I ragazzi dell'esilio: storie di giovani esiliati

22 Agosto 2015 /

Condividi su

I ragazzi dell'esilio
I ragazzi dell'esilio
di Luca Mozzachiodi
Un altro libro ancora sull’Argentina, un altro libro sulla dittatura e i suoi crimini, sul modo in cui la vita di un popolo è cambiata e in questo caso su come, per molti giovanissimi, questo cambiamento abbia voluto dire la svolta verso tortuosa strada dell’esilio; in questo senso il volume è il rovescio della medaglia rispetto al precedente e il suo necessario completamento, molti infatti sparirono, altri vissero una sorta di autoreclusione ma non meno furono quelli che dovettero abbandonare il paese e cercare sicurezza, scampo dalla morte in parecchi casi, altrove.
Di questi il libro racconta, in forme che vanno dall’intervista, nella maggioranza dei casi, al racconto in prima persona, agli stralci di diario, le vicende e i pensieri al momento dell’esilio e per la sua a volte lunga durata nonché ovviamente le rielaborazioni posteriori dell’esperienza. Un libro intimo, dove sul fatto storico e sulla narrazione prevale l’autobiografia e la considerazione personale espressa spesso sotto forma di dettaglio scolpito nella memoria.
Sono molti i contributi raccolti in questo libro, voluto e messo assieme soprattutto da Vera Vigevani, fondatrice di Madres de Plaza de Mayo di Vera Vigevani, Diana Guelar e Beatriz Ruiz, e diverse le storie e le letture di quegli anni, ma alcuni elementi ricorrono a dare il senso di un’esperienza e oggi una memoria collettiva, del dramma di un’intera generazione; anzitutto la giovane età dei coinvolti, tra i quindici e i vent’anni, la loro provenienza dalla media borghesia argentina moderatamente progressista, che la media borghesia sia rivoluzionaria per formazione e scelte ideologiche e il proletariato lo sia naturaliter, in potenza, per oggettiva considerazione degli interessi è una verità vecchia, ma di quelle che almeno nel loro nocciolo non diventano con gli anni meno vere: anche l’adolescenza dei Chicos del exilio non fa eccezione, quasi tutti infatti condividono l’esperienza della militanza in gruppi politici di varia ispirazione legati alle idee di sinistra.

