di Chiara Zanini e Stefano Galieni
Da anni a Brescia è quasi impossibile per i lavoratori migranti ottenere il permesso di soggiorno e il suo rinnovo. Le richieste presentate in occasione della cosiddetta sanatoria-truffa del 2012 sono state respinte nel 78% dei casi – a fronte di una media nazionale del 20% – e Mario Morcone, Direttore del Dipartimento per le Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, ha ammesso che «una sproporzione del genere rispetto al contesto nazionale lascia davvero sconcertati».
Questo accade a causa in un’applicazione della normativa difforme rispetto a tutte le altre questure e prefetture d’Italia. A Brescia viene richiesto che le domande riguardino i sei mesi precedenti il 2012, mentre nelle altre città vengono considerate prove precedenti. Qui forze dell’ordine e Ispettorato dopo aver interrogato i richiedenti (quasi sempre in assenza del servizio di interpretariato) convocano persino i datori di lavoro. Tar di Brescia e Consiglio di Stato hanno stabilito che deve essere la Prefettura ad occuparsi degli accertamenti, e non la Questura.
Come però riportano lavoratori, avvocati e operatori dell’accoglienza, spesso a Brescia un errore o una testimonianza ritenuta imprecisa sono sufficienti per dichiarare l’insussistenza del lavoro e negare il permesso. Lo stesso accanimento colpisce pure le domande di rinnovo del permesso. La legge Bossi-Fini (n. 106 del 2002) impone un’occupazione stabile come condizione per l’immigrato che desideri rimanere in Italia. Chi perde il lavoro ha diritto per un anno ad un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione, ma con permesso scaduto o prossimo alla scadenza diventa quasi impossibile farsi assumere.
Per anni in tutta Italia i rinnovi spesso sono arrivati con grave ritardo, e di frequente quando il permesso era già scaduto. Ora viene in molti casi rispettato il termine massimo di sessanta giorni, mentre a Brescia si attende anche più di un anno. Emesso un diniego, la Questura bresciana non ammette nessuna successiva circostanza (ad esempio un impiego trovato fuori tempo massimo), nonostante la legge lo imponga. Così i migranti non hanno altra scelta che spendere di tasca propria per fare ricorso al Tar, il quale accoglie meno della metà delle richieste.
Senza dimenticare il costo per i contribuenti: secondo quanto riportato da alcuni quotidiani, la Prefettura spende oltre 72 mila euro più Iva per rispondere del suo stesso operato. Lo stesso diritto alla salute è calpestato: per legge, l’iscrizione anagrafica è condizione indispensabile per l’accesso all’assistenza sanitaria, ma a molti viene negata perché non ottengono l’idoneità alloggiativa, la quale non è chiesta agli autoctoni. Come abbiamo raccontato due anni fa, inoltre, il Comune di Chiari è stato condannato perché impediva i matrimoni fra stranieri senza permesso di soggiorno.
Non è dunque solo da qualche settimana, o dai tempi della sanatoria-truffa, che la situazione bresciana fa preoccupare. Eppure i migranti sono una presenza consolidata già dagli anni novanta e sono inseriti nei settori produttivi. Alcune comunità, come quella senegalese e quella pakistana, sono attive nei sindacati. E partì proprio da Brescia una marcia che nel 2000 portò a Roma migliaia di lavoratori immigrati che chiedevano modifiche alle leggi di allora. All’epoca la giunta era leghista, mentre ora governa il centro-sinistra, ma nessuna forza politica si è mai imposta su questura e prefettura.
Con meno di 200 mila abitanti e un’amministrazione che si professa democratica la condizione dei migranti è ancora la stessa. Da quando è ripartita la protesta di piazza, lo scorso 21 marzo, ad essere cambiata è solo la dirigenza della prefettura: Narcisa Brassesco Pace si è dimessa non certo a seguito di proteste mosse dai centri sociali, ma per un’ accusa di abuso d’ufficio. Forza Italia, Lega Nord e Movimento Cinque Stelle vorrebbero la stessa sorte per l’assessore alle Politiche sociali Felice Scalvini, cui si rimprovera un conflitto d’interesse (accordi tra Comune un Consorzio facente capo a sua moglie).
Da settimane presidi e volantinaggi vedono opporsi almeno due fazioni: da un lato immigrati e associazioni colpite dai dinieghi, con in testa Diritti Per Tutti e i suoi avvocati. Al loro fianco sindacati, diocesi, studenti, persone lontane dai partiti e Radio Onda D’Urto, che racconta ora dopo ora il clima nelle piazze (comprese quello di altre città dove si verificano sgomberi e conflitti). Un appello firmato anche dal Corriere delle Migrazioni chiama giornalisti e antirazzisti in difesa della storica radio per le intimidazioni ricevute. Dall’altra parte abbiamo questura e prefettura.
