Bologna, cosa rimane di una città

3 Marzo 2017 /

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Sport a Bologna, non solo piscina
di Silvia R. Lolli
Dopo le promesse di una campagna elettorale sempre più improntata al marketing e alla comunicazione, la giunta di Bologna con il presidente della città metropolitana Merola, si sta manifestando nel suo vero look: scelte dall’alto e nessun ascolto dei cittadini. Del resto le leggi elettorali degli ultimi anni permettono il potere alle minoranze.
Il sindaco-presidente in questi momenti d’incertezza del Pd ci sembra soprattutto interessato a cercare casa, cambiando bandiera e riferimento correntizio, meno interessato a parlare dei problemi con i cittadini. Importante per tutti mantenersi i vitalizi mensili e non ultima la buonuscita che ormai ai neo pensionati pubblici arriva soltanto dopo più di due anni di fine lavoro e al sindaco, dopo il primo mandato, è stata sborsata subito e da tutti noi.
Tra i costi della nostra politica non possiamo poi dimenticare quelli devoluti allo staff della comunicazione, certamente più al servizio del primo cittadino e della giunta e meno per i bolognesi. La propaganda impera: Merola non si era ripromesso invece di vedere i cittadini tutti i martedì?
In questi primi mesi del solito corso politico in città si continuano a porre le basi per un futuro, ma quale? Idee politiche confuse e in contraddizione, per esempio da una parte Fico dall’altra un passante di mezzo devastante ed il consumo del territorio con le solite compensazioni. Idee comunicate alla cittadinanza a scelte già fatte nel puro stile di un potere decisionale poco partecipato, ma possibile con il marketing politico da impresa multinazionale che anche il vice sindaco, Lepore, sa fare molto bene.

In questi giorni ci basta leggere i giornali dopo la lettera di Merola inviata a Saputo per lo stadio Dall’Ara, ma i prodromi c’erano tutti quando si è deciso, anche senza una vera copertura finanziaria, di aprire il cantiere di un’opera che sarà senza fine come il People Mover, nell’ultimo giorno utile per cominciare i lavori. Siamo poi in attesa dell’approvazione di una legge regionale in cui l’urbanizzazione e la cementificazione del territorio continuano.
In campagna elettorale non si parlava di tavoli partecipati? Per ora è stata una partecipazione fatta a tutti i livelli solo con gli imprenditori, quelli che sono da anni veri e propri speculatori immobiliari, poco propensi al reale sviluppo territoriale e a fare investimenti reali; abbiamo costruttori, alimentaristi appunto immobiliaristi… Tutti in fondo chiedono soldi alla città, sia diretti sia indiretti, cioè territorio vergine o manufatti storici da gestire. E intanto per avere un bilancio comunale e metropolitano non troppo in deficit si svendono patrimoni pubblici dell’ex provincia, poi si danno manufatti pubblici in mano a gestioni private, vedi quelli per l’impiantistica sportiva.
Tutto ciò si fa in una città che non ha più nulla della città; Bologna è ormai solo un territorio sempre più cementificato e vuoto, in cui la popolazione residente diminuisce e viene ormai solo attraversato continuamente da auto e mezzi a gomma, e temporaneamente da studenti, turisti, lavoratori. Unica eccezione la nuova residenza di immigrati, che si ritrovano fra loro, quindi spesso si costruiscono dei ghetti. Dunque la Bologna odierna può essere definita una ex-città continuamente consumata.
In questa situazione la misera politica bolognese comunica le grandi opere; così diventa importante parlare dello Stadio e farne un’operazione di restyling, in verità tutto solo commerciale. Oppure, con un esborso comunale di 4 milioni di euro, la mitica bomboniera, il Paladozza, sarà ancora assalita da manutenzioni straordinarie dopo le ultime fatte, sempre a spese del Comune ma appannaggio di una società di basket poi risultata insolvente, pochi anni fa; allora si fece restyling togliendo la pista di atletica al coperto e le più utili panchine di legno per sedie già in parte rotte e lasciando gli spazi interni al marketing societario.
Si continua così con il complesso monumentale dello stadio comunale in questa opera di distruzione; la rigenerazione sarebbe un’altra cosa, intanto la intendiamo come mantenimento di cubature adibite alle stesse attività precedenti. Nel pensiero invece della politica attuale c’è solo l’idea di devolvere al privato, spesso appunto speculativo, spazi pubblici convertiti ad altre attività, quelle commerciali.
Alla base degli interventi sugli impianti sportivi (e la piscina di 50 mt. dello Stadio dovrebbe averlo insegnato a noi cittadini!) c’è solo l’interesse di pochi e una forte ignoranza di settore.
Ci dispiace dover constatare questa caduta di progettualità urbanistica seria e capace per il futuro; si sa solo svendere o disperdere il patrimonio pubblico; si parla di compensazioni, di bandi per la gestione di impianti pubblici, neppure più di convenzioni. A chi ha ancora in mente il mito di Bologna si può solo dire di uscire dal sogno, e si può raccomandare di farlo in fretta.
A chi è ancora residente non rimane altro che pensare di scappare, anche perché non c’è nulla che dia voce alle maggioranze che non hanno voce e che quindi sono diventate silenziose come ricordava Baudrillard un po’ di anni fa.

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