La 'ndrangheta è a Reggio, ma in Emilia: 3 libri profetici

3 Marzo 2015 /

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di Daniele Barbieri
Poco più di un anno fa avevo scritto in blog una «calda recensione» a un bel romanzo di Antonio Fantozzi intitolato 1 sbirro, Wild Bill Hickok e il caro Paolo: strano titolo per un noir vivissimo, choccante, molto politico, sanguigno come i precedenti e com’è il suo autore (lo conosco solo di scrittura, magari di persona non è intelligentemente feroce come nelle sue pagine). Scrivevo fra l’altro:

Se abitate a Reggio o se comunque questa città ha per voi un valore (il lavoro e il riformismo, la Resistenza, “i morti di Reggio Emilia”, gli asili più belli del mondo, l’efficienza e l’onestà mescolate alle cooperative) dovete leggere questo libro. Forse odierete Fantozzi ma dovete – anzi dobbiamo – fare i conti con quello, perlopiù spiacevole, che su Reggio scrive». E subito dopo: «Il vero Antonio Fantozzi ha due difetti: scrive assai bene ed è molto di sinistra.

Se volete leggere tutta la recensione digitate «Deadwood? Che schifo, sembra Reggio Emilia» ma io vi consiglio di procurarvi il romanzo anzi la trilogia; anche di un altro libro di Fantozzi ho scritto qui: «Com’è fosca Reggio (in Emilia)» … e, con ogni evidenza, il dito-titolo del mouse batte dove il dente reggiano duole.
Perché ne riparlo ora? In gennaio come forse sapete – qualche titolo sui media ma non “da strillo” – una inchiesta sulla ‘ndrangheta denominata Aemilia ha scosso l’Emilia Romagna. Riassumendo (mi baso su quanto scrisse «Il fatto quotidiano») la Direzione distrettuale antimafia di Bologna «ha disposto 117 arresti nell’ambito dell’inchiesta “Aemilia” che ha colpito il clan Grande Aracri e i suoi contatti con la politica e l’imprenditoria».

Prima maxi operazione di questa portata in Emilia-Romagna contro la criminalità organizzata. «Un intervento “storico” – come lo definisce il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti – paragonabile alle inchieste in Lombardia (Crimine-Infinito), Piemonte (Minotauro) e Liguria (Maglio). Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia – in inchieste collegate – per un totale di oltre 160 arresti. In manette anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa».
Non proprio noccioline insomma. Criminalità organizzata, feroce e collusa con i poteri tradizionali non nella Reggio di Calabria ma in quella dell’Emilia, da sempre considerata “isola felice”. Questa inchiesta Aemilia mi turba per due motivi connessi ai libri di Fantozzi. Il primo è legato alla “profezia” o meglio all’analisi: nella sua trilogia martella di continuo su una Reggio che si sta mafiosizzando. C’è tutto: la sabbia rubata al Po con i camion della ‘ndrangheta; la palma – metafora della mafia, come spiegò Leonardo Sciascia ne «Il giorno della civetta» – che a causa del riscaldamento globale cresce sempre più a nord; il vampiro simbolico che si stabilisce in città portandovi la sua terra, poi seguito da una moltitudine di compaesani fra i quali si nasconde; c’è anche la definizione di città gretta e meschina, avida e avara, rimpiangendo quella Reggio medaglia d’oro della Resistenza che sembra del tutto dimenticata; perfino la buona amministrazione, lo storico riformismo emiliano svanisce in una città che è solo bottega e «ha messo il negozio al posto dell’ozio»; zona che qualcuno vede come una California mentre invece è Far West, terra di conquista.
Nella patria delle cooperative rosse Fantozzi racconta di una “cooperativa” che arricchisce con cottimo e caporalato; ed è una storia – ho controllato – che va avanti da oltre 30 anni. Cresciuta all’ombra dell’edilizia selvaggia con manodopera cutrese, dentro un patto scellerato appunto fra ‘ndrangheta e quei poteri forti cresciuti all’ombra del monocolore “comunista” e probabilmente – ma questo lo ipotizzo io non Fantozzi – degli accordi sottobanco fra maggioranza e opposizione, dello storico mix fra le cooperative di sinistra e le altre (con Compagnia delle opere, cioè Cl, in prima fila).
Così la rabbia di Antonio Fantozzi:

Io non so come la pensa lei, e mi perdoni non m’importa, ma a me la Resistenza scorre nel sangue. E adesso questa città l’ha dimenticata […] Ci abituano alla rassegnazione e all’indifferenza […] Non c’è più il partito e forse è un bene. Però abbiamo questi capetti, anche qui da noi, presuntuosi e arroganti, slegati dalla gente e ignoranti, che fanno un po’ schifo. C’erano loro al governo quando abbiamo bombardato la Jugoslavia.

Ed ecco il secondo motivo per cui leggendo dei 117 arresti di “Aemilia” penso alla trilogia di Fantozzi e resto turbato. Perché da oltre un mese – cioè da quando è “ufficiale” che qui comanda la ‘ndrangheta – la città è rimasta muta. Correggetemi, amici e amiche di Reggio, se sbaglio. A quel che io so nessuno ha fiatato (salvo i solit*, poch* definiti “estremisti”) e tutte le realtà istituzionali – partiti, associazioni, sindacati, scuola e formazione – restano immobili come le tre famose scimmiette del non vedo, non sento, non parlo. L’opposto delle tre scimmiette che campeggiano qui nella testata della “bottega” dove sto scrivendo…
Anche questo silenzio reggiano («ci abituano alla rassegnazione e indifferenza») era intuibile, se non proprio previsto, nella trilogia di Fantozzi. E io, lo confesso, pensavo che forse l’autore era un po’ pessimista, che forse Reggio “non si era persa”. Devo chiedergli scusa.
Post scriptum e un appuntamento a Imola. Come sa chi passa spesso da questo blog-bottega, ogni tanto Antonio Fantozzi scrive (su mia richiesta perché amo molto il suo stile) qui. Spero sia palese che non ho scritto questo post per “ingraziarmelo” o per fare uno spot ai suoi tre libri… che pure ri-consiglio di leggere per motivi sia letterari che politici. Proprio domani nella città dove vivo, a Imola sul confine tra Emilia e Romagna, c’è un dibattito sulla criminalità organizzata: avviene al centro sociale «Brigata 36», i soliti sovversivi.
Ecco la locandina: «EMILIA ROMAGNA COSE NOSTRE 2012-2014. Cronaca di un biennio di mafie in Emilia Romagna». È un dossier realizzato dalla collaborazione fra Gaetano Alessi, il Gruppo antimafia Pio La Torre e il Gruppo dello Zuccherificio. Una ricerca appunto e non un’opera letteraria. Si presenta anzi (andrò domani per capirne di più) come una “cassetta degli attrezzi” per invitarci a dedicare una quota del nostro tempo al contrasto alle mafie. Altre info qui.
Ecco nel silenzio delle istituzioni e di troppe/i cittadin*… forse si può ripartire dai buoni, rabbiosi romanzi di Fantozzi e da qualche piccola “cassetta degli attrezzi” come questa.
Questo post è stato pubblicato sul blog di Daniele Barbieri il 28 febbraio 2015

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