Un terzo polo silente è rappresentato dall’amministrazione comunale, che non ha fiatato di fronte alle violenze della polizia. Il video della carica voluta il 23 marzo dal responsabile della Digos in piazza Domenico Farinacci contro gli attivisti è diventato virale per aver provocato feriti tra studenti e passanti (donne comprese), e come conseguenza arresti, fermi, espulsioni, e l’invio nel Cie di Bari di tre cittadini pakistani. Per il Ministro dell’Interno Alfano quello fatto a Brescia è “lavoro di prevenzione”.
Il questore Carmine Esposito emana comunicati stampa in cui sbaglia la data della strage di Piazza della Loggia e collega le proteste ad un’ inchiesta su presunti affiliati all’Isis. Per il questore quello del 23 marzo è stato «un intervento di alleggerimento per permettere di svolgere le attività di polizia in corso […] Al sequestro di un furgone operato dagli agenti, gli stessi manifestanti, gran parte italiani già noti a questo ufficio, incitavano gli immigrati alla guerriglia e all’insurrezione contro la Loggia [come a Brescia è definita l’amministrazione] e lo Stato di Polizia».
Il sindaco PD Emilio Del Bono, che in gioventù frequentava Caritas, Padri Filippini della Pace e Amnesty International, ha detto: «Tutti hanno diritto di manifestare, purché venga fatto nel rispetto dei cittadini», nello specifico «abitanti del centro e commercianti, per i quali il sabato è una giornata di particolare intensità e importanza. Bisogna rispettare le modalità di convivenza». Come alcuni suoi consiglieri, il sindaco ha precisato che le questioni di ordine pubblico «non sono competenza diretta del Comune, bensì del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. Il questore ha assunto una decisione finalizzata a tutelare la civile evoluzione della manifestazione».
Mattia Margaroli (Forza Italia), unico tra i capigruppo ad aver accettato di commentare con noi l’ultima settimana, su questo punto è d’accordo. Aggiunge: «è un ritorno al ’68, per cui da parte nostra c’è piena solidarietà alle forze dell’ordine per aver combattuto l’inferno. Sono convinto che chi rilascia i permessi stia facendo un ottimo lavoro se non li accorda. Tutto il Nord è colpito da un sovraffollamento di immigrati che andrebbero aiutati nei paesi d’origine, mentre noi dobbiamo occuparci innanzitutto delle famiglie italiane che pagano le tasse e sono devastate dalla crisi. Lo è persino Brescia che era fiore all’occhiello dell’economia.
Questa congestione di stranieri provoca frustrazione ed esasperazione da parte degli italiani, ed è l’esasperazione ad accendere le piazze. Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Esteri e la sicurezza dovrebbe contribuire doppiamente in quanto italiana a risolvere l’aspetto internazionale della questione. Quanto al Magazzino 47 [il centro sociale della città, Ndr], è sostenuto esclusivamente da altri centri sociali. E comunque nessun altro ha quegli stessi toni. In ogni caso il nostro Consiglio Comunale, nonostante sia presente anche un assessore di estrema sinistra, sarà impegnato su altri temi per un altro mese almeno».
Marco Fenaroli, assessore alla casa e alla partecipazione (ex CGIL, ex segretario PCI ed ex presidente Anpi Brescia, eletto con una lista civica), ha fatto presente come le richieste di permesso debbano tenere conto «delle reti di solidarietà famigliari ed extrafamiliari». L’europarlamentare Barbara Spinelli ha scritto una lettera per chiedere chiarimenti alle autorità competenti e al Direttore del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione. Hanno poi presentato interrogazioni in Parlamento in merito alla manifestazione di sabato 28 e le sue rivendicazioni i deputati bresciani Franco Bordo (Sel) e Stefano Borghesi (Lega Nord). Vito Crimi (M5S), che vive dal 2000 in città, ha interrogato il Ministro dell’Interno a proposito della carica decisa da Farinacci.
Il corteo nazionale di sabato 28 marzo, cui hanno preso parte circa cinquemila persone, è stato indetto dalla Cgil per venire incontro alle associazioni capofila che si erano viste negare dalla questura il percorso proposto. Mentre i NO TAV chiedevano “Una sola grande opera: permessi di soggiorno, casa, reddito, dignità per tutte e tutti!” è stato ricordato che nella sola Brescia ogni anno si attuano duemila sfratti. Nelle stesse ore un centinaio di neofascisti ha cercato di raggiungere Piazza della Loggia, simbolo della violenza di regime, dove è sempre viva la memoria per strage del 28 maggio 1974, alimentando così la tensione. Il corteo si è svolto pacificamente e molte speranze sono ora riposte nell’incontro che Diritti Per Tutti ha ottenuto dal capo dipartimento Morcone, mentre il presidio del centro prosegue.
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere delle migrazioni il 6 aprile 2015. Per sostenere la rivista online, si può disporre un bonifico sul conto corrente con Iban IT29 I010 3021 0010 0000 1231 240 intestato a “Giù le frontiere e con causale “Corriere delle Migrazioni”