alla Città Metropolitana di Bologna la formulazione di osservazioni che documentino l’interesse pubblico di eventuali modifiche ai suddetti vincoli, l’assenza di alternative su aree già urbanizzate e l’impegno ad affrontare eventuali contraddizioni nel Piano Generale Comunale. In ogni caso le trasformazioni di area agricola, naturale o permeabile dovrebbero essere rese possibili solo per motivazioni di pubblica utilità, per impianti pubblici o per aree che rimangano pubbliche ed inalienabili, anche se in concessione in diritto di superficie.
2. Degrado del paesaggio urbano e rurale e dei beni ambientali e storico artistici
La dissennata urbanizzazione ha come conseguenza il degrado del paesaggio agrario e naturale e l’obsolescenza del patrimonio di testimonianze storico artistiche in esso racchiuse. I vincoli e le strategie del Piano Paesistico Regionale e le metodologie della normativa di tutela dovranno essere incluse nel Nuovo Piano Urbanistico Regionale.
Le opere di conservazione e ripristino saranno coordinate, secondo il dettato della Legge Regionale, dalla Commissione Regionale per il Paesaggio ma occorrerà mettere in campo analoghe strutture a livello Comunale/Intercomunale e Metropolitano, non aridamente burocratiche ma coinvolgenti la partecipazione dei cittadini.
3. Strumenti operativi comunali
Nella proposta di legge regionale urbanistica gli accordi con i singoli privati proprietari di immobili non sono più inquadrati in un Piano Operativo Comunale, poliennale (già soprannominato “piano del Sindaco”). Il che rende impossibile sia una valutazione qualitativa e quantitativa delle trasformazioni in atto sul territorio, sia una cosciente partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni.
È necessario ristabilire la pratica di tali Piani Operativi, da coordinare con i Programmi poliennali di investimento dei Comuni e da sottoporre a procedure partecipative pubbliche di Osservazione e Opposizione.
4. Contrasto della dispersione insediatavi
Dalla premessa alla Proposta di legge regionale urbanistica risulta che la dispersione di insediamenti nel paesaggio rurale costituisce un handicap per l’equilibrio della gestione dei servizi e il governo del territorio, con gravi oneri per il trasporto pubblico e per l’equa distribuzione della qualità della vita.
Nel Nuovo Piano Urbanistico Regionale dovrà essere esplicitata una nuova classificazione degli abitati esistenti e delle aree urbanizzate per rango-dimensione e le variabili strategiche per contrastare la disordinata diffusione di urbanizzazioni critiche ed onerose garantendo, d’altra parte, pari qualità alle aree a rischio di marginalizzazione.
5. Città pubblica ed opere di urbanizzazione
Una delle principali conquiste della prassi urbanistica Emiliano-Romagnola del secolo scorso fu la attribuzione paritaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria agli interventi di costruzione. Ciò è messo in crisi ora al concetto di “dotazioni urbane”, non più equamente distribuite, dato che i diversi tessuti urbani ereditano dai piani del passato diverse percentuali di dotazione. È indispensabile, nei Piani Urbanistici Generali, un monitoraggio di tali dotazioni, sia per definirne il “rango” che per una corretta attribuzione del carico di servizi da realizzare o ripristinare, vista anche l’attuale scarsa possibilità di nuovi investimenti da parte della Amministrazioni. Andrà anche correttamente definita la qualità di “città pubblica” definendone spazi e servizi, ivi inclusa anche una quota di edilizia residenziale pubblica, indispensabile per garantire il “diritto di abitazione” sancito dalla legislazione sovranazionale.
6. Etica della Città e del Territorio
La rendita immobiliare, oltre che di per se parassitaria e oligopolistica, costituisce una “privatizzazione” dell’accumulazione di valori prodotti da generazioni nella città e nel territorio. La pianificazione urbanistica dovrebbe contrastarla sia mediante fiscalità ed oneri che con un demanio pubblico di aree inalienabili da concedere per la costruzione agevolata di alloggi, servizi o impianti produttivi. Le leggi che agevolano tali realizzazioni sono tuttora vigenti e garantite da sentenze della Corte Costituzionale che prescrivono trasparenza e pari opportunità nella loro applicazione. La Nuova normativa urbanistica Regionale dovrebbe favorire tale applicazione e contrastare la diffusa tendenza alla ri-privatizzazione.
Contemporaneamente dovrebbe esser sviluppato il pieno diritto delle assemblee elettive al governo del territorio e della “forma urbis” che, ormai, si tende delegare all’impresa o alla proprietà immobiliare
7. Rigenerazione urbana
Una politica urbanistica che ponga fine allo spreco di territorio richiede strumenti innovativi per il rinnovo del patrimonio edilizio esistente e i recupero degli immobili degradati o non più rispondenti alle esigenze statiche, energetiche e funzionali. La materia è ardua perché soggetta a deviazioni fra cui la “gentrification”, la mortificazione di esigenze e diritti sociali, lo spreco di risorse pubbliche. La legge Regionale dovrebbe lasciare margine a sperimentazioni di rapporti innovativi, ma sancire alcuni principi irrinunciabili quali il mantenimento del tessuto sociale preesistente, la garanzia di una adeguata dotazione di servizi pubblici, caratteri di abitabilità interna e all’intorno di qualità, pari a ciò che è previsto dalle normative generali vigenti, senza le deroghe specifiche che la bozza della Giunta promette di spargere a piene mani.
8. Partecipazione dei cittadini
La Nuova normativa urbanistica regionale dovrebbe non solo ristabilire le pratiche di osservazioni individuali e collettive che si erano innestate sulla applicazione della L. urbanistica del 1942, ma applicare pienamente nella pianificazione la L. R. 3/2010, inclusa la supervisione del “garante della partecipazione”. Ciò non solo in funzione di interessi e “diritti”, ma soprattutto per diffondere la cultura del territorio e del Piano, come diritto basilare dei cittadini abitanti, anche a tutela delle future generazioni.
A garanzia della piena rispondenza dei Piani alla normativa sarà necessario ristabilire una corretta linea di verifica-approvazione che superi la attuale regime di discrezionalità nelle scelte di Sindaci e Consigli. È compito delle forze politiche e dei movimenti stimolare e organizzare la partecipazione dei cittadini su base volontaria contrastando l’onda di perverse speranze che agita i sostenitori della speculazione e della rendita immobiliare e il loro, purtroppo diffusi, supporter all’interno elle Amministrazioni Locali.
9. Una nuova stagione dell’Urbanistica Emiliano-Romagnola
La formazione prioritaria del Piano Urbanistico Regionale, completo dei vincoli di cui al punto 1 è la condizione necessaria per un corretto e omogeneo riavvio della prassi di Piano in Emilia-Romagna, come lo fu la stagione, dopo la metà del secolo scorso, che ebbe funzione di guida e laboratorio per tutto il Paese.
Le riunioni di cittadini che si stanno svolgendo in molti centri della nostra Regione, organizzate da Liste Civiche, dal Movimento 5Stelle e da L’ALTRA Emilia-Romagna sono l’occasione per organizzare una articolata resistenza a questa proposta regressiva della Giunta Regionale e per contrapporvi una costruzione “dal basso” di una normativa e di politiche per la Nuova Stagione Urbanistica della Emilia-Romagna.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati