Appunti sul patto per il lavoro 2015 e la sanità regionale

26 Ottobre 2015 /

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Sanità e tagli
Sanità e tagli
di Gianluigi Trianni
Come è rilevabile nel segmento di testo originale riportato di seguito, il Patto per il Lavoro siglato dalle autonomie locali e dalle parti sociali lo scorso luglio 2015 relativamente al Servizio Sanitario Regionale riduce la complessa tematica della salute dei cittadini all’esigenza di migliorare la sostenibilità economica e finanziaria dei sistemi di welfare a fronte di non meglio precisati “cambiamenti nelle dinamiche” socio-demografiche, sociali e sanitarie.
Il segmento di patto per il lavoro di che trattasi si caratterizza per una oscurità totale sulle “pluralità di sfide” e “sulla necessità di sviluppare nuove competenze in grado di operare in modo integrato ed interdisciplinare”, temi che richiederebbero di indicare i punti di forza e quelli di debolezza nella tutela della salute da parte del sistema sanitario regionale ed un programma conseguente di investimenti in strutture e personale aggiuntivo, e si “preoccupa” (o “viene preoccupato?”) di indicare il terreno di una rinnovata (?) collaborazione (o acritica accettazione delle interferenze di varie lobby mediche?) con il sistema (?) universitario regionale con riguardo a:

  • 1. formazione di nuove competenze specialistiche;
  • 2. offerta formativa per medici di medicina generale;
  • 3. formazione di nuove figure per la comunicazione istituzionale in sanità;
  • 4. sviluppo competenze manageriali per la sanità e il welfare regionali.


Per quest’ultimo obbiettivo si “chiede” (?) agli Atenei della regione di progettare (?) una Scuola Superiore di Amministrazione dei Servizi Sanitari e Sociali della Regione Emilia Romagna. Non una parola, e quindi neanche un impegno politico formale, ad affrontare le deficienze di fondi per ricerca e di personale del università emiliano romagnole.
Ne emerge che il quadro esigenziale della sanità in Emilia Romagna sarebbe di qualche manager, di qualche comunicatore, di qualche medico di medicina generale e qualche specialista in più rigorosamente nell’ambito della sostenibilità economico finanziaria e magari per renderla più controllabile? Tutto il resto non è citato.
Forse perché si prevede di affrontarlo con quanto il documento propone subito dopo, e cioè un Fondo Regionale per la Sanità Integrativa.

È un caso che venga proposta l’istituzione di tale fondo/assicurazione integrativo/a, finalizzato alla erogazione di prestazioni “extra LEA” (?), alimentato dalla contrattazione nazionale ed articolata (per territorio e per azienda?), e da risorse aggiuntive di cittadini non lavoratori dipendenti, e da collegarsi tramite convenzioni con il servizio sanitario regionale?
In sostanza un tentativo di creare un fondo assicurativo pubblico per avere una linea di finanziamento ulteriore e da privati in aggiunta al (de)finanziamento del fondo sanitario nazionale, ed una linea di erogazione convenzionata di prestazioni “extra LEA” (ma fino a quando solo quelle extra LEA?) magari estendendo a livello regionale il modello dell’accordo siglato dalla AUSL di Modena con la “ex Lega Coop” per erogare prestazioni a pagamento calmierato ai soci Coop tramite la libera professione intramoenia, quindi in orario aggiuntivo alle già pesanti 38/36 ore settimanali, di medici e personale dipendente delle AUSL.
Si da il caso che così facendo si innesca un cortocircuito che vede la sanità pubblica regionale sempre meno finanziata dal governo centrale e dal sistema fiscale regionale ed erogante sempre meno prestazioni ed i lavoratori dipendenti e gli altri cittadini sopperire a ciò con il pagamento delle prestazioni acquisite direttamente in libera professione o tramite i loro contributi alle assicurazioni sanitarie integrative, cioè una seconda volta.
Due ultime osservazioni:

  • con il decreto sulla appropriatezza il governo ha dimostrato con quali metodologie burocratiche, ascientifiche e coercitive di medici e pazienti si giungerebbe a definire “extra LEA”, quindi non di diritto degli assistiti, le prestazioni assistenziali, a parte la considerazione che sono di fatto “extra LEA” tutte le prestazioni per le quali esistano tempi di attesa incompatibili con la clinica ed i bisogni di vita sociale dei pazienti;
  • la erogazione di prestazioni in libera professione intramoenia costituisce incremento di orario di lavoro settimanale, non solo dello “stipendio”, per il singolo professionista che diventa materialmente coercitivo a fronte del blocco esaennale dei rinnovi contrattuali e quindi anche degli stipendi , e contraddittorio con la piena occupazione possibile ed auspicabile nel servizio sanitario regionale e con la finalità dichiarata del patto per il lavoro (nonché arretrate rispetto ai progetti delle 6 ore giornaliere e delle 30 ore settimanali che si stanno discutendo nella società svedese. O questa modernità non interessa e non ammalia il presidente Bonaccini e la sua corte?)

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