Per molti di loro, ed oggi non è diverso, si trattava in buona parte di una fase di socializzazione, parte della crescita e della scoperta di sé e quel riunirsi e programmare portava di pari passo la presa di coscienza sulla società e i primi amori, i primi circoli di amici; per i militari golpisti e per i paramilitari di destra però era invece una colpa, una minaccia al cosiddetto “Processo di riorganizzazione nazionale” e costò caro a questi ragazzi a volte ancora incoscienti.
Ecco dunque l’esilio, per non pochi in Israele e per altrettanti in Spagna, luoghi che portano altre riflessioni e un quadro più complesso nel ripercorrere quegli anni, da una parte sta infatti l’Argentina come terra di immigrazione ed emigrazione, che aveva ricevuto molti emigranti europei, molte famiglie di origine ebraica, come tante di quelle di cui si parla nel volume e persino molti rifugiati nazista, e dalla quale i giovani fuggivano proprio in Israele, allora in guerra con il Libano e in tensione con tutto il mondo arabo e nella Spagna appena dopo la morte di Franco, i conti con il caudillismo di destra ancora tutti da fare.
In questo incrocio di popoli, nazioni, discendenze e parti politiche è davvero difficile portare a termine un processo di crescita, costruirsi un’identità e raccontare questa costruzione è uno dei maggiori meriti di questo libro e di coloro che vi hanno partecipato, affrontando in particolare il doppio tema del senso di estraneità alla terra d’esilio, dove si è lontani da famiglia, amici, abitudini, spesso senza conoscere la lingua, ma anche alla propria patria una volta tornati e del senso di colpa che più d’uno degli esuli avvertiva.
Senso di colpa per aver messo in pericolo amici e cari, per non aver saputo fronteggiare, magari eroicamente come la retorica politicista in cerca di martiri richiedeva, la situazione e, violenza interiore terribile e perniciosa, per non essersi saputi adeguare rappresentando invece un “caso speciale” rispetto alla norma; la dialettica tra normalità e devianza e conseguentemente tra ordine e disordine è tipica delle forze conservatrici, non se ne troverebbe una che non abbia versato sangue come noi faremmo con il detersivo per pavimenti per mettere in ordine e pulire casa, e a dover lasciare casa si può finire per sentirsi sporchi, questo è il supremo oltraggio alla coscienza ancora fragile di un ragazzo esule.
Bene ma allora, si potrebbe dire, a noi italiani cosa ne viene? Qual è la morale italiana della storia? Ce ne sono in realtà molte, una è sepolta negli archivi, nei faldoni dei tribunali e in qualche libro di storia più coraggioso e riguarda i non pochi e non ininfluenti simpatizzanti delle Giunte Militari, tra le altre cose fa bene ricordare che nel 1978 Videla si trova a Roma dal Papa; una seconda morale, forse più ricca, sta in una piccola intervista fatta alla figlia sedicenne di due esuli (il libro è stato composto alla fine degli anni Novanta ed è uscito in Argentina nel 2002) che definisce la Shoah e la Dittatura «i due grandi capitoli neri», nessun italiano direbbe questo ovviamente, con buona approssimazione potremmo dire che un italiano mediamente educato risponderebbe più o meno la Seconda Guerra Mondiale e gli Anni di Piombo o la Prima Guerra, questo ci dice molto sulla storia ufficiale, sulla storia di Stato, che esiste eccome, e dura molto più a lungo degli stati perché spesso diventa un fatto psicologico e poi un mito fondativo.
La terza morale, che sceglierei come chiave di lettura del volume, è quella di un confronto tra generazioni, i giovani di allora e quelli di oggi, sicuramente come qualcuno racconta «c’era molta follia» in quegli anni, ma c’era metodo in quella follia e il sequestrare casa per casa dei ragazzi non mirava al caos, ma a disarticolare organizzazioni politiche e fronti di militanza fin nella loro base, a sradicarli socialmente attraverso l’uso della paura, a minare permanentemente la loro possibilità di formare giovani; giovani che all’epoca, pur con tutta la confusione dell’età, si sentivano responsabili e chiamati a cambiare la vita, e oggi?
Nessuno verrà a prendersi con un pullman gli iscritti a Libera, nemmeno con una macchina a prelevare gli iscritti ai Giovani Democratici e neppure su un carretto a caricare qualche membro di collettivi studenteschi; certo a volte capita di riconoscere, passeggiando per le strade di città, scritto sui muri un nome noto con la scritta libero subito e pensare ci siamo incontrati, ma davvero a nessuno verrebbe in mente di fuggire. Che bello camminare tranquilli per strada! Scampato pericolo!
In Argentina certamente sì, si sono fatti molti progressi, e anche qui, viva la democrazia! Solo qualche volta mi viene il cattivo pensiero che forse non è tutto qui, che non si usa più la paura con noi perché i metodi sono cambiati e le dialettiche si sono raffinate, che forse la verità è che Diana Guelar, Franca Jarach, Beatriz Ruiz e molti altri in qualche modo facevano paura ai militari e ai loro promotori, anche soltanto nel loro essere giovani, uomini e donne a venire e che tu, che se stai leggendo il blog del Circolo del Manifesto forse almeno un po’ di sinistra ti dirai, e io e tutti gli altri di cui sopra non facciamo più paura a nessuno.
Per fortuna su simili pensieri possiamo dormire sonni tranquilli e per i pochi che non ci riescono esistono i sonniferi e bravi psicoanalisti, ma un consiglio, una lezione, e uso questo termine scolastico non a caso ma perché ritengo che l’uso corretto di queste testimonianze sia nei luoghi di cui parlano, cioè le case e le scuole, che mi pare venire con grande chiarezza e lucidità da I Ragazzi dell’Esilio è a guardare la memoria non come un bel giardino da coltivare nella pace, ma come un terreno duro da dissodare con fatica e a volte con rischio perché l’estate del futuro possa dare il suo miglior raccolto.
Recensione a Vera Vigevani, Diana Guelar, Beatriz Ruiz / I RAGAZZI DELL’ESILIO – ARGENTINA (1975 – 1984). Nota introduttiva di Arrigo Levi / Edizioni 24marzo Onlus / isbn 978-88-907797-1-8 / pagg. 352 € 18,00 / ebook disponibile in versione epub e mobi (per lettori Kindle) / e-isbn 978-88-907797-6-3 € 9,99

